Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le guerre napoleoniche ereditano alcuni caratteri propri della Rivoluzione francese, quali lo slancio patriottico e l’energia militare, ma sono soprattutto il risultato della genialità militare di Napoleone. Grazie anche al modo in cui esse vengono presentate nei celebri bollettini dell’armata e raccontate poi dal loro principale protagonista negli anni dell’esilio, tali guerre assumono un valore epico, divenendo spesso fonte di ispirazione per la cultura romantica.
Le campagne della giovinezza
Nel loro impetuoso succedersi, le guerre napoleoniche rappresentano un grande ciclo leggendario – forse l’unico dell’età moderna – tante volte riproposto dalla narrativa romantica (da Balzac a Stendhal a Hugo) che ad esso attinge costantemente come fonte di ispirazione. Proprio Stendhal nella sua Vita di Napoleone ricorda addirittura che “nessun generale dei tempi antichi e moderni ha vinto tante grandi battaglie in così poco tempo con mezzi così scarsi e su nemici così potenti”, mettendo così in luce una singolare capacità militare che non resta circoscritta soltanto alla leggenda romantica. I grandi scrittori di strategia, come lo svizzero Antoine Henri Jomini e ancor più il tedesco Karl von Clausewitz, la cui opera principale – Della guerra, apparsa postuma nel 1832 – può leggersi come un lungo commento all’epopea napoleonica, considerano la tecnica adottata da Napoleone nel condurre le campagne e nell’ingaggiare le battaglie il punto di partenza della forma moderna di guerra. Senza nascondere il notevole rinnovamento della scienza militare, operante già nell’Europa del Settecento, e l’importante introduzione della coscrizione obbligatoria ai tempi della Rivoluzione francese, Jomini e von Clausewitz sottolineano l’enorme novità con cui Napoleone interpreta questi elementi, grazie a un’inarrivabile capacità d’intuire i punti di debolezza dell’avversario e di eseguire con rapidità mosse impreviste in grado di disorientare il nemico fino a costringerlo alla resa.
Le attitudini di Napoleone si rivelano già nelle prime campagne – quelle d’Italia e quella d’Egitto – che per molti aspetti rappresentano uno dei momenti più felici del quindicennio napoleonico. Lodi, Rivoli, le Piramidi e Marengo costituiscono infatti il modello di vittorie ottenute grazie al coraggio dei singoli e all’entusiasmo collettivo. In qualche modo, tuttavia, esse sono ancora figlie di quel patriottismo rivoluzionario che nutre abbondantemente di sé i famosi bollettini, nei quali Bonaparte narra in forma epicamente retorica lo svolgimento delle imprese dell’armata.
Il sole di Austerlitz
La conclusione della pace di Lunéville (1801) con l’Austria e, successivamente, la pace di Amiens (1802) con l’Inghilterra aprono un breve periodo durante il quale sembra che il conflitto sorto in Europa tra la Francia rivoluzionaria e le grandi potenze depositarie dei valori e degli interessi dell’ancien régime possa dirsi davvero esaurito. La rottura di questo equilibrio e la ripresa delle ostilità con la guerra del 1805, convenzionalmente detta della Terza Coalizione, rappresentano una questione storica ancora insoluta. Per un verso, infatti, la Gran Bretagna in questo periodo continua a veder minacciata la propria egemonia politica e commerciale dalla dinamica politica europea della Francia di Napoleone, dall’altro l’imperatore francese è da subito consapevole di quante difficoltà e insidie accompagnino l’attuazione del suo disegno di affermazione continentale. È dunque difficile decidere se la ripresa della guerra sia dovuta all’irriducibile ambizione di Napoleone o alla non meno irriducibile ansia di egemonia inglese e di conservazione russa e asburgica. Probabilmente, il senso della rottura dell’equilibrio – del resto assai precario – raggiunto con le paci di Lunéville e di Amiens va cercato nell’incompatibilità profonda dei reciproci interessi delle potenze europee.
I rapporti di forza, in partenza numericamente sfavorevoli per Napoleone, lo inducono a tentare di separare politicamente gli avversari, cercando in particolare di non veder mai riunite tutte insieme e contemporaneamente contro di sé le tre potenze continentali: l’Austria, la Russia e la Prussia. Questa linea di condotta si accompagna, naturalmente, alla tempestiva esecuzione di un disegno militare che nel solo mese di ottobre del 1805 – con la vittoria di Eichingen e la capitolazione di Ulm– porta Napoleone a raggiungere Vienna, occupata dalle truppe francesi il 13 novembre.
La successiva battaglia di Austerlitz, combattuta il 2 dicembre, rimane per genialità di visione strategica uno dei momenti più alti dell’epopea napoleonica: “un esercito di 100 mila uomini [...] è stato in meno di quattro ore distrutto o disperso”, afferma il bollettino di quella giornata. In effetti mai come in questo momento si vede la radicale distanza di due epoche, ancor più che di due eserciti, che separa i risoluti soldati della nuova Francia dalle lente e mal disposte truppe degli antichi Stati.
Vittorie e resistenze
La dissoluzione del Sacro Romano Impero, quale conseguenza della pace di Presburgo (26 dicembre 1805), e la successiva nascita (luglio 1806) della Confederazione del Reno infondono nuovo dinamismo politico e ideale al mondo germanico, inducendo la Prussia a entrare con l’Inghilterra, la Russia e la Svezia nella cosiddetta Quarta Coalizione. Del resto, la sconfitta subita a Trafalgar dalla flotta francese nello stesso anno di Austerlitz, conferma la supremazia britannica sul mare e rafforza il proposito della potenza inglese di non consentire alcun equilibrio sul continente senza un sostanziale ridimensionamento delle ambizioni napoleoniche, che si manifestano nuovamente nei primi mesi del 1806 con l’attribuzione ai due fratelli Giuseppe e Luigi Bonaparte rispettivamente del trono di Napoli e di quello d’Olanda. Il successo militare di Napoleone, con la grande vittoria di Jena (1806), non è meno rapido di quello ottenuto l’anno precedente. L’accanimento dei successivi combattimenti di Eylau, tuttavia, mostra precocemente che importanza abbia, nella resistenza antifrancese, il fatto di combattere in difesa della propria patria contro un nemico che sembra ormai inseguire solo un disegno universalistico o ancora peggio personalistico di dominio. Inoltre, l’adozione del blocco continentale nel corso di quella campagna va chiarendo il senso di una lotta complessiva per nuovi equilibri in Europa e ciò aggrava indubbiamente le difficoltà di Napoleone nel ricercare possibili alleanze, o almeno nell’evitare il coalizzarsi delle forze tra le potenze continentali. L’alleanza tra Russia e Prussia sopravvive, infatti, sia alla sconfitta di Jena che a quella di Eylau e solo la battaglia di Friedland induce lo zar Alessandro I Romanov a concludere la pace di Tilsit (1807). Sancita con grande sfarzo e con l’esibizione di reciproca stima tra i due sovrani, la pace viene allora salutata come il momento di stabilità più autentico dell’avventura napoleonica.
Francia e Russia sono in grado, in effetti, non solo di garantirsi l’un l’altra, ma anche d’imporre ai rispettivi alleati un duraturo equilibrio di forze. Da questo quadro, tuttavia, continua a rimanere largamente estranea l’Inghilterra che, attraverso il Portogallo e la Spagna, può violare il blocco economico: Napoleone interviene allora nella penisola iberica, turbando il recente equilibrio, tanto faticosamente raggiunto.