Le dispute eucaristiche
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Già a partire dall’età carolingia, l’intelligenza spirituale della fede cristiana deve confrontarsi con l’esigenza di chiarificazioni di ordine razionale, soddisfatta, non senza contrasti a volte anche drammatici, mediante l’applicazione in divinis dell’ars dialectica: il dibattito teologico perviene a un punto di rottura intorno alla metà dell’XI secolo, come testimonia in modo particolare la disputa eucaristica sollevata da Berengario di Tours.
Pier Damiani
Fede e dialettica
Epistola de divina omnipotentia
Di certo, quel che si deduce dagli argomenti dei dialettici o dei retori non lo si potrebbe applicare tale e quale ai misteri della potenza divina; che non si ostinino dunque ad introdurre nelle Leggi sacre quel che è stato inventato per regolare l’uso dei sillogismi o le conclusioni degli enunciati; e neppure oppongano le loro conclusioni “necessarie” alla potenza divina. Se la scienza umana dev’essere impiegata nell’esame della Parola sacra, che non abbia a rivendicare a sé con presunzione il magistero; piuttosto, come una serva, assecondi la sua padrona, con la sottomissione che deve essere propria di chi serve, per evitare il rischio, sopravanzandola, di smarrirsi oltreché perdere, seguendo le concatenazioni dei termini esteriori, la luce della potenza interiore e la via diritta che conduce alla verità.
in A. Cantin, Fede e dialettica nell’XI secolo, Milano, Jaca Book, 1996
Lanfranco di Pavia
In risposta alle questioni dialettiche
De corpore et sanguine domini
Cercheremo di ribattere a queste ragioni dialettiche, affinché tu non abbia a pensare che su questo punto batto in ritirata dinanzi a te per mancanza di scienza. Forse alcuni vedranno in questo comportamento iattanza e l’attribuiranno più all’ostentazione che alla necessità. Ma Dio e la mia coscienza mi sono testimoni che, quando si tratta di lettere divine, io desidererei evitare di proporre questioni dialettiche ed anche di dover fornire soluzioni in risposta a questioni dialettiche proposte. Tuttavia, quando il tema della disputa è tale da poter essere illustrato più chiaramente per mezzo delle regole di questa scienza, dissimulo la scienza, più che posso, sotto proposizioni equivalenti, affinché non sembri confidare più in questa scienza che nelle verità e autorità dei santi Padri. E questo anche se il beato Agostino, in alcuni suoi scritti, in particolare nella sua opera Sulla dottrina cristiana, pronuncia un magnifico elogio di questa disciplina ed afferma l’estensione della sua validità ad ogni ricerca inerente le lettere sacre.
in A. Cantin, Fede e dialettica nell’XI secolo, Milano, Jaca Book, 1996
Berengario di Tours
Uso della ragione
Rescriptum contra Lanfrancum
Quanto a ciò che tu osi scrivere, cioè al fatto che io avrei abbandonato le autorità sacre, io affermo che diverrà a tutti chiaro, con l’aiuto della divinità, che si tratta di una calunnia e non di una verità, per quel che concerne le questioni in cui è possibile produrre delle autorità sacre e argomentare a partire da esse. Benché servirsi della ragione per conoscere la verità sia incomparabilmente meglio, dato che la verità è conosciuta nell’evidenza. Questo nessuno lo può negare, a meno che non sia accettato dalla pazzia […]. In verità è proprio di uno spirito sommamente magnanimo ricorrere alla dialettica in ogni questione, dato che ricorrere ad essa significa ricorrere alla ragione; e colui che non ricorre alla ragione, dato che è stato fatto a immagine di Dio proprio in quanto dotato di ragione, smarrisce la sua dignità senza avere più la possibilità di essere rinnovato giorno per giorno a immagine di Dio.
in A. Cantin, Fede e dialettica nell’XI secolo, Milano, Jaca Book, 1996
Nell’XI secolo, l’esigenza di rinnovamento religioso che si esprime nella riforma del monachesimo benedettino, è accompagnata da una progressiva elaborazione filosofica delle questioni teologiche: la discussione, spesso ricondotta semplicisticamente all’opposizione tra “dialettici” e “antidialettici”, verte sul ruolo dell’arte che insegna ad argomentare, distinguendo il vero dal falso, nei confronti della parola rivelata. Intesa come strumento di razionalizzazione del discorso della fede o come disciplina ancellare degli studi sacri, la dialettica ricopre sempre una funzione irrinunciabile nelle risoluzioni delle principali questioni teologiche. Pier Damiani rappresenta una delle voci più autorevoli a difesa della fede contro le insidie della cultura profana, ma nelle sue opere si dimostra un profondo conoscitore delle arti liberali.
L’incontro con alcuni monaci dialettici nell’abbazia di Monte Cassino, impegnati nella contestazione logico-razionale del dogma dell’onnipotenza divina, spinge Pier Damiani a denunciare gli esiti ereticali cui può condurre un utilizzo spregiudicato della dialettica, che deve essere sempre posta al servizio della Parola divina. In questo contesto, la disputa eucaristica suscitata da Berengario di Tours è uno dei momenti più significativi della controversia sull’applicazione delle regole della logica alla speculazione teologica. La problematica non è nuova: già gli intellettuali carolingi si erano confrontati su questa e altre questioni teologiche, come il destino ultraterreno dell’uomo e l’immortalità dell’anima. La discussione sull’Eucarestia, nata dall’esigenza di precisare il tipo di relazione che intercorre tra il corpo sacramentale e il corpo storico di Cristo, registra infatti nel IX secolo la posizione di Pascasio Radberto, che nel De corpore et sanguine domini teorizza la realtà concreta della presenza del corpo di Cristo nel sacramento eucaristico, suscitando l’opposizione di Gotescalco di Orbais, Rabano Mauro e di Ratramno di Corbie, sostenitore della presenza spirituale del corpo di Cristo, e dunque del valore simbolico del sacramento.
La discussione si riaccende due secoli più tardi, negli anni in cui il conflitto tra papato e impero si fa particolarmente intenso.
La posizione di Berengario, allievo di Fulberto di Chartres e poi maestro di arti liberali a Tours, è l’espressione di un coerente realismo degli universali: proprio al fine di preservare l’immutabilità e la perfezione dell’autentica res sacramentale, di cui pane e vino sono simbolo sacro, egli crede di dover interpretare in ottica simbolico-spiritualista il mistero eucaristico, negando quindi la trasformazione sostanziale del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo. Riprendendo le nozioni aristoteliche di sostanza e accidente, Berengario afferma che se una sostanza scompare, scompaiono anche le sue proprietà, che sono intrinsecamente legate a essa: se nell’Eucaristia la sostanza del pane e del vino scomparisse, dovrebbero scomparire anche le proprietà accidentali, come il sapore e il colore, cosa che è puntualmente contraddetta dai sensi. Di conseguenza, le sostanze del pane e del vino devono continuare a sussistere anche durante la consacrazione. Restando invariati gli accidenti visibili, non può venir meno – secondo il ragionamento di Berengario – la sostanza del pane e vino consacrati, dal momento che gli accidenti non possono sussistere senza il soggetto cui ineriscono. Il realismo di Berengario emerge anche da un altro argomento, questa volta di ordine grammaticale, che egli porta a sostegno della sua tesi: nella formula eucaristica “Hoc est corpus meum ”, il pronome indica la sostanza del pane, che non può essere vanificata dal predicato, senza compromettere la validità dell’intera proposizione. Altri due discepoli di Fulberto, Adelmanno di Liegi e Ugo di Bréteuil, richiamandosi alla posizione espressa due secoli prima da Pascasio Radberto, contestano la teoria di Berengario e il suo metodo, in cui riscontrano un abuso di argomenti dialettici.
Il canonico di Tours fonda la difesa dello spiritualismo eucaristico sul trattato De corpore et sanguine domini di Ratramno di Corbie, che egli però attribuisce erroneamente a Giovanni Scoto Eriugena; tuttavia è costretto a rinnegare la sua dottrina, dopo aver subito una serie di condanne in numerose assemblee conciliari tra il 1049 e il 1079, per opera dei principali esponenti del partito riformatore. Ugo di Langres rimprovera Berengario di non tener conto dell’immensità della potenza divina, che trascende le capacità conoscitive dell’uomo; Adelmanno di Liegi crede che la ragione umana non possa comprendere il mistero della transustanziazione. Più articolata la posizione di Alger di Liegi, che, a partire dalla distinzione tra le sostanze intese come nozioni intellegibili e gli accidenti intesi come apparenze sensibili delle cose, concede che il pane e il vino siano chiamati “corpo di Cristo” soltanto per similitudine, in relazione alle loro proprietà accidentali ma, in relazione alla loro sostanza, essi devono considerarsi realmente il corpo di Cristo. Nel concilio di Bordeaux del 1080, Berengario è costretto a sottoscrivere di credere che “dopo la consacrazione il pane diventa il vero Corpo di Cristo, quel corpo nato dalla Vergine e che il pane e il vino sull’altare, grazie al mistero della preghiera santa e delle parole del Nostro Salvatore, vengono convertiti in sostanza nel Corpo e Sangue del Signore Gesù Cristo.”
Il più celebre avversario di Berengario è senza dubbio Lanfranco di Pavia, priore dell’abbazia del Bec in Normandia, maestro di Anselmo d’Aosta e suo predecessore sul seggio arcivescovile di Canterbury. La sua opera più famosa è il Liber de corpore et sanguine Domini, in cui sferra un attacco duro a Berengario, accusato di manipolare le fonti, di non conoscere le regole della logica e di sottomettere la verità e il magistero della Chiesa alle argomentazioni dialettiche.
Lanfranco evidenzia l’insostenibilità della teoria dello spiritualismo eucaristico, facendo leva anch’egli sia sulle autorità cristiane che su ragioni dialettiche a esse conformi, al fine di mostrare in cosa debba consistere il contributo delle arti liberali e del sapere profano alla chiarificazione della fede cristiana. Lanfranco accusa Berengario di aver anteposto l’indagine logico-filosofica della natura del sacramento ai dati della Rivelazione: la fede nel mistero eucaristico non può essere condizionata da alcun preconcetto razionale. Soltanto sulla solida base della fede è possibile, e anzi auspicabile, il ricorso agli strumenti filosofici, che aiutano a interpretare l’enunciato del dogma, senza pretendere di spiegare le condizioni della sua realizzazione. Una volta ripristinato il rectus ordo tra la fede e la ragione, Lanfranco, pienamente consapevole del problema posto dall’uso della dialettica nell’ambito della scienza sacra, difende la dottrina della transustanziazione facendo ricorso alla classificazione aristotelica delle specie di movimento, al cui interno individua un’unica modalità applicabile al caso dell’eucaristia, vale a dire l’alterazione della realtà naturale, che nel mondo sensibile comporta l’immutabilità della sostanza e il variare degli aspetti accidentali. Sulla base del previo consenso alla verità di fede, Lanfranco può affermare che, per ragioni che superano la limitata capacità di comprensione dell’uomo, e che attengono in ultima istanza all’imperscrutabile principio dell’onnipotenza divina, nel caso dell’eucaristia avviene il contrario: le sostanze del pane e del vino si trasformano, mentre le apparenze accidentali non mutano. La formulazione dottrinale di Lanfranco, approvata durante il concilio lateranense III del 1079 alla presenza di Gregorio VII, ripresa nel XIII secolo da Tommaso d’Aquino, che circostanzia il concetto di transustanziazione, diventa dogma della fede nel concilio lateranense IV (1215), riaffermato più di tre secoli dopo contro i protestanti, nel concilio di Trento (1551).