Le diable au corps
(Francia 1946, 1947, Il diavolo in corpo, bianco e nero, 110m); regia: Claude Autant-Lara; produzione: Universal/Paul Graetz; soggetto: dall'omonimo romanzo di Raymond Radiguet; sceneggiatura: Jean Aurenche, Pierre Bost; fotografia: Michel Kelbert; montaggio: Madeleine Gug; scenografia: Max Douy; costumi: Monique Dunan, Claude Autant-Lara; musica: René Cloérec.
La privata gioia dell'amore contrasta con il pubblico dolore della guerra; poi la pubblica gioia della pace contrasta col privato dolore della morte. Le diable au corps comincia dalla fine: François Jaubert va, in disparte, ai funerali di Marthe Grangier e ricorda il loro amour fou. Primavera 1917 in un sobborgo di Parigi: Marthe affianca la madre Valérie come infermiera del lazzaretto militare allestito nel liceo di François. Lui la corteggia, la conquista e la perde in un unico giorno; avvilito, chiede al padre di fargli terminare l'anno in collegio. Alla fine dell'estate torna in classe al vecchio liceo. Nel frattempo lei è diventata moglie del combattente con cui era fidanzata. Ma la legalità di un legame nulla può contro l'assenza del coniuge. L'amore tra Marthe e François riesplode: mentre François va e viene tra la propria casa e quella di lei, poi Marthe strappa le lettere del marito dal fronte; quando le ricompone e risponde, è François a dettare. Incinta di lui, Marthe è colta da malore in un bar mentre attende il treno per la Bretagna, dove si reca per partorire lontana da occhi indiscreti. Il bimbo nasce e lei muore subito dopo. Nell'agonia mormora: "François, François...". La suocera vuole credere che sia il nome da imporre al neonato, che dunque si chiamerà come il padre carnale. La mattina del funerale di Marthe le campane di Parigi suonano a martello: è l'11 novembre 1918, la Francia ha vinto la guerra. Indifferente e ostile alla gioia festosa dei parigini, François vaga smarrito nella casa che ha visto il loro amore, poi entra in chiesa mentre il funerale di Marthe finisce: non troverà mai il coraggio per un chiarimento, suo figlio sarà allevato dal vedovo.
Il finale è l'ultimo degli inganni ‒ per nulla dolci ‒ di Le diable au corps, che mostra quasi nulla dell'infuocata passione e quasi tutto dei suoi gelidi risvolti. François ha appena baciato Marthe per la prima volta quando la vede chiudere le tende della camera da letto, dove l'ha raggiunta il fidanzato in licenza. Subito dopo scorge la madre di lei scendere in strada, buttare e calpestare i fiori che lui le ha appena regalato. Per vendetta, senza capire perché in quel momento lei non abbia rotto il fidanzamento, François va all'appuntamento con Marthe, ma resta nascosto dopo avere visto che lei davvero l'aspetta. Per dimenticarla, si fa addirittura mettere in collegio; quando ne esce, in autunno, la loro passione esplode, ma lui non ha il coraggio di fuggire con lei, incinta. L'erotismo di Le diable au corps è quello, tutto femminile, implicito nell'adulterio. In Francia, dove in una coppia si è almeno in tre, lo scandalo non ci sarebbe, se non ci fossero i corollari: ad amarsi sono minorenni (all'epoca lo si era fino ai ventuno anni) e ciò avviene ai danni di un militare al fronte. Un'esasperazione subito bilanciata dal realismo. Come nella realtà, nessuno fa la cosa giusta al momento giusto. Obbedendo alla madre, Marthe non osa rompere subito il fidanzamento. Obbedendo al padre, François non osa partire con Marthe quando lei, incinta, è infine pronta a farlo.
Pubblicato nel 1923, poco prima della precocissima morte di Radiguet, Le diable au corps era già un classico della letteratura quando ispirò il film di Autant-Lara. E poi sia il regista sia gli sceneggiatori erano ormai affermati. Nessuno di loro cercava dunque lo scandalo. La vicenda è ambientata alla fine della Prima guerra mondiale, ma il film uscì alla fine della Seconda: in quel momento gli adulteri avevano assunto una connotazione più umiliante, vista la lunga occupazione tedesca. Inoltre alla vena dissacrante di Radiguet ‒ caro a Jean Cocteau ‒ s'aggiunsero le acuminate osservazioni degli sceneggiatori e il genio insolente del regista. Il fatto che la vicenda ricalchi notoriamente una storia accaduta realmente (ad Alice anziché a Marthe, a Gaston anziché a François) rende la storia più vera che verosimile.
Il contrasto fra sensibilità individuale e collettiva ricorrerà ancora nel cinema di Claude Autant-Lara, per esempio in La traversée de Paris (La traversata di Parigi, 1956), tratto dal racconto di Marcel Aymé e ambientato nel 1943. Qui non si opporrà più la vittoria in guerra all'amore, ma la sconfitta in guerra all'odio: quello venato di disprezzo che Aymé e Autant-Lara, oltre che Jean Aurenche e Pierre Bost, provano per i francesi. Per restare al regista, si ricordi che solo dopo l'occupazione tedesca e la partenza per Hollywood di altri, più affermati cineasti, Autant-Lara, che da Hollywood era rientrato, ebbe in patria l'occasione che sognava con Lettres d'amour (L'amore ha sbagliato indirizzo, 1942) e Douce (Evasione, 1943). Della stessa opportunità offerta dall'occupazione approfittò Micheline Presle, entrata nel cinema nel 1938 grazie all'amicizia di Corinne Luchaire. Nel 1946 era ormai una vedette e il suo nome figurava primo nei manifesti e nei titoli di testa di Le diable au corps. Del resto fu lei a imporre come partner Gérard Philipe. Nel 1942 l'aveva visto recitare al Casino di Cannes nella commedia Une grande fille toute simple di André Roussin; Autant-Lara pensava invece a Serge Reggiani, in quel momento più di richiamo. Dopo Le diable au corps sarà invece l'astro di Philipe, massimo divo romantico di una certa stagione del cinema francese, a brillare più alto di tutti. La confessata propensione della Presle per Philipe giova alla sensualità dei personaggi e fa quasi dimenticare che sono due ventiquattrenni a recitare da liceali. Il marito tradito è interpretato da Jean Varas, già compagno di classe di Philipe al liceo Stanislas di Cannes.
Presentato al Festival di Bruxelles del 1947, Le diable au corps ottenne il premio della critica cinematografica; Gérard Philipe ricevette il premio per l'interpretazione. Ma alla proiezione l'ambasciatore francese, sdegnato, si allontanò per protesta. Per attenuare l'eco dell'episodio, la prima uscita del film non avvenne subito, in primavera, a Parigi, ma a fine estate a Bordeaux, provocando comunque una campagna di stampa ostile. Presentato sempre nel 1947 anche alla Mostra di Venezia, Le diable au corps ottenne il nulla osta per l'Italia solo alla fine del 1963: nel frattempo Philipe era morto trentasettenne, nel 1959. Il romanzo di Radiguet, scomparso ventenne nel 1923, ha originato altre due assai più libere trasposizioni: Devil in the Flesh (Il diavolo in corpo, 1985) di Scott Murray e, nuovamente scandaloso, Diavolo in corpo di Marco Bellocchio (1986).
Interpreti e personaggi: Micheline Presle (Marthe Grangier), Gérard Philipe (François Jaubert), Denise Grey (Valérie Grangier), Jean Debucourt (Edouard Jaubert), Jean Varas (Jacques Lacombe, marito di Marthe), Pierre Palau (Marin), Maurice Lagrenée (il medico), Michel François (René), Germaine Ledoyen (madame Jaubert), Jacques Tati (ufficiale al bar).
J. Desternes, Le triomphe du coeur, in "La revue du cinéma", n. 7, été 1947.
R. Vailland, Quand les grands garçons avaient le diable au corps, in "L'écran français", n. 116, 16 septembre 1947.
G. Viazzi, Le diable au corps, in "Bianco e nero", n. 8, ottobre 1948.
J. Aurenche, La suite à l'écran, Arles 1993.
G. Bonal, Gérard Philipe, Paris 1994.
M. Presle, S. Toubiana, L'arrière-mémoire, Paris 1994.
Il caso Autant-Lara, a cura di M. Cabona, Milano 2000.