Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei primi secoli dell’alto Medioevo la prosa sacra si era limitata quasi esclusivamente alla produzione di trattati esegetici; col sorgere di dibattiti dogmatico-dottrinali e di nuove dispute ereticali riceve un nuovo impulso la produzione di opere di contenuto teologico e omiletico. Di minor rilievo la produzione mistica, che conseguirà maggior sviluppo nei secoli del basso Medioevo.
Pseudo-Dionigi Areopagita
La causa di ogni cosa
De mystica theologia
Diciamo, dunque, che la Causa di tutte le cose e che sta al di sopra di tutte le cose non è né senza sostanza né senza vita né senza ragione né senza intelligenza; tuttavia, non è né un corpo né una figura né una forma, e non ha quantità o qualità o peso; non è in un luogo; non vede, non ha tatto sensibile, non sente né cade sotto la sensibilità; non conosce disordine e perturbazione per essere agitata dalle passioni materiali; non è debole né soggetta agli errori sensibili; non ha bisogno della luce, non subisce mutamento o corruzione o divisione o privazione o diminuzione; non è alcuna delle cose sensibili, né le possiede. […] non è tenebra e non è luce, né errore né verità, e nemmeno esiste di lei in senso assoluto affermazione o negazione, ma quando affermiamo o neghiamo le cose che vengono dopo di lei, non affermiamo né neghiamo lei; dal momento che supera ogni affermazione la causa perfetta e singolare di tutte le cose, e sta al di sopra di ogni negazione l’eccellenza di chi è sciolto assolutamente e da tutto e sta al di sopra dell’universo
D. Areopagita, Tutte le opere, a cura di E. Bellini, trad. it. di P. Scazzoso, Milano, Rusconi, 1981
Giovanni Scoto Eriugena
Elogio a Giovanni Apostolo
Omelia super Prologum Iohannis, I, 1-2
Allora, il volatile spirituale, dal rapido volo, dallo sguardo che vede Dio – Giovanni il teologo, voglio dire –, trascende ogni creatura visibile e invisibile, penetra ogni oggetto d’intellezione, e compie, deificato, il suo ingresso in Dio che lo deifica. O Paolo santo, sei stato rapito, come tu affermi, al terzo cielo, al paradiso, ma non sei stato rapito al di sopra di ogni cielo e di ogni paradiso. Giovanni ha lasciato dietro di sé ogni cielo edificato, ogni creato paradiso, cioè ogni natura umana ed angelica. Nel terzo cielo, o vaso di elezione e maestro delle genti, hai udito parole che non è permesso all’uomo pronunciare. Giovanni, sguardo indagatore della più intima verità, al di sopra di ogni cielo, nel paradiso dei paradisi, cioè nella causa di tutte le cose, ha udito il Verbo unico e solo, attraverso il quale sono state fatte tutte le cose. A lui è stato permesso di pronunciarlo e di annunciarlo agli uomini, per quanto agli uomini può essere annunciato, quindi con fondata sicurezza innalza la sua voce: In principio era il Verbo.
Scoto Eriugena, Il prologo di Giovanni, a cura di M. Cristiani, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 1987
Nei primi secoli del Medioevo la Bibbia (il libro per eccellenza dell’identità cristiana), la dottrina dei Padri della Chiesa e la liturgia mantengono una posizione di forte centralità nel dibattito riguardante la riflessione su uomo e Dio e il peso esercitato dalla loro eredità è fondamentale per la formazione degli scrittori altomedievali.
Durante l’alto Medioevo la teologia medievale è ancora e soprattutto esegesi. Mentre in età patristica e altomedievale l’interpretazione della Bibbia si esplica attraverso il sermo (legato alla prassi della lettura liturgica) e il commentum (che esamina il testo biblico parola per parola), in età carolingia la scuola (luogo di incontro privilegiato della cultura) vede perfezionarsi nuovi strumenti ermeneutici: la catena (un florilegio formato da una serie di brani esegetici copiati sui margini), la glossa (un commento inserito intorno e tra le righe del testo scritturale), il sistema dei sensi (letterale e spirituale), il florilegium e i compendia tratti dalle opere dei Padri. Non tutti i libri della Bibbia sono commentati in pari misura: fino al VII secolo i libri storici e quelli sui profeti non sono oggetto di indagini particolari, mentre sono letti e commentati in modo sistematico il Libro dei Salmi (su cui il novizio compie il suo tirocinio), il Cantico dei cantici e l’Apocalisse.
Al periodo dell’esilio costantinopolitano va ascritta la stesura della prima redazione dell’Expositio Psalmorum di Cassiodoro, mentre la seconda redazione, arricchita di citazioni bibliografiche, pare rimontare ai primordi del periodo vivariense. Nel commento, diviso in tre tomi (uno per ciascuna quinquagena sul modello delle Enarrationes in psalmos di Agostino), agli interessi strettamente esegetici (viene proposta un’interpretazione dei Salmi in chiave cristocentrica) vengono a sommarsi quelli retorico-grammaticali; l’approccio letterario al Testo Sacro è un elemento che connota fortemente tutta l’opera (con molti riferimenti ai tropi e alle figure della retorica antica), tanto da suscitare la polemica contenuta nell’epistola dedicatoria dei Moralia in Iob di papa Gregorio Magno. Nella penisola iberica Isidoro di Siviglia scrive due opere esegetiche: le Quaestiones in Vetus Testamentum (esegesi allegorica e tipologica del testo biblico) e le Allegoriae quaedam Sacrae Scripturae (spiegazione in chiave allegorica dei nomi dei personaggi biblici). Al Beato di Liebana si devono i Libri XII in Apocalypsin, testo esegetico con struttura a catena, che documenta una conoscenza fuori dal comune della letteratura patristica e medievale (Isidoro, Ireneo di Lione, Ticonio, Primasio di Adrumento, Gregorio di Elvira e Apringio di Béjà); notevole è l’apparato decorativo che in molti codici accompagna il testo. In Gran Bretagna Beda il Venerabile è il più grande interprete delle Sacre Scritture della Chiesa d’Occidente; nei suoi commentarii (spesso strutturati come vere e proprie catenae di estratti dai Padri) è passato in rassegna un terzo dell’Antico Testamento (Genesi, Samuele, Re, Ezra, Neemia, Cantico dei Cantici, Tobia) e metà del Nuovo Testamento (Marco, Luca, Atti degli Apostoli, Epistole e Apocalisse). Il franco Ambrogio Autperto nel Commentarium in Apocalypsin – una dettagliata compilazione di testi patristici, tra cui Primasio di Adrumeto – tocca i più importanti temi della spiritualità.
Col trascorrere dei secoli la produzione esegetica viene affiancata da quella teologica, che diventa sempre più abbondante e complessa nei temi e negli argomenti trattati, in concomitanza con il diffondersi di nuove questioni dogmatiche e movimenti ereticali. Nel IV secolo giungono dall’Oriente in Occidente le opere di Clemente Alessandrino, Origene, Gregorio Nazianzeno,Basilio il Grande e più tardi di Massimo il Confessore; ma è soprattutto con Gregorio di Nissa che la dottrina teologica e mistica dei Padri greci entra nel periodo della maturità. Provenienti da ambienti pagani imbevuti di neoplatonismo, con una formazione culturale vastissima, essi non esitano ad accogliere elementi non cristiani nei loro sistemi di pensiero, conservando l’impianto metafisico basato sull’Uno plotiniano e applicando le categorie del Logos al cristianesimo, che dunque si profila come summa e sintesi ideale della sapienza divina.
Il Medioevo latino eredita e rielabora la dottrina spirituale dei Padri orientali grazie alla mediazione dei quattro dottori della Chiesa d’Occidente: Ambrogio,Agostino, Girolamo e Gregorio Magno; fondamentale resta anche l’apporto di Giovanni Cassiano. Grazie ai Patri latini si procede gradualmente all’abbandono del sistema neoplatonico cristiano: è soprattutto Agostino ad allontanarsi dalla tradizione greca e a opporre alla teologia pagana la sacra doctrina insegnata nelle Sacre Scritture. Ma se in Agostino il confronto e la conciliazione tra intelligenza e fede sono ancora un progetto tutto da realizzare, all’alba del Medioevo la sintesi teologica del neoplatonismo cristiano trova la sua prima concretizzazione nell’opera di Boezio; il suo pensiero è esposto negli Opuscula sacra (Liber contra Eutychen et Nestorium,De fide catholica,De trinitate e i due trattatelli De hebdomadibus e Utrum Pater et Filius), dove l’autore affronta il dogma cristiano servendosi di categorie desunte dal pensiero greco, mostrando come la coscienza cristiana sia in grado di utilizzare la conoscenza filosofica in quanto capace di offrire argomenti paralleli alla fede (il De hebdomadibus è una grande trattazione teologica basata sull’applicazione del metodo matematico).
Il breve trattato di psicologia cristiana intitolato De anima (538) segna il compimento della conversione spirituale di Cassiodoro; basato su Agostino e Claudiano Mamerto e aggiunto come tredicesimo libro alle Variae, esso presenta la razionalità come peculiare attività dell’anima umana, precisando con chiarezza il contributo che essa può dare all’ascesa spirituale del pensiero umano: la ratio è il movimento spirituale dell’anima, che le consente di riconoscere la verità; vengono affrontate importanti questioni del dogma cristiano in chiave escatologica.
La Bibbia diventa il punto di riferimento di tutti gli aspetti della complessa vicenda intellettuale, spirituale e operativa di Gregorio Magno, per il quale essa è oggetto di esegesi, fonte e sostegno di ogni discorso su Dio e base stessa della vita monastica (la vita del monaco può essere edificata solo attraverso una continua intelligenza e accoglienza della parola divina). In questa prospettiva Gregorio scrive la Regula pastoralis in quattro libri, norma di vita spirituale per i membri del clero; nei 35 libri dei Moralia in Iob offre una triplice lettura esegetica del testo biblico: letterale, mistica e morale; nelle XXII homiliae in Hiezechihelem viene recuperato e rivalutato il concetto di profezia (concretizzata nella figura del praedicator), l’unica dimensione attraverso cui la Chiesa può guidare l’uomo nella Storia.
Sono opere teologiche anche i Sententiarum libri tres di Isidoro (manuale di teologia su questioni di dogmatica, morale e disciplina compilate da fonti patristiche diverse), il De ecclesiasticis officiis (spiegazione degli offici e delle funzioni degli ecclesiastici) e il De fide catholica contra Iudaeos (opera teologica e morale).
Ma è dalla fine del’ VIII secolo e per tutto il IX che riceve un nuovo impulso la produzione di testi teologici, incentrati su questioni dottrinali o prodotti in relazione al sorgere di violente dispute ereticali. L’annoso problema della predestinazione (già affrontato da Agostino) vede coinvolti i maggiori letterati del tempo: Gotescalco d’Orbais viene condannato per le sue idee eretiche da Incmaro di Reims, che scrive in polemica con l’avversario un trattato De una et non trina deitate; contribuiscono ad alimentare il dibattito anche le opere di Floro di Lione e Giovanni Scoto Eriugena, il cui De praedestinatione non sembra tuttavia opporsi in modo netto alla posizione gotescalchiana.
Il visigoto Teodulfo d’Orléans prende parte al dibattito sull’adozionismo con il trattato De Spiritu Sancto, nel quale si oppone alla dottrina bizantina facendosi sostenitore della posizione occidentale, che predica la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio (il famoso filioque del Credo). A Rabano Mauro si deve il trattato dogmatico De anima, mentre a Walafrido Strabone è stata erroneamente assegnata la Glossa ordinaria, poi ricondotta ai maestri attivi nella scuola di Laon nel corso del XII secolo.
Grazie alla riflessione intellettuale di Agostino, che estende la possibilità dell’esperienza mistica al singolo individuo di fede cristiana, e di Gregorio Magno, che lo subordina alle esigenze della vita cristiana attiva, il dualismo esistente fra vita cristiana e mondo viene riassorbito in una continua tensione escatologica, che resta una caratteristica costante della Chiesa latina.
Lo Pseudo Dionigi Areopagita è uno degli ultimi nostalgici del platonismo; i suoi trattati sono mistica speculativa pura, con pochi elementi cristiani (De mystica theologia). La sua teologia negativa offre un contributo fondamentale per la dottrina sugli angeli e per la riflessione mistica, in cui al metodo positivo si associa quello negativo: dal nulla dell’uomo si può scoprire il tutto di Dio. L’irlandese Giovanni Scoto Eriugena contribuisce alla divulgazione del pensiero dei Padri orientali traducendo Gregorio di Nissa, Massimo il Confessore e lo Pseudo Dionigi Areopagita, ma scrive anche una Homilia super Prologum Iohannis e un Commentum in Evangelium Iohannis; nel suo De divisione naturae in cinque libri presenta una concezione neoplatonica della natura come emanazione da Dio; in lui non c’è contrasto tra la verità della fede rivelata e la conoscenza filosofica, perché entrambe conducono alla verità ultima, cioè alla verità divina.
Il sermo (o homilia) è un commento al testo biblico letto davanti all’assemblea dei fedeli durante la celebrazione liturgica o l’ufficio divino e si basa sull’auctoritas dei Padri della Chiesa (Ambrogio, Girolamo, Agostino, Gregorio Magno, Beda, Alcuino). Le raccolte omiletiche entrano in uso in Occidente dal VI secolo con la Regula di san Benedetto, in particolare si diffondono le Homiliae XL in Evangelia di Gregorio Magno (destinate alla pubblica declamazione) e le Homiliae Evangelii di Beda, del 730-735.
Dietro richiesta dell’imperatore Carlo Magno il longobardo Paolo Diacono si dedica all’allestimento del primo Homiliarium ufficialmente adottato dalla Chiesa occidentale, in cui sono raccolti e ordinati per circulum anni 244 sermoni desunti dalle opere dei Padri della Chiesa; la raccolta soppianterà tutti gli omiliari precedenti (Cesario di Arles, Avito di Vienne, Beda, Floro di Lione) e godrà di immensa fortuna, restando in uso fino al XX secolo.