Le città diventano verdi
Da qualche anno la questione ambientale ha assunto una particolare rilevanza a causa dei sempre più numerosi conflitti generati dalle difficoltà di approvvigionamento energetico, con vicende che hanno interessato sia i rapporti tra gli Stati – come nel caso del gas e del petrolio – sia l’opinione pubblica, come per il nucleare.
Ciò ha avuto un immediato riflesso nella produzione edilizia.
In realtà, nel mondo dell’architettura e del design si parla diffusamente di ecologia, almeno dal 1973, anno della prima importante crisi energetica.
Dopo il disimpegno dimostrato durante gli anni Ottanta da parte sia degli architetti postmodernisti sia di quelli orientati verso l’high tech (cioè verso l’impiego di forme e materiali ultramoderni), una decisa ripresa delle problematiche ambientaliste è stata registrata negli anni Novanta e agli inizi del Duemila. Da un lato attraverso la tendenza a concepire gli edifici come parti integranti di un paesaggio che loro stessi contribuiscono a disegnare: è la cosiddetta landscape architecture.
Dall’altro mediante un processo di avvicinamento della ricerca tecnologica alle problematiche ecologiche: la via seguita dal soft-tech e dall’architettura parametrica, nel primo caso con la messa a punto di strutture generalmente in metallo e vetro, energicamente autosufficienti, nel secondo con l’impiego di complessi programmi di modellazione nella progettazione di interi edifici caratterizzati da forme vegetali o animali, le quali, rispetto a quelle scatolari, meglio rispondono alle sfide poste dall’ambiente circostante. Queste tendenze sono tutt’oggi operanti. Ma non sono le sole. Come succede per tutti i temi universalmente condivisi, ognuno in effetti intende la sostenibilità ambientale a modo proprio. Tanto che in questo 2011 non si fa fatica a individuare decine di declinazioni diverse, con variegate sfumature, che vanno dalle idee neoconservatrici di chi propone il ritorno all’architettura del passato, a quelle riformiste di chi punta a edifici moderni ma verdi, sani e accattivanti, a quelle futuristiche di chi confida nel potere salvifico della tecnologia e delle sue applicazioni più avanzate.
Tra il 2010 e il 2011 l’ecologia, che oltre tutto in un periodo di crisi economica come l’attuale promette di fornire nuove opportunità di lavoro, è stata oggetto di numerosissimi convegni, corsi, articoli. E di mostre di grande impatto, come quella sulla Ville Fertile organizzata dalla Cité de l’Architecture et du Patrimoine a Parigi. Si può aggiungere che non pare esistere oggi produttore di componenti edilizi, impresa di costruzioni o progettista che non promuova la propria opera, e conseguentemente la propria immagine, se non in termini ambientali. Mario Cucinella ha per esempio proposto un’abitazione a consumo zero dal costo di 100.000 euro, annunciando che nel 2011 inizierà la realizzazione del prototipo.
Stefano Boeri ha rilanciato in una mostra all’Accademia Britannica a Roma il progetto del Bosco Verticale, palazzine nascoste da alberi piantati su terrazze, concepite come giardini pensili. Enrico Frigerio sta puntando sulla slow architecture. Renzo Piano ha in corso di completamento un grattacielo a Londra in cui non sarà possibile parcheggiare le automobili.
Lo studio Foster+Partners ha inaugurato le prime costruzioni di Masdar City negli Emirati Arabi, pubblicizzata come città a consumo zero, caratterizzata dalla clean-technology.
Tra tutte le tendenze una in questo momento sembra stia maggiormente godendo i favori delle élite che lanciano le mode culturali. È un orientamento che punta alla semplicità, alle tecnologie povere, alla decementificazione, al ritorno agli orti urbani.
In Italia la formula, praticata già da numerosi giovani progettisti che hanno riscoperto i lavori anticipatori delle correnti della così detta anarchitettura degli anni Settanta (tra i suoi esponenti: Emilio Ambasz, James Wines, Andrea Branzi), gode ampia eco di stampa per l’abbinamento con il fenomeno dello slow food.
Ma anche nel resto del mondo occidentale si registra un crescente successo, amplificato dai sempre più importanti seguaci, per esempio la moglie del presidente statunitense Barack Obama che ha impiantato un orto nel giardino della Casa Bianca.
I libri
Alberto Bertagna, La città tragica. (An)architettura come (de)costruzione, 2006
Lorenzo Fusi, Marco Pierini (a cura di), Gordon Matta-Clark, 2008
Stefano Boeri, Biomilano: glossario di idee per una metropoli della biodiversità, a cura di Michele Brunello e Sara Pellegrini, 2011.
Per saperne di più
Anarchitettura
Il termine designa una tendenza affermatasi negli anni Settanta del Novecento, che ha coinvolto non soltanto architetti e designer, ma anche artisti che lavoravano nel campo della fotografia, della scultura, della performance. Ciò che li accomunava, all’interno di un progetto di ricerca dai confini molto aperti, era l’esigenza di porre in primo piano la forma, attraverso un processo di destrutturazione delle tradizionali relazioni tra spazio e architettura.
Green architecture
Con questa espressione si identifica un’architettura che, non limitandosi al semplice utilizzo di soluzioni tecnologiche sensibili nei confronti dell’ambiente e del risparmio energetico, sia in grado di relazionarsi organicamente con il contesto naturale nel suo insieme. Legato a tale clima culturale è pure il crescente interesse per l’architettura del paesaggio in alcuni paesi europei (Francia e Germania), ma anche in Giappone e negli USA.
Il valore economico della natura
Proteggere il verde e tutelare l’ambiente non sono azioni che rispondono solo a esigenze legate alla difesa della salute pubblica; a ben guardare, infatti, si tratta di interventi che hanno importanti e positive ricadute economiche, sui singoli come sulla collettività. In un rapporto pubblicato nel giugno del 2011 dal ministero per l’Ambiente britannico si cerca perfino di quantificare questi vantaggi, ovviamente con specifico riferimento al caso di studio; si scopre così, per esempio, che il valore economico delle zone umide in termini di qualità delle acque si aggira intorno a 1,7 miliardi di euro; che gli insetti e gli uccelli impollinatori apportano all’agricoltura vantaggi dell’ordine di 500 miliardi di euro; che il fatto di abitare vicino a spazi verdi implica un ‘guadagno’ di 350 euro a persona.
Rigenerazione urbana
di Stefano Boeri Architetti
La rigenerazione urbana è la capacità della città di reagire al suo stato di crisi permanente; il termine non si riferisce a un mero problema ambientale, ma ambisce a essere un più complesso e caleidoscopico concetto, che risponde all’esigenza di una nuova ’etica urbana’.
Quest’ultima ci chiede oggi di scendere dal piedistallo che per secoli e millenni ha posto al centro l’uomo e i suoi bisogni, limitando la nostra prospettiva e il nostro punto d’osservazione.
Un’etica urbana non antropocentrica dunque, che trova il suo motore in luoghi imprevisti, spazi temporanei e della transizione, che proprio perché deboli sono capaci di accogliere grandi trasformazioni economiche, politiche, ambientali e sociali.
«Una visione che libera energie verso la riforestazione e la naturalizzazione di porzioni del territorio antropizzato; la ricolonizzazione urbana da parte di specie animali tradizionalmente espulse, la rigenerazione della flora e della fauna».
«Aree agricole che diventano parchi o quartieri urbani; aree industriali che diventano oasi naturali; piazze e cortili che diventano orti urbani; infrastrutture bonificate grazie a forme di coltivazione temporanea; aree naturali che diventano appezzamenti coltivati o di pascolo; aree rurali che tornano alla natura in forma di parchi a tema» (Stefano Boeri, L’Anticittà, 2011).
Il Bosco Verticale si inserisce nella più ampia cornice di una nuova etica non antropocentrica prevedendo la concentrazione di aree ad alta densità vegetale (e abitativa). La costante distribuzione di alberi, arbusti e pareti verdi sui prospetti dell’edificio contribuisce a rigenerare l’ambiente e la biodiversità urbana, limitando l’espansione della città con palazzi ad alta densità abitativa e basso consumo di suolo. Ogni Bosco Verticale equivale, come quantità di alberi, a un grande bosco pianeggiante di circa 7000 mq.
Il Bosco Verticale è anche un’architettura che affida allo schermo vegetale delle facciate il compito di assorbire le polveri sottili, di creare un adeguato microclima, di filtrare la luce solare.
Il primo progetto di Bosco Verticale è in cantiere a Milano, nell’area di Porta Nuova a Garibaldi-Repubblica, e sarà ultimato nel corso del 2012.