Sin dal suo arrivo al potere il leader libico Mu’ammar Gheddafi aveva visto l’Africa come possibile area geopolitica di propria influenza. Nell’ultimo decennio del suo regime questo desiderio si era trasformato in realtà grazie alla combinazione di più fattori. L’area africana era divenuta un campo d’azione nel quale il regime cercava una legittimazione internazionale, dopo la fase di lungo isolamento. Grazie all’opera di mediazione in molti dei conflitti inter-africani, la lotta ai traffici illegali o all’immigrazione e la guerra al radicalismo islamico il regime libico aveva infatti cercato di svolgere una funzione utile e stabilizzante, in particolare dell’area saheliana. Per esempio, Gheddafi era intervenuto con successo nella disputa tra gruppi tuareg di Mali e Niger nel 2009. L’Africa, inoltre, costituiva l’ambito geopolitico in cui, grazie alle ingenti risorse derivanti dai proventi del petrolio, esercitare la propria influenza politica con proficui risultati. La Libia di Gheddafi, per esempio, è stata tra i maggiori finanziatori dell’Unione Africana, con una quota pari al 15% circa del budget complessivo. Infine l’Africa, e in particolare i paesi limitrofi alla Libia, rappresentavano un importante mercato di sbocco per i prodotti che la Libia sperava di produrre in futuro, attuando una trasformazione progressiva della propria economia che valorizzasse anche la sua posizione geografica di corridoio tra l’Europa, il Mediterraneo e l’Africa sub-sahariana.
La caduta del regime ha avuto dirette ripercussioni non solamente sul piano dell’economia africana, per il mancato flusso di investimenti e aiuti che Tripoli forniva con generosità attraverso i propri fondi sovrani a diversi paesi, ma anche sul piano politico. Prima la guerra, poi il mancato monopolio dell’uso della forza da parte del governo provvisorio e dell’attuale autorità centrale hanno impedito il controllo delle frontiere. L’attuale estrema permeabilità dei confini desertici libici – difficilmente controllabili già sotto il regime di Gheddafi – ha permesso il proliferare di traffici illeciti di droga, armi ed esseri umani.
I primi esiti della caduta del regime si sono visti nella questione relativa alla popolazione tuareg. Quest’ultima era in una certa misura garantita da Gheddafi, che l’aveva sottratta dalla condizione di marginalizzazione e non-appartenenza ad alcuno stato: il leader libico negli ultimi decenni aveva ospitato i Tuareg, incentivando l’abbandono del nomadismo grazie alla costruzione di interi quartieri nelle città a sud del paese, Ghat in particolare, e all’inserimento di questa popolazione all’interno dell’esercito libico. I Tuareg sono stati tra gli ultimi a defezionare tra i lealisti, anzi Gheddafi ha fatto ricorso a loro come mercenari sino alle ultime settimane prima della sua caduta. Per evitare probabili ritorsioni, e con ingenti armi sottratte all’esercito libico, i Tuareg – insieme a gran parte della popolazione di colore che trovava lavoro in Libia – si sono mossi, in parte tornando ai loro paesi d’origine, in parte recandosi dove hanno trovato maggior ospitalità. Il paese che maggiormente ha risentito di questa migrazione è stato il Mali. Nel nord del paese si è costituita una sorta di coalizione tra i ribelli tuareg, ora rafforzatisi, e i gruppi legati all’islamismo radicale, che ha finito per destabilizzare il paese sino al colpo di stato del 21 marzo 2012.
Della caduta del regime libico si sono giovati quindi anche i gruppi legati all’islamismo radicale, in particolare la costellazione di al-Qaida nel Maghreb (Aqim), che ha potuto alimentare i propri traffici di armi, anche sofisticate, tra cui persino sistemi missilistici anti-arei, e le organizzazioni dedite al contrabbando, del narcotraffico e della manodopera clandestina. Queste organizzazioni hanno fortemente tratto giovamento dalla scomparsa di Gheddafi, andando a indebolire ulteriormente paesi fragili come il Ciad e il Niger, oltre al Mali. Diverse aree di questi paesi, come quella di Agadez nel Niger, quella di Azawad nel Mali, ma anche quella del Darfour nel Sudan, hanno direttamente risentito dell’arrivo di nuovi e ulteriori elementi destabilizzanti, dalle armi ed esplosivi al semplice ritorno di rimpatriati senza un lavoro, che pongono queste regioni ulteriormente fuori controllo dai rispettivi governi.