Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le rivoluzioni americana e francese costituiscono il punto di partenza del moderno costituzionalismo. Pur diverse nello svolgimento e negli scopi, le due rivoluzioni hanno alla loro base il pensiero politico moderno e la sua critica delle istituzioni tradizionali.
Costituzionalismo antico e moderno
Le rivoluzioni di fine Settecento segnano l’inizio del moderno costituzionalismo. Non che nei secoli precedenti fosse mancata una problematica costituzionale, tuttavia questa veniva risolta con strumenti diversi da quelli che si affermano con le rivoluzioni americana e francese.
Prima delle grandi rivoluzioni la garanzia dei diritti dei sudditi dall’arbitrio del sovrano poggia essenzialmente su due fondamenti: da un lato una “tradizione giuridica” che il detentore del potere politico non può modificare unilateralmente senza guadagnarsi l’accusa di dispotismo, dall’altro i “patti” stipulati tra i sudditi – organizzati in ceti e corporazioni – e il monarca, attraverso i quali le due parti si promettono rispettivamente fedeltà e protezione (auxilium et consilium). I baroni inglesi che nel 1215 strappano al re la concessione della Magna Charta limitano l’arbitrio del potere politico mediante precise garanzie giuridiche; e lo stesso fanno i parlamenti francesi quando, nella seconda metà del Settecento, difendono con le loro rimostranze le leggi fondamentali del Regno dalle pretese assolutistiche del sovrano. Ma mentre il costituzionalismo inglese resta fedele alle sue premesse iniziali, sviluppandosi secondo una lenta e graduale evoluzione, nel 1789 quello francese rompe senza compromessi con la propria storia precedente.
Dopo il 1776 e il 1789 la via maestra del costituzionalismo passa per la dichiarazione dei diritti e la costituzione scritta. Sono proprio questi due elementi a segnare la svolta tra l’antico e il moderno, tra quello che i Francesi chiameranno l’ ancien régime e il tempo nel quale ancora oggi viviamo. Il manifesto della nuova era è riassunto dall’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, adottata dall’Assemblea nazionale costituente francese il 26 agosto 1789: “ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata e la separazione dei poteri non è determinata, è priva di costituzione”.
Diversissime negli obiettivi e nello svolgimento, le rivoluzioni americana e francese hanno in comune una matrice filosofica senza la quale è impensabile l’avvento della moderna costituzione: il giusnaturalismo. Ogni discorso sulla dichiarazione dei diritti deve pertanto cominciare dalla filosofia illuminista che tiene a battesimo in Europa un progetto politico radicalmente alternativo a quello tradizionale.
Il giusnaturalismo
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 enuncia all’articolo 1 che “tutti gli esseri umani nascono liberi e in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Quest’affermazione, così scontata ed evidente per noi, non lo è affatto quando viene formulata per la prima volta dai filosofi inglesi e francesi tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento. Fino a questo momento, infatti, la società è vista come un corpo nel quale tutte le membra assolvono la funzione cui la divina provvidenza le ha destinate. L’individuo non conta in quanto tale, ma solo come parte di un’entità più ampia, sia essa l’ordine (clero, nobiltà, terzo stato), la corporazione o la comunità locale; il potere politico non è legittimato dal consenso dei sudditi, ma dal volere divino e dal principio dinastico; la coesione dell’ordine sociale è assicurata dal rispetto della gerarchia e dell’autorità.
Tutto cambia con le opere di autori quali John Locke e Jean-Jacques Rousseau, i due principali teorici (insieme a Thomas Hobbes) del pensiero politico moderno: l’individuo in quanto tale è titolare di diritti naturali, come quelli alla vita, alla proprietà, alla libertà di pensiero; gli individui vivono in società per libera scelta, sulla base di un contratto; l’ordine politico è legittimo solo in quanto voluto e creato dagli individui mediante l’esercizio del potere costituente; la legge non è il prodotto arbitrario della volontà sovrana, ma il riflesso della ragione universale (ratio, non voluntas facit legem); gli individui hanno diritto di insorgere contro il sovrano che pretenda di violare i loro diritti innati.
A partire da questo momento, la strada è aperta per una forte contestazione delle istituzioni tradizionali, ciò che di fatto avviene prima in America e, poco dopo, in Francia.
Il costituzionalismo americano
Nella Dichiarazione d’indipendenza del 1776 dalla Gran Bretagna le colonie americane invocano il diritto naturale come fondamento per la separazione dalla madrepatria. È la violazione dei diritti fondamentali da parte del sovrano inglese a rendere necessaria l’insurrezione e la costituzione di un nuovo ordine politico; il legame con il giusnaturalismo è quindi indiscutibile.
Tuttavia, la rottura del costituzionalismo americano rispetto a quello inglese è meno netta di quello che potrebbe a prima vista apparire. Certo le costituzioni americane dei singoli Stati prima, della Confederazione (1781) e della Federazione (1787) poi, presuppongono tutte l’esistenza di un potere costituente: “noi, popolo degli Stati Uniti” è la suggestiva formula di apertura della Costituzione federale del 1787.
Ciononostante, il legame con la tradizione britannica rimane ancora forte nell’organizzazione dei poteri e persino nei contenuti dei diritti individuali. Se infatti il sistema federale costituisce una novità assoluta nella forma in cui è adottato dai costituenti americani, non del tutto nuova è invece la configurazione del potere esecutivo e del bicameralismo. Il potere di veto del presidente degli Stati Uniti ricorda l’analogo potere del re inglese e il bicameralismo evoca anch’esso l’articolazione in due camere del potere legislativo in Inghilterra. I costituenti americani si sono ispirati a quell’ideale dello Stato misto (combinazione di monarchia, aristocrazia e democrazia) che sembrava storicamente realizzato dalla costituzione inglese.
La medesima influenza della tradizione britannica si riconosce nei Dieci emendamenti alla costituzione federale che valgono in America come equivalente della Dichiarazione dei diritti francese. Vi ritroviamo, ad esempio, due istituti tipici del diritto inglese (Common Law) come l’habeas corpus e la giuria.
Ma perché questo legame con l’Inghilterra in una rivoluzione che dichiara di volersene separare? La ragione è presto detta: i coloni americani vogliono l’indipendenza e una costituzione per garantire meglio quelle libertà dei sudditi inglesi che il monarca e il parlamento di Londra avevano calpestato. Il loro obiettivo non è una rivoluzione sociale, ma una costituzione che limiti il potere politico dopo che questo aveva minacciato la libertà personale e la proprietà.
Il costituzionalismo francese
La meta che insegue il costituzionalismo francese è molto più ambiziosa di quella desiderata dagli Americani. In Francia la Dichiarazione dei diritti e la Costituzione del 1791 non servono solo a limitare il potere, ma sono il veicolo di una rivoluzione sociale.
La Francia non è una società di liberi proprietari come l’America, ma una realtà conflittuale divisa tra possidenti e nullatenenti, stratificata in ceti e corporazioni. I costituenti francesi devono abbattere la società tradizionale con tutte le sue strutture giuridiche, per crearne una nuova, fondata sul principio dei diritti individuali: non accettano l’uomo così come è, vogliono “rigenerarlo”. La loro azione è infinitamente più radicale e intransigente di quella degli Americani: non vi è compromesso possibile con il passato.
Ecco perché tra il 1789 e il 1799 il costituzionalismo francese brucia tutte le tappe della modernità. Le dichiarazioni dei diritti che si succedono nel 1789-1791, 1793 e 1795 passano in rassegna tutti i diritti individuali: civili e politici, ma anche sociali, come quello all’istruzione e all’assistenza. Le costituzioni che si avvicendano negli stessi anni sperimentano a loro volta le forme di governo più svariate: la monarchia “costituzionale”, la repubblica, a sua volta declinata in forme monocamerali e bicamerali, dittatoriali e costituzionali.
Trascinato dall’impeto del suo radicalismo, il costituzionalismo francese non riesce a trovare quel punto di equilibrio che consegue invece quello americano, e rimane prigioniero di contraddizioni insolubili. Dichiara i diritti dell’uomo ma poi, per realizzare la sua missione di rigenerazione, conferisce troppo potere al legislatore. Definisce la proprietà come diritto naturale, ma poi vuole limitarla in funzione sociale. Cerca di addomesticare il potere statale, ma finisce poi per giustificare le violazioni più brutali dei diritti individuali in nome della volontà generale.