Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel basso Medioevo i papi si valgono delle arti figurative per comunicare messaggi didascalici e politici. A Roma, nel tardo Duecento, il recupero dell’arte classica e paleocristiana serve a riaffermare il primato del papa sull’imperatore. Avignone, sede della corte pontificia dal 1309 al 1377, viene ricostruita seguendo le istanze sia pratiche, sia ideologiche ed estetiche, dei singoli papi: la città diviene crocevia culturale e luogo d’incontro di tradizioni artistiche differenti.
A Roma, nel Medioevo, il papa è il principale committente di imprese artistiche: decide i programmi iconografici, sceglie gli artisti, promuove il recupero di temi e modelli stilistici del passato.
Nella prima metà del XIII secolo l’autorità spirituale e temporale del papato è minacciata dall’imperatore Federico II di Hohenstaufen. Preoccupazione dei papi della seconda metà del secolo è riaffermare il potere del pontefice come unico vicario di Cristo, erede dei santi Pietro e Paolo. A questo scopo Niccolò III dedica ai due apostoli due cicli ad affresco, il primo sul portico dell’antica Basilica di San Pietro, di cui restano solo due teste frammentarie, il secondo al Sancta Sanctorum, cappella pontificia privata in cui sono custodite le reliquie più venerate nel mondo cattolico. Le maestranze attive in questo cantiere recuperano contenuti e soluzioni formali dalla tradizione classica e paleocristiana, sia per quanto riguarda l’iconografia, sia nell’incorniciatura architettonica delle scene, nel sistema ornamentale e nella nuova volumetria data alla figura umana. Il ciclo segna una prima cesura con l’arte bizantina, bidimensionale e astratta, che ha caratterizzato la pittura romana fino a quel momento.
Al Sancta Sanctorum collabora probabilmente anche frate Jacopo Torriti, pittore prediletto da Niccolò IV, primo papa francescano e committente degli affreschi della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi. Niccolò IV commissiona a Torriti i cicli musivi di San Giovanni in Laterano (1291) e Santa Maria Maggiore (1295). Il pittore s’impegna nel recupero della tradizione tardo antica, che traspare sia nel disegno sia nelle simbologie adottate, ma si affida ancora a formule stilistiche bizantine, come mostrano l’innaturale allungamento dei corpi, le espressioni rigide e le ricche lumeggiature dorate delle vesti.
Nell’abside di Santa Maria Maggiore la raffigurazione dell’Incoronazione della Vergine è collocata al di sopra di una scena di Dormitio Virginis, accostamento di soggetti tipico delle cattedrali gotiche d’Oltralpe. Sono i numerosi cardinali francesi presenti a Roma a favorire l’apertura verso la cultura transalpina: lo stile gotico si rivela così alternativo al recupero del mondo classico prediletto dai papi, come dimostrano libri miniati quali il Sacramentario di Anagni di Magister Nicolaus (terzo quarto del XIII secolo) o la Bibbia, miniata a Parigi, che Niccolò III dona ai Francescani di Santa Maria in Aracoeli.
La rottura definitiva con l’arte bizantina si deve a Pietro Cavallini, artefice di un recupero autentico della tradizione classica e paleocristiana. Nei mosaici con Storie della Vergine di Santa Maria in Trastevere (1291) e nel Giudizio Finale affrescato sulla controfacciata di Santa Cecilia in Trastevere (1293 ca.) sfilano personaggi di inedito naturalismo, dai volti individualizzati, e fanno la loro prima comparsa architetture tridimensionali e corpi costruiti con una nuova forza plastica, ottenuta grazie alle diverse densità e vibrazione delle ampie campiture cromatiche. In contemporanea alle ricerche spaziali del “Maestro di Isacco” e di Giotto ad Assisi, Cavallini conduce la pittura italiana al definitivo superamento della “maniera greca”.
Non restano molte opere a chiarire le predilezioni artistiche di Bonifacio VIII, papa del primo Giubileo (1300). Anche la sua politica culturale sembra comunque improntata alla ripresa di modelli antichi. Il pontefice affida la progettazione e l’esecuzione del proprio monumento sepolcrale (Grotte Vaticane, 1295-1300) ad Arnolfo di Cambio, lo scultore gotico più sensibile alle suggestioni della statuaria classica, capace, in opere come la statua in bronzo di San Pietro (1300 ca.) per la Basilica Vaticana, di far coesistere soggetti, pose e dignità della scultura antica con la dinamica eleganza dell’arte gotica.
Durante il pontificato di Bonifacio VIII emerge come committente Jacopo Stefaneschi, cardinale dal 1295 al 1341. Questi incarica Giotto di realizzare un polittico per l’altare maggiore della basilica di San Pietro (Pinacoteca Vaticana, 1330 ca.) e, per la facciata, il mosaico della Navicella (1312 - 1313 ca.), così chiamato perché illustra il momento in cui Pietro, in difficoltà mentre cammina sulle acque, viene soccorso da Gesù, chiara allusione al sostegno riservato da Cristo alla chiesa di Roma nel momento in cui si compie il trasferimento della Curia ad Avignone. Del complesso restano soltanto due clipei con angeli, uno conservato alle Grotte Vaticane, l’altro a Boville Ernica nella chiesa di San Pietro Ispano.
L’opera di Giotto costituisce apogeo e tramonto del Medioevo artistico romano: il soggiorno forzato dei papi ad Avignone (1309-1377) allontana dalla città committenti e artisti, impedendo l’evoluzione coerente degli sviluppi figurativi romani di fine Duecento.
Il 9 marzo del 1309 Clemente V fa il suo ingresso ad Avignone, città in cui trascorre l’intero pontificato, nonostante la sostituzione della sede romana non sia nelle intenzioni. Il gesto definitivo verrà compiuto dal suo successore Giovanni XXII.
Già vescovo di Avignone, il nuovo papa trasferisce in città la corte e si premura di adattare il vecchio palazzo vescovile alle nuove esigenze. I lavori vengono affidati all’architetto provenzale Guillaume de Cucuron, mentre a capo dell’équipe dei pittori viene posto il tolosano Petrus de Podio affiancato da illustri rappresentanti del gotico europeo, come l’inglese Joan Oliver, fragile ed espressivo frescante del refettorio di Pamplona. Il pontefice si preoccupa di restaurare i monumenti cittadini, interviene su chiese, castelli e monasteri. Grazie alla riforma del sistema fiscale trova modo di introitare grandi somme per mantenere la nuova corte, divenuta luogo d’incontro di teologi, letterati, musici, giuristi e artisti. Per tramite del cardinale Jacopo Stefaneschi (ad Avignone dal 1309 al 1341), giungono il Maestro del Codice di San Giorgio, che prende il nome da un messale miniato ad Avignone, e Simone Martini. Il miniatore fa conoscere ad Avignone il naturalismo fiorentino, Simone la delicata eleganza del gotico senese, di cui sono esempio gli affreschi di Notre-Dame des Doms, alcune opere su tavola, l’Allegoria Virgiliana e il perduto disegno con l’effigie di Laura realizzati per Francesco Petrarca.
È dalla volontà artistica di Benedetto XII che nasce il progetto di erigere ad Avignone un nuovo palazzo, affidato all’architetto occitanico Pierre Poisson. Il pontefice fa costruire torri, appartamenti, cappelle, sale, distruggendo parti dell’antico palazzo episcopale. L’architetto realizza una struttura massiccia e impenetrabile, costituita da una serie di elementi bastionati tra i quali spiccano le alte torri dotate di contrafforti. Una di queste torri è l’appartamento privato del papa, detta Torre degli Angeli, decorata da pittori italiani e francesi che collaborano, si scambiano suggerimenti e si dividono i compiti. Spettano ai Francesi, guidati da Jean D’albon, le bidimensionali scene di natura con querce, racemi e animali, mentre a pittori di cultura italiana, forse a due senesi citati dai documenti, Filippo e Duccio, competono le illusionistiche architetture gotiche da cui pendono gabbie di uccelli vuote.
Il punto più alto del mecenatismo papale ad Avignone è raggiunto da Clemente VI. Il papa acquista la città dalla contessa di Provenza e la trasforma in capitale religiosa, politica, economica e artistica. Prima dell’elezione al soglio pontificio Clemente è arcivescovo di importanti città (Arras, Sens, Rouen), teologo, docente alla Sorbona e vicino al re di Francia Filippo VI. Conscio del valore simbolico della cultura e dell’arte, e del prestigio che deriva dall’attività di mecenate, ad Avignone si circonda di teologi, filosofi, scienziati, letterati e artisti. La frequentazione di ambienti cosmopoliti fa di lui un committente raffinato. Il papa acquista numerosi oggetti preziosi (vestiti, oreficerie, tappeti, arazzi, parati, mobili dipinti e intarsiati) e fa edificare un nuovo palazzo, a sud del precedente: un grande cortile, una Sala delle Udienze e una cappella cui si accede da un portale riccamente scolpito, oggi rimaneggiato, ma di cui si possono ancora apprezzare le figure di angeli e le decorazioni vegetali dei due archivolti.
I lavori di costruzione del palazzo vengono affidati a Jean de Louvres, architetto dell’Île de France aggiornato sulle novità dello stile gotico. A differenza dell’austera struttura del vecchio palazzo di Pierre Poisson, il nuovo palazzo di Jean de Louvres prevede profili slanciati e l’integrazione dell’architettura con vari elementi scultorei: capitelli, mensole, peducci, chiavi di volta e imposte.
Una delle nuove stanze è la “camera della Guardaroba” affrescata con scene di caccia e di pesca su uno sfondo verdeggiante. L’attenta riproduzione della natura, indagata nelle sue varietà botaniche, si deve al contributo di pittori nordici, mentre di origine italiana è la tridimensionalità delle scene, forse dovuta all’intervento del pittore viterbese frate Matteo Giovannetti , attivo ad Avignone dal 1343 al 1367.
Dai documenti Matteo risulta il pittore favorito del papa: dirige le più importanti imprese pittoriche, compra i materiali e paga i collaboratori. Il suo primo intervento certo era stato negli affreschi della cappella di San Marziale (1344-1346). Le Storie di san Marziale costituiscono il primo esplicito tentativo fatto da un papa di legittimare Avignone come nuova capitale per la cristianità. San Marziale, santo di Limoges, una sorta di tredicesimo apostolo, era stato inviato da Cristo, a evangelizzare le Gallie. La leggenda giustificava così la scelta di Avignone come Nova Roma. Gli affreschi rivelano l’educazione senese di Matteo, vicino alle eleganze lineari e coloristiche di Simone Martini e alle costruzioni spaziali di Pietro Lorenzetti, mentre le figure rammentano le forme plastiche di Ambrogio Lorenzetti. Questi affreschi si distinguono nel contesto avignonese per i colori vivi e tersi, i ritratti dettagliati, la varietà di edifici e la precisa riproduzione di stoffe e oggetti preziosi.
Nelle due imprese successive, lo stile di Matteo Giovannetti muta a contatto con i pittori francesi. Nelle Storie di san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista della cappella di San Giovanni (1346-1348), Matteo mostra una propensione per il racconto pausato, più composto rispetto alla calca di persone ed edifici della cappella di San Marziale; nella Sala delle Udienze (1352-1353), le eteree figure di Profeti, re e patriarchi dell’Antico Testamento vengono rese attraverso un disegno fragile e scattante intriso di colori luminosi propri del gusto francese.
La contaminazione tra arte d’Oltralpe e arte italiana è l’esito più significativo della committenza papale in Avignone: questo linguaggio artistico verrà presto diffuso in molte corti europee ponendo le basi per lo sviluppo del gotico internazionale.