Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La stratificata tradizione del racconto breve fra XIII e XIV secolo si forma tra Oriente e Occidente nell’ampia zona geografica e narrativa dell’Europa medievale. La natura esemplare dei racconti orientali di provenienza araba e indiana viene presto assimilata dalle raccolte occidentali di exempla che, insieme con le altre forme narrative romanze (il lai, il fabliau, la vida, la legenda), costituiscono le premesse per la futura elaborazione della forma principale della narrativa breve in volgare italiano: la novella.
Lo ’mperadore Federigo andava una volta a falcone e avevano uno molto sovrano che l’avea caro più ch’una cittade. Lasciollo a una grua; quella montò alta. Il falcone si misse alto molto sopra lei. Videsi sotto un’aguglia giovane; percossela a terra, e tanto la tenne che l’uccise. Lo ’mperadore corse, credendo che fosse una grua: trovò com’era. Allora con ira chiamò il giustiziere, e comandò che al falcone fosse tagliato il capo, perch’avea morto lo suo signore.
dal Novellino
Tra i pagani in una delle nostre province scorre un fiume che chiamano Indo. Questo fiume, che sgorga dal Paradiso, distende i suoi meandri in bracci diversi per l’intera provincia e in esso si trovano pietre naturali, smeraldi, zaffiri, rubini, topazi, smeraldi orientali, onice,berilli, ametiste, agate e molte altre pietre preziose.
Testo originale:
Inter paganos per quandam provinciam nostram transit fluvius, qui vocatur Ydonus. Fluvius iste de paradiso progrediens expandit sinus suos per universam provinciam illam diversis meatibus, et ibi inveniuntur naturales lapides, smaragdi, saphiri, carbunculi, topazii, crisoliti, onichini, berilli, ametisti, sardìì e plures preciosi lapides.
Le forme brevi della narrativa medievale disegnano un’articolata mappa europea dei mondi di invenzione. Il racconto breve in volgare italiano emerge da un insieme eterogeneo di componimenti narrativi tramandati oralmente e sedimentati nel tempo in una tradizione scritta che testimonia la varietà dei temi e, soprattutto, la permeabilità dei confini tra le due principali civiltà che si affacciano sul Mediterraneo: la civiltà arabo-musulmana e la civiltà cristiana. Tra Oriente, terra dal vasto immaginario geografico, e Occidente è il mare Mediterraneo a rendersi protagonista, veicolando nel territorio europeo le molte storie dell’umanità.
Durante tutto il Medioevo la civiltà arabo-musulmana raccoglie le trame narrative di altre civiltà orientali limitrofe, a partire dalle prime tangenze tra la letteratura persiana e la stessa letteratura araba, o dalle commistioni tra le favole indiane e gli inserimenti narrativi mesopotamici, egiziani o turchi.
Storie che provengono dalla Cina, o più genericamente dall’Asia, ripercorrono la penisola arabica e incontrano un contesto culturale interessato al tema del viaggio e, di conseguenza, alla letteratura geografica.
Alcuni testi fondamentali di questa stratificata tradizione narrativa in lingua araba consegnano all’Europa occidentale un materiale narrativo multiforme e ricco di informazioni. A raccogliere questa eredità tra XII e XIII secolo sono due importanti figure di regnanti, che dominano le principali terre di frontiera: Federico II di Svevia in Sicilia e Alfonso X il Saggio, re di Castiglia e di León, promuovono importanti centri di traduzione, che trasferiscono in latino e, nella corte alfonsina, in castigliano i testi scientifici, filosofici e narrativi della cultura araba.
Uno dei lasciti decisivi della tradizione narrativa orientale per le sorti del racconto breve in volgare italiano è il racconto di cornice, che si realizzerà pienamente nel Decameron di Giovanni Boccaccio. Dall’India attraverso la Persia proviene la struttura del racconto-cornice (racconto che contiene o incornicia altri racconti), il cui motivo principale è di ritardare l’incombere di un’azione tragica con l’incanto delle parole.
È il modello delle Mille e una notte, testo principe della narrativa araba, che raccoglie le più antiche stratificazioni folkloriche orientali, ma la cui diffusione in Occidente si attesta ufficialmente solo con la prima stampa francese tra il 1704 e il 1712 a opera di Jean -Antoine Galland. L’idea di un racconto a cornice si ritrova anche nell’antologia di racconti in persiano Sukasaptati o nella vasta raccolta di racconti indiani Kata sarit sagara o Oceano di tutti i fiumi dei racconti. Testo a cornice è il Libro di Sindbad o Libro dei Sette Savi, una raccolta di racconti esemplari formatasi probabilmente in India e successivamente tradotta in persiano, in arabo, in greco, in ebraico e in latino verso la fine del XIII secolo da Giovanni di Altaselva con un nuovo titolo: Dolopathos. Altro racconto a cornice, il cui elemento principale risiede piuttosto nella rivelazione di una verità o nella difesa di un’idea è rappresentato dalla ricezione in Occidente del Libro di Kalila e Dimna, una raccolta di favole in arabo, la cui prima versione proviene da un erudito e divulgatore della cultura iranica preislamica: Ibn al-Muqaffa‘. È un testo che proviene da lontano - in quanto risale all’antico Panchatantra sanscrito (o Le cinque occasioni di saggezza) composto attorno al terzo secolo d.C - e che viene proiettato nel futuro grazie alla traduzione in latino di Giovanni da Capua intorno al 1270 con un nuovo titolo (Directorium humanae vitae alias parabolae antiquorum sapientium) che ne ha consentito la circolazione in tutta l’Europa e per molti secoli. Altri due testi fondamentali per la ricezione occidentale e cristiana di raccolte orientali sono l’indiano Barlaam e Josaphat, che entrerà nella Legenda Aurea (1260-1267) di Iacopo da Varazze e la Disciplina clericalis di Pietro Alfonso, un medico ebreo aragonese convertito al cristianesimo. Tradotto in latino, conoscerà una diffusione europea straordinaria nel Libro de los enxiemplos del Conde Lucanor et de Petronio (1337) di Don Juan Manuel, nel Decameron di Boccaccio e nei Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer.
La natura esemplare e pedagogica di questi racconti orientali di provenienza araba e indiana si assimilerà al parallelo filone occidentale delle raccolte di exempla del XII, XIII e XIV secolo. L’affinità dei racconti di origine orientale e degli exempla faciliterà il dialogo tra le due civiltà, che porterà all’elaborazione, insieme alle altre forme narrative romanze (il lai, il fabliau, la vida, la legenda), della novella.
Nel Codice panciatichiano 32 della Biblioteca Nazionale di Firenze, il più esteso codice trecentesco di novellistica sopravvissuto fino a noi, è conservato un insieme eterogeneo di novelle anonime sparse, che dimostrano la volontà di rappresentare la viva realtà municipale, con brevi storie di beffa erotica, di motti arguti o di avventure, che diventano lo specchio della nuova società fiorentina, così come verrà di lì a poco mirabilmente ritratta nel Decameron di Giovanni Boccaccio. Il Novellino è la prima corposa raccolta di novelle, redatta in ambiente fiorentino. È un’antologia di brevi racconti, è anonima e la datazione oscilla tra il 1280 e il 1300. Non ha cornice ma raccoglie 99 brevi componimenti di diversa impostazione formale: le novelle sono i “fiori di parlare, di belle cortesie e di be’ risposi e di belle valentie e doni”. La raccolta si presenta, così, come una miscellanea di varia umanità, vista come un giardino colorato e ricco di fiori o come un orto pieno di delicati frutti. Il titolo Novellino sarà usato per la prima volta da Giovanni Della Casa in una lettera del 1525 al primo curatore di questa opera, che ne seguirà la prima stampa (Ciento novelle antike, Bologna, 1525). Il titolo originale, invece, si ricava dal codice manoscritto: Libro di novelle et di bel parlar gientile.
La difficile tradizione manoscritta rende complessa l’organizzazione del testo, a volte lacunoso. Nel Prologo sono presentate le finalità del narrare: l’autore dichiara di raccontare “novelle” per offrire ai suoi lettori dal “cuore nobile e intelligenzia sottile” utili consigli e al contempo il giusto diletto. Tra esempi di vizi e virtù si trovano anche racconti più liberi dalla dimensione pedagogica e più orientati al diletto. Due protagonisti del mondo cristiano e islamico restano a testimoniare ancora una volta il dialogo tra Oriente e Occidente: Federico II e il Saladino. La corte palermitana di Federico II viene rappresentata nello sfarzo orientale, tra animali esotici (come dromedari, cammelli, leopardi) e storie di magia. La figura controversa di questo imperatore (condannato tra gli eretici nella Commedia di Dante) è esemplificata nella dimensione fantastica e misteriosa in cui viene rappresentato. D’altronde un’eco di questo filone si ritrova nell’episodio del Veglio della Montagna nel Milione (1298) di Marco Polo. Alla leggenda del Veglio della Montagna, si può aggiunge quella del Saladino che resta come un eroe della magnanimità cavalleresca.
L’idea di un Oriente vasto e magico permane a lungo nell’immaginario narrativo dell’Occidente medievale. In un anonimo manoscritto latino medievale (La lettera del Prete Gianni del XII secolo ca.), tradotto in molte lingue e dalla vasta fortuna, si legge della “vera” esistenza di un regno dai confini indefiniti, costituiti dalle tre Indie, un deserto e le terre occidentali, e che tra le stupefacenti meraviglie e le sconfinate ricchezze contiene anche alcune pietre magiche, capaci di procurare effetti atmosferici e ottici di straordinaria intensità: una pietra produce il freddo più acuto, un’altra il calore più violento, un’altra ancora il freddo e il caldo insieme. Nelle terre orientali del Prete Gianni, sovrano dei sovrani e protettore di tutti i cristiani, si trovano pietre di straordinaria virtù magica: “cose mirabili” (cetera mirabilia), incredibili e prodigiose. Esiste, poi, in questo strano luogo, sospeso tra gli orizzonti dell’immaginazione, una grande pietra a forma di conchiglia che possiede la meravigliosa virtù di guarire da ogni malattia chi è cristiano o anche chi voglia convertirsi al cristianesimo.
L’intenzione pedagogica di molte di queste raccolte si accorda con le finalità esemplari della coeva letteratura omiletica cristiana medievale, che ha una prima origine nell’agiografia del VI secolo (le Vitae Patrum) e che continua nel vivo delle predicazioni francescane e domenicane tra XII e XIII secolo. Una delle prime manifestazioni della narrativa medievale occidentale sono le raccolte di esempi scritte in latino e volgarizzate in toscano. Lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, volgarizzato con il titolo Fiori e vita di filosofi e d’altri savi e d’imperadori offre esempi morali di grandi personalità storiche, secondo una consuetudine dell’epoca, come dimostrano altre raccolte di leggende cavalleresche (I conti di antichi cavalieri, XIII secolo) e altre raccolte di esempi moraleggianti come il Ludus scacchorum moralizatus (primi del XIV secolo) e I conti morali (fine XIII secolo). Un filone che verrà sviluppato da scrittori-predicatori di grande levatura come il monaco cistercense Cesario di Heisterbach (Dialogus miraculorum) o ancora Domenico Cavalca, Iacopo Passavanti con lo Specchio di vera Penitenza (1302-1357) o fra Giordano da Pisa con il Quaresimale fiorentino (1305-1306). L’uso del volgare nella predicazione ai laici comincia fin dal XIII secolo e tra le prediche tenute in varie chiese e nelle piazze di Firenze quelle di fra Giordano da Pisa sono considerate centrali per la narrativa breve in lingua volgare: la sua capacità affabulatoria è ricca, intensa e si avvale contemporaneamente dei Testi Sacri, patristici e di testi profani, spesso interpretati in chiave allegorica.
Da Giovanni Boccaccio a Matteo Bandello, la tradizione novellistica, nata alla confluenza tra le due civiltà, continuerà ad attingere da tutte le fonti, mantenendo viva la ricchissima eredità di strutture, di trame, di temi e stilemi narrativi dei mondi di invenzione d’Oriente e d’Occidente.