Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La progressiva integrazione delle popolazioni d’oltreoceano al modello culturale europeo avviene anche grazie all’opera di proselitismo svolta dai missionari. Gli strumenti da essi utilizzati rientrano in una complessa strategia di intervento che comprende la predicazione, la confessione e l’istruzione catechistica dei bambini. Gli stessi metodi sono utilizzati anche nelle missioni interne all’Europa, sia per ottenere conversioni tra i protestanti sia per promuovere un rinnovamento della vita religiosa tra i cattolici.
L’evangelizzazione dei popoli d’oltreoceano
Quando il 3 agosto 1492 Cristoforo Colombo salpa dal porto di Palos in Spagna alla volta delle Indie non sa ancora che da lì a settanta giorni sarebbe sbarcato sulle coste di un’isola appartenente a un continente poi battezzato con il nome di America. La sua impresa, preceduta e succeduta da numerose altre scoperte geografiche, costituirà un vero e proprio spartiacque nella storia, non solo europea ma mondiale. Tra le tante conseguenze impreviste che quelle esplorazioni e la conquista europea delle Americhe avranno sul piano politico ed economico-sociale va annoverata anche la progressiva integrazione dell’Otro mundo al modello culturale europeo. La conquista e la successiva assimilazione delle civiltà indigene avviene in maniera rapida, con un misto di repressione e di persuasione che si avvale sia dell’operato militare dei conquistadores che di quello pastorale dei religiosi. Convinti della propria posizione di superiorità umana e del possesso della vera religione, gli Europei si spingono infatti nelle terre d’oltremare con un’ansia di evangelizzazione che ricorda quella dei tempi apostolici. La scoperta dell’esistenza di enormi masse umane che vivono nella più totale ignoranza della fede contribuisce a immettere nuova linfa vitale alla forza propulsiva del messaggio della Chiesa. Spagnoli e Portoghesi – e in seguito Olandesi, Inglesi e Francesi – si avvalgono, sin dalle prime spedizioni, della presenza di missionari che sbarcano nei territori del Nuovo Mondo con lo specifico compito di convertire gli infedeli. Il successo delle prime forme di predicazione del cristianesimo alle popolazioni extraeuropee è tale che gli stessi contemporanei hanno l’impressione che le perdite provocate dallo scisma protestante siano largamente compensate dalle conversioni ottenute tra i popoli d’oltremare. La via è aperta dalla missione di dodici frati francescani che, su invito dello spagnolo Hernán Cortés, nel 1523 si recano nel Messico appena conquistato. Ed è qui che, nel corso del Cinquecento, la Chiesa cattolica riporta i maggiori successi. Nel 1526 vi si insediano i Domenicani, nel 1533 gli Agostiniani; prima dell’arrivo dei Gesuiti, avvenuto nel 1572, l’evangelizzazione delle popolazioni indigene si avvale essenzialmente dell’attività svolta dai membri dei settori riformati di questi tre ordini. Il loro zelo pastorale e il rapido crollo delle civiltà locali spiegano il numero straordinariamente alto di battesimi registrati in quegli anni. Fra’ Martino di Valencia, in una lettera inviata a Carlo V nel 1532, parla di oltre un milione di indigeni battezzati in poco più di un decennio. Altrove i bilanci suonano ancora più trionfali: Toribio da Bonavente valuta ad esempio intorno ai 5 milioni il numero degli amerindi battezzati tra il 1524 e il 1536.
Nell’America del Sud la conversione progredisce più lentamente che vive nel Messico. I primi padri della Compagnia di Gesù arrivano in Brasile alla fine degli anni Quaranta; più o meno contemporaneamente i Domenicani fondano la Chiesa peruviana, mentre Francescani e Agostiniani si spingono in Paraguay e nel Cile. Risultati altrettanto positivi si riscontrano fuori del Nuovo Continente, in alcune zone costiere dell’Africa, specie alla foce del Congo, accanto ai successi riportati dai gesuiti Francesco Saverio in Giappone (dove alla fine del secolo si contano almeno 300.000 cristiani) e Matteo Ricci in Cina fra il 1583 e il 1610.
In Europa l’avanzata missionaria tra gli infedeli del Nuovo Mondo viene conosciuta grazie alla stampa di lettere e opuscoli in cui i progressi del cristianesimo si intrecciano con la documentazione etnografica. La scoperta del carattere diverso di società e culture lontane nello spazio avviene progressivamente, man mano che gli incarichi ricevuti portano i religiosi dei vari ordini regolari a spingersi lungo percorsi nuovi e a stabilirsi presso popolazioni sconosciute. Nelle relazioni inviate ai propri superiori a Roma, i missionari riportano numerose informazioni sulle condizioni in cui si trovano a operare: sul clima, l’ambiente, il paesaggio e soprattutto sugli usi rituali e le forme di religiosità praticate dalle popolazioni indigene. Nati dall’esigenza di conoscere bene luoghi e persone al fine di rendere più efficace l’intervento educativo, i loro resoconti finiscono con il presentare alla coscienza europea uno spaccato antropologico della vasta umanità delle altre parti del mondo dove amplissima è l’oscillazione tra i due estremi di una valutazione negativa e una positiva. Alla strategia delle conversioni di massa e dei battesimi forzati e all’atteggiamento “colonizzante” dei primi missionari, subentrerà infatti, alla metà circa del secolo, un approccio in qualche modo più rispettoso delle tradizioni locali e un’idea moderna della missione, intesa a educare più che a conquistare le anime.
Il metodo consiste nell’adattare il cristianesimo a culture radicalmente diverse e in pratica si incarna nell’opera svolta dai membri della Compagnia di Gesù e dai Cappuccini, i due ordini istituiti rispettivamente nel 1540 e nel 1528 allo scopo precipuo di svolgere una costruttiva azione di evangelizzazione.
Gli strumenti da essi utilizzati rientrano in una complessa strategia di intervento che comprende la predicazione, la confessione e l’istruzione catechistica dei fanciulli. L’idea di una cristianizzazione fondata sull’annuncio del Vangelo e sull’amministrazione del battesimo non viene comunque del tutto abbandonata. Alla fine del Cinquecento la storiografia francescana si fonda ancora sui grandi numeri dei battesimi per esaltare le imprese dell’ordine in America. Intanto però il dilagare delle idee protestanti in Europa pone alle gerarchie ecclesiastiche non solo l’inquietante problema della simulazione tra i neofiti come tra gli stessi cristiani, quanto quello più scottante di diffondere in maniera veramente capillare, anche tra i cattolici, un modello di vita rispondente al messaggio della Chiesa. Per la storia delle missioni si aprono allora nuovi scenari, mentre si affinano gli strumenti e la metodologia.
Le missioni interne
Il diffondersi di correnti ereticali, la spaccatura creatasi all’interno della cristianità con lo scisma protestante e l’avanzata dell’islam, l’ignoranza dei più semplici elementi di fede riscontrata in larghi strati della popolazione soprattutto delle aree rurali, la mancanza o l’insufficienza della pratica sacramentale anche tra quanti continuano a professarsi cattolici, inquieta la Chiesa, percorsa dal grande impulso di rinnovamento e di riorganizzazione che caratterizza l’età del concilio di Trento.
Viene delineandosi così nelle sue strategie complessive l’idea di un’azione missionaria da portare anche tra i nuovi gruppi di infedeli presenti in Europa. Tocca all’Italia, sede del papato e di un vivace dissenso ereticale, sperimentare per prima il nuovo modello della missione interna. E sono i Gesuiti i più impegnati su questo fronte: da un lato essi svolgono un’intensa attività di predicazione e di confessione, dall’altro un’attenta vigilanza dottrinale e una vera e propria azione repressiva nei confronti dei circoli sospetti (come avviene tra il 1541 e il 1547 a Viterbo, a Modena e a Bologna, ad opera dei padri Francesco Bobadilla, Alfonso Salmerón e Silvestro Landini). Nel breve volgere di qualche anno, con l’elezione al soglio pontificio di Paolo IV Carafa, campione della lotta all’eresia, la missione diventa attività autonoma della Compagnia di Gesù. I membri dell’ordine sono chiamati a svolgere il loro ministero in quei luoghi dove il dissenso dottrinale è più forte o nelle aree di coesistenza confessionale, tra i valdesi delle valli alpine, della Calabria e delle Puglie ad esempio, così come tra i moriscos spagnoli o tra i protestanti in Alsazia e in Germania, sia allo scopo di ottenere delle conversioni tra gli eretici, che per stimolare un rinnovamento della fede tra i cattolici.
Prima ancora dei Gesuiti, sono i Cappuccini a svolgere un’intensa attività di predicazione itinerante dapprima in Italia e successivamente nelle città e nelle campagne europee. In Francia, dove si insediano nel 1574, sono particolarmente impegnati nella zona dello Chablais a fianco di Francesco di Sales e nelle province di Lione e della Provenza, dove allargano il loro raggio d’azione fin quasi ad accerchiare i consistenti nuclei di calvinisti lì presenti. Nel 1583 sono inviati dal padre provinciale di Parigi nei Paesi Bassi; accolti inizialmente a Saint-Omer, si stabiliscono poi ad Anversa.
All’altra estremità d’Europa – in Boemia, in Moravia e in Slesia – l’azione congiunta di missionari e truppe imperiali comincia a diventare una pratica corrente. È lungo questi percorsi che i missionari, iniziati al contatto con realtà umane e culturali diverse attraverso i resoconti provenienti dalle terre d’oltreoceano, affinano le loro capacità di osservazione e cominciano a rilevare le specificità antropologiche e le consuetudini devozionali dei popoli con cui entrano in contatto. Accanto alla preoccupazione di contenere la propaganda protestante e promuovere un rilancio della Chiesa cattolica, corre allora in maniera parallela la presa di coscienza dell’esistenza di un altro e per certi versi più grave problema: quello delle precarie condizioni religiose in cui versa il popolo delle campagne.
Las Indias de por acá
Inviato in missione in Corsica, agli inizi degli anni Cinquanta, il gesuita Silvestro Landini scopre che la gente dell’isola conosce a malapena i contenuti anche più elementari della dottrina cristiana. Qualche anno dopo Giovanni Xavierre scrive ai superiori della Compagnia dall’estrema provincia dell’Italia meridionale, descrivendo la natura indomita e selvaggia della popolazione calabrese. Resoconti analoghi arrivano a Roma anche da parte di missionari impegnati nell’opera di proselitismo al cattolicesimo tra i focolai di eretici presenti in Sardegna e in Abruzzo. Il piccolo mondo provinciale, con cui i Gesuiti entrano in contatto tra la metà degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta del secolo, pone di fronte ai loro occhi in tutta la sua drammatica evidenza una realtà di disgregazione e di emarginazione che essi stessi non tardano a paragonare con un’icastica e fortunata metafora alle Indias de por acá. La scoperta di queste Indie interne, connotate dalla presenza di una popolazione rozza e ignorante, diventa per i Gesuiti questione di massima rilevanza, tanto più urgente perché dietro le pratiche cultuali e i comportamenti popolari essi intravedono l’opera corruttrice del demonio. Bisognerà tuttavia attendere ancora qualche anno perché cominci a delinearsi nelle strategie complessive della Compagnia un più vasto progetto di cristianizzazione degli abitanti delle campagne del Mezzogiorno d’Italia, così come della Provenza, della Linguadoca e di altre regioni europee ritenute a rischio. Grande promotore ne è Claudio Acquaviva, quinto generale dell’ordine dal 1581 al 1615, particolarmente sensibile a un potenziamento delle missioni interne al punto da imporre la presenza in ogni collegio della Compagnia di almeno due religiosi professi impegnati in questo ministero. Strumenti di questo grande sforzo di promozione della fede cattolica, ma soprattutto di diffusione tra il popolo delle campagne di una maggiore uniformità dei culti e delle consuetudini devozionali, sono la predicazione – su temi come il peccato, la morte e l’inferno, in grado di coinvolgere emotivamente il pubblico degli ascoltatori –, la confessione e l’istruzione catechistica dei fanciulli, visti come la speranza del futuro. Il metodo utilizzato dai missionari prevede, a conclusione di un’intensa attività di formazione religiosa concentrata nell’arco di pochi giorni, l’organizzazione di una processione di penitenza orchestrata su schemi di particolare intensità emotiva e suggestione scenografica. Le tecniche introdotte e sperimentate nei territori extraeuropei dai missionari dei primi decenni del Cinquecento fanno scuola: nei secoli successivi costituiranno un modello anche per i religiosi delle nuove congregazioni che si dedicheranno a questa specifica forma di apostolato all’interno dell’Europa.