Le meraviglie del p
Il numero indicato con il simbolo π (pi greco) è forse il numero più famoso nella storia della matematica. È sicuramente l’unico numero che viene festeggiato ogni anno: dagli Stati Uniti è partita la consuetudine, estesa poi a molti altri paesi, di eleggere il 14 marzo “Giorno del π”, con accese sfide tra gli studenti impegnati a calcolare il maggior numero di cifre della sua approssimazione. Sono cifre che si susseguono senza alcun apparente ordine e la ricerca di un’eventuale regolarità nella sequenza delle cifre decimali che approssimano il valore di π è a tutt’oggi un problema matematico aperto.
Pi greco è un numero reale, non razionale, la cui scrittura con le prime cifre decimali è 3,14159. Può essere definito in molti modi. È tradizionalmente presentato come l’area di un cerchio di raggio unitario oppure come il rapporto tra la lunghezza C di una qualsiasi circonferenza e il suo diametro, visto che questo rapporto non dipende dal particolare cerchio considerato (dal teorema di Talete segue che due poligoni regolari, con lo stesso numero di lati, inscritti in centri concentrici, hanno perimetri proporzionali ai raggi dei cerchi; con un passaggio al limite, aumentando sempre più il numero dei lati, si ottiene che il rapporto C/p non dipende dal raggio r del cerchio).
Il simbolo π comincia a essere usato a metà del xvii secolo (tra gli altri da I. Barrow, maestro di Newton) per indicare genericamente le circonferenze; una tale abbreviazione non sorprende se si pensa alla parola greca perímetros e a cosa rappresenta la lunghezza di una circonferenza. Con l’inizio del secolo successivo, la lettera π viene impiegata per designare il rapporto tra una circonferenza e il suo diametro e, nel 1737, Eulero la impone con la sua autorevolezza scientifica come simbolo numerico che ha ormai un posto stabile nell’evoluzione del pensiero matematico.
La storia di questo affascinante numero ruota soprattutto attorno al problema della sua approssimazione e della sua natura di numero irrazionale trascendente. I babilonesi conoscevano una formula per il calcolo dell’area di un cerchio: da essa si deduce il valore di π uguale a 3; tuttavia un altro risultato della tradizione babilonese, a proposito del rapporto tra il perimetro di un esagono regolare e la circonferenza in esso inscritta, implica per π il valore 25/8 = 3,125. Dall’antico papiro egizio di Ahmes, il Papiro Rhind, si viene a sapere che gli egizi usavano 3,1605 come valore approssimante. Un passo della Bibbia nel Libro dei Re, in cui viene descritta la costruzione del tempio di Salomone e di un enorme bacile di bronzo, rivela che per gli ebrei π valeva 3 (o comunque che essi usavano questa sua approssimazione): «Fece un bacino di metallo fuso di dieci cubiti da un orlo a un altro, rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e la sua circonferenza di 30 cubiti». Con il metodo di esaustione, Archimede, nel iii secolo a.C., trova che π è compreso tra 223/71 = 3,1408 circa e 22/7 = 3,1428 circa. Vitruvio per π usa la frazione 25/8 = 3,125; Tolomeo 337/120 = 3,1416 circa.
Approssimazioni simili si riscontrano anche nella matematica cinese e indiana. Gli arabi conoscevano l’approssimazione di Tolomeo e Fibonacci, all’inizio del xiii secolo, porta in Europa il valore approssimato di 3,1418. Gli arabi lo sopravanzano di nuovo nel xv secolo, riuscendo a calcolare in modo esatto le prime 16 cifre decimali.
In epoca moderna, Viète (1593) ottiene le prime 9 cifre di π considerando poligoni di 4, 8, 16 … lati inscritti in una circonferenza di raggio unitario, ma poco dopo, nel 1610, Ludolph van Ceulen ottiene 39 cifre decimali (di cui 35 effettivamente corrette). La scoperta fa scalpore, tanto che in alcuni paesi europei, ancora oggi, π è chiamato numero di Ludolph e lo stesso Ludolph van Ceulen ne è talmente fiero da chiedere che il numero π sia inciso sulla sua lapide. La lapide originaria è scomparsa ma è stata ricostruita recentemente e consacrata di nuovo il 5 luglio 2000 alla presenza dei reali olandesi.
Il calcolo infinitesimale di Newton e Leibniz con i relativi metodi – gli sviluppi in serie e il calcolo integrale – soppiantano il metodo archimedeo di esaustione anche per l’approssimazione di π. La sua conoscenza è destinata a diventare sempre più precisa, e a ritmi sempre più veloci. Le 112 cifre note all’inizio del Settecento diventano 440 a metà Ottocento e 527 nel 1874. Sul finire del secolo, tutti questi sforzi rischiano però di essere vanificati da un progetto di legge depositato in uno stato americano, l’Indiana, per fissare per legge il valore di π ponendolo semplicemente uguale a 3. In realtà il proponente, un medico e matematico dilettante, si presenta come solutore dei classici problemi della trisezione dell’angolo, della duplicazione del cubo e della quadratura del cerchio e, dalle procedure illustrate nel disegno di legge per risolvere questi problemi, si evince l’intenzione di fissare alcuni valori – tutti razionali e tutti molto semplici, anche diversi tra loro! – per π. L’aspetto sorprendente è che il progetto di legge viene approvato all’unanimità, in prima lettura, con la motivazione che il proponente avrebbe poi offerto gratuitamente l’utilizzo della sua invenzione alle scuole dell’Indiana. Per fortuna, l’iter legislativo si arena per l’intervento provvidenziale di un matematico che riesce ad aprire gli occhi ai politici dell’Indiana.
Le sequenze di cifre delle approssimazioni “storiche” impallidiscono di fronte alle possibilità di calcolo consentite dalla potenza dei moderni elaboratori elettronici che permettono di arrivare a vari milioni di cifre. Nel 2010 è stato annunciato un nuovo record: utilizzando un normale personal computer, solo leggermente modificato, in 90 giorni di calcolo si sono prodotti 5.000 miliardi di cifre decimali dell’approssimazione di π!
Nonostante i progressi nel computo della sua approssimazione, il numero non ha perso il suo fascino, dovuto anche al fatto che a volte compare all’improvviso, in situazioni che nulla lasciano presagire della sua presenza. A metà del xviii secolo Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon, presenta all’Académie des Sciences di Parigi quello che oggi è appunto noto come «problema dell’ago di Buffon»: un ago di lunghezza l viene lanciato a caso su un piano lastricato da un reticolo uniforme di rette parallele, distanti d l’una dall’altra con 0 < l < d; ci si chiede quale sia la probabilità che l’ago si posizioni nel piano intersecando una retta del reticolo. Sorprendentemente, si ritrova il numero π: la probabilità richiesta è infatti l /πd (→ Buffon, ago di).
L’irrazionalità di π è stata provata nel 1761 da J.H. Lambert con il metodo delle frazioni continue. Qualche decennio dopo si è presentato però il problema, strettamente legato a quello della quadratura del cerchio, di sapere se π sia un numero irrazionale algebrico (radice cioè di un’equazione polinomiale a coefficienti razionali) oppure trascendente, nel senso che trascende la potenza dei metodi algebrici, come ipotizzava una congettura avanzata dal matematico francese A.-M. Legendre. La distinzione tra numeri algebrici e numeri trascendenti era stata introdotta dal francese J. Liouville, in seguito alle ricerche condotte per sapere se un numero irrazionale possa essere o meno approssimato “da vicino” tramite numeri razionali. Nel 1882, il tedesco C.F. von Lindemann dimostra effettivamente la trascendenza di π. La sua conclusione ha messo la parola fine alle ricerche sulla quadratura del cerchio con riga e compasso: le lunghezze delle linee costruibili con riga e compasso sono necessariamente numeri algebrici mentre quadrare il cerchio è equivalente a costruire il valore π, che algebrico non è.