Le citta dei Greci in Occidente
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le poleis greche in Italia meridionale e in Sicilia, città di nuova fondazione libere da preesistenze condizionanti, hanno costituito uno straordinario laboratorio nel quale sono state spesso sperimentate soluzioni urbanistiche e tipologie architettoniche innovative, destinate ad essere poi adottate e sviluppate nella madrepatria greca.
Apoikia: questo è il termine con cui i Greci indicano la polis di nuova fondazione, nata dal distacco dalla propria città di origine di un gruppo di cittadini, che si trasferiscono in una terra lontana e barbara dando vita ad una nuova comunità politica; un termine che, come il verbo etimologicamente correlato apoikizo sta ad indicare la “separazione” (apo-), e dunque la totale autonomia politica e decisionale della nuova città (alla lettera: del nuovo “nucleo abitativo”: oikia) rispetto alla metropolis (“città madre”) di origine dei coloni, che però portano con sé nel luogo di arrivo la propria lingua, la propria religione e i propri costumi, mantenendo un forte legame ideale con la Grecia propria e un profondo sentimento di appartenenza alla cultura ellenica.
La storia greca è una storia di colonizzazioni e decolonizzazioni, di spostamenti, di contatti di natura eterogenea con le genti anelleniche, ed è grazie a questo aspetto che essa “diventa la storia di una civiltà e non di un limitato territorio geografico” (David Asheri, “Colonizzazione e decolonizzazione”, in I Greci I, 1996, p. 73); ma quando si parla di colonizzazione greca ci si riferisce, par excellence, alla massiccia ondata migratoria verso Occidente verificatasi tra la metà dell’VIII e la seconda metà del VI secolo a.C.: un fenomeno che ha determinato il manifestarsi di una grecità originale che, anche grazie al precoce e intenso contatto con Roma, ha svolto un ruolo sostanziale nella trasmissione dell’eredità greca all’intera cultura occidentale.
La colonizzazione greca di età arcaica è preceduta, sulle coste dell’Italia centro-meridionale e della Sicilia, da contatti di natura commerciale, ampiamente documentati dai ritrovamenti di ceramica micenea, che prendono le mosse nella seconda metà del II millennio a.C.; tale fenomeno, spesso definito, con termine impreciso e fuorviante “precolonizzazione”, non ha nulla a che vedere con la successiva “colonizzazione” di età storica, anche se ha certamente consentito l’acquisizione di conoscenze geografiche sull’Occidente, tanto importanti per le successive navigazioni; e anche se l’immaginario degli antichi lo ha spesso trasfigurato nelle forme suggestive dei miti di fondazione eroica, che hanno come protagonisti Antenore, Nestore, Epeio, Filottete, giunti in Italia a fondare nuove città all’epoca della guerra di Troia.
Quelle di età micenea sono frequentazioni occasionali, determinate dalla ricerca di nuovi mercati e di materie prime di cui la Grecia è priva, come i metalli; e la necessità di controllare le rotte commerciali verso la foce del Tevere e l’isola d’Elba, con le sue ricche miniere di ferro, costituisce lo stimolo principale anche ai primi stanziamenti dei coloni greci in Occidente, nell’area del golfo di Napoli: Pitecusa sull’isola d’Ischia e Cuma (ricordata dalle fonti come il primo stanziamento greco in Occidente), fondata sul litorale flegreo circa una generazione dopo. Pitecusa e Cuma, le prime colonie dal punto di vista cronologico, sono anche le ultime, cioè le più lontane, dal punto di vista geografico, poste come sono nell’area in cui la geografia arcaica individua i confini occidentali del mondo; i primi, dopo i Fenici, ad avventurarsi in queste terre selvagge e misteriose (il nome di Pitecusa, “isola delle scimmie” allude probabilmente proprio alla sua natura selvaggia) sono gli Eubei, provenienti dalle città di Calcide e di Eretria, marinai esperti ed abili mercanti. E non è casuale che dalla necropoli di Lacco Ameno sull’isola d’Ischia provenga un noto cratere tardogeometrico che reca una drammatica scena di naufragio, con i marinai che finiscono in bocca ai pesci: immagine eloquente dei pericoli e dei timori che questi primi coloni devono affrontare nell’avventura coloniale. In verità, Pitecusa non viene considerata, nelle fonti, una vera e propria apoikia, quanto piuttosto uno stanziamento contraddistinto perlopiù da attività artigianali e commerciali, che attraggono Fenici, Etruschi e Italici, anche se l’isola è celebrata per l’eccezionale fertilità del terreno, elemento certo indispensabile ad assicurarle ben presto l’autosufficienza rispetto alla madrepatria: l’evidenza archeologica ne ha rivelato il carattere insediativo, costituito da una rete di villaggi sparsi che occupano il territorio in funzione dello sfruttamento agricolo, riproducendo quindi lo schema dell’insediamento kata komas (“per villaggi”) tipico per questo periodo delle stesse città della Grecia propria, che ancora non presentano un organismo abitativo costituito da un tessuto continuo ed organizzato.
Anche i successivi stanziamenti fondati in Occidente dagli Eubei palesano l’aspirazione dei coloni a controllare i traffici nel Mediterraneo occidentale: la prima città greca in Sicilia, Naxos (Giardini Naxos), nasce intorno al 735 a.C. in prossimità dello Stretto di Messina, ai due lati del quale ancora gli Eubei, negli anni successivi, si stanziano con Zancle (Messina) sulla costa siciliana e con Rhegion (Reggio) su quella calabrese; a quest’ultima fondazione partecipano anche esuli dalla Messenia. Il quadro degli insediamenti coloniali che nascono in Sicilia nell’VIII secolo a.C. viene a completarsi con la fondazione di Leontinoi (Lentini) e di Katane (Catania) nella fertile pianura dell’Etna, per iniziativa dei coloni calcidesi di Naxos, di Siracusa colonia di Corinto, e di Megara Iblea sul golfo di Augusta, fondata dai Megaresi. La costa ionica dell’Italia è interessata da insediamenti dovuti all’iniziativa di Achei e di altri ethne provenienti dal Peloponneso: apoikiai destinate a diventare presto realtà urbane di primaria importanza nel contesto mediterraneo, prospere e politicamente aggressive, come Sibari, Crotone e, in misura minore, Caulonia, sono fondate da coloni provenienti da villaggi poveri ed arretrati, che conosceranno solo in età ellenistica un pieno sviluppo urbano. Sul finire del secolo, Taranto viene fondata da coloni laconici, secondo la leggenda Spartani di nascita illegittima ribellatisi per rivendicare i diritti politici loro negati e per questo allontanati dalla città. Questa prima fase coloniale si chiude entro la metà del VII secolo a.C. con gli insediamenti di Gela, fondata da Rodii e Cretesi nel 688 a.C., di Locri Epizefiri, fondata da genti provenienti dalle due Locridi greche (l’Opunzia e l’Ozolia), e di Siris (Policoro), fondata da profughi di Colofone a seguito dell’invasione della loro terra da parte dei Lidi.
La seconda metà del VII secolo a.C. è invece caratterizzata dalla nascita di quelle che vengono generalmente definite sub-colonie, insediamenti che muovono direttamente dalle stesse apoikiai già esistenti: in Sicilia, Megara Iblea fonda Selinunte, coloni calcidesi di Zancle fondano Imera, mentre Siracusa, in forte crescita, stanzia gli avamposti militari di Acre e Casmene e fonda la città di Camarina; sulla penisola, l’espansione di Locri Epizefirii sulle coste tirreniche conduce alla fondazione di Medma (Rosarno), Hipponion (Vibo Valentia) e Metauro (Gioia Tauro), mentre coloni achei chiamati da Sibari, desiderosa di contrastare lo sviluppo di Taranto, fondano Metaponto su un territorio di proverbiale feracità, e, alla fine del secolo, gli stessi Sibariti fondano Poseidonia (Paestum), che tenderà ad assumere l’eredità politica e commerciale della sua città madre dopo la sua distruzione, ad opera dei Crotoniati, nel 510 a.C.
Nel VI secolo a.C. sono soprattutto coloni provenienti da Focea, nella Ionia, a istituire apoikiai in Occidente: Massalia (Marsiglia), fondata intorno al 600 a.C., Menace in Spagna, Alalia (Aléria) in Corsica, tutte già stazioni di rifornimento e di riposo nella lunga e pericolosa rotta che dalla Ionia conduceva i mercanti fino a Tartesso, città della Spagna sudoccidentale di leggendaria ricchezza. In Italia, i Focei, sfuggiti all’avanzata delle armate persiane di Ciro nella Ionia, fondano sulle coste della Lucania la città di Velia (540 a.C. ca.). Altre fondazioni importanti del VI secolo a.C. sono Agrigento (580 a.C. ca.), per iniziativa di Gela, Lipara (Lipari), fondata dagli Cnidi, e Dicearchia (Pozzuoli), la “città dove regna la giustizia”, nata nel 531 a.C. a seguito dell’esodo dei Samii che fuggono la tirannia di Policrate. Un caso particolare è quello di Thurii, la colonia panellenica istituita per iniziativa dell’Atene periclea nel 444/443 a.C. sul sito della distrutta Sibari, e sulla quale si tornerà nel corso di questa trattazione.
“Nausitoo simile a un dio li stabilì nella Scheria, lontano dagli uomini che mangiano pane, e di mura circondò la città, fabbricò case, e fece templi ai numi, e divise le terre”. Così nell’Odissea (VI, 7-10) si delineano, nella figura del padre di Alcinoo re dei Feaci, le prerogative e i compiti di un ecista, cioè del fondatore di una apoikia.
Organizzare la massa dei coloni, impiantare la nuova colonia, difenderla e garantire a tutti la possibilità del sostentamento: per affrontare e risolvere tutte queste inderogabili questioni, occorre una personalità autorevole, con pregresse esperienze politiche e militari.
È per questo che, soprattutto all’inizio del movimento coloniale, gli ecisti sono sempre degli aristocratici, che sono inoltre gli unici, in questa fase della storia greca, a detenere, in virtù delle loro attività commerciali, le informazioni etnografiche e geografiche sull’Occidente necessarie all’organizzazione della spedizione. Intorno a queste figure si radica ben presto, nelle città di nuova fondazione, un culto di tipo eroico, che trova espressione monumentale nell’heroon, il sacello consacrato alla memoria dell’ecista, che si colloca nel cuore stesso della città, assumendo un forte significato politico e configurandosi come un omaggio straordinario alla figura del fondatore. A Megara Iblea, il monumento si colloca sull’agorà, proprio sul principale crocicchio stradale della città; a Cirene, la città dell’Africa settentrionale fondata da coloni di Thera nel 630 a.C., gli scavi hanno consentito di rintracciare il monumento funerario dell’ecista Batto sul limite settentrionale dell’agorà, proprio dove lo ricorda Pindaro (Odi Pitiche, V, 93 ss.).
A Poseidonia, infine, il cosiddetto sacello ipogeico sull’agorà, una tomba a camera (sicuramente un cenotafio) parzialmente scavata nella roccia e coperta da tetto a doppio spiovente, databile intorno al 520 a.C., ha restituito un ricco corredo funerario nel quale assume un particolare significato l’anfora attica a figure nere con la scena dell’apoteosi di Eracle, che entra nell’Olimpo accompagnato da Atena: chiara allusione all’eroizzazione dell’ecista defunto, del quale Eracle, eroe culturale per eccellenza che muove verso l’Occidente per rubare la mandria di Gerione con cui dare inizio al sacrificio giusto, funge da proiezione mitica. Le agorai delle città greche d’Occidente accolgono precocemente anche edifici destinati ad ospitare i momenti della vita politica e comunitaria: edifici che fungono sia da punti di aggregazione che da luoghi dell’identità culturale, utili a rafforzare la coesione sociale e il sentimento di appartenenza alla comunità in coloni lontani dai loro luoghi di origine, spesso provenienti da metropoleis diverse e decisi a dimostrare e a difendere il proprio diritto di stabilirsi in terre strappate con la violenza agli indigeni. In diverse città della Sicilia greca (Morgantina, Agrigento, Acre, Taormina, Casmene e Monte Iato) sono stati individuati dei bouleuteria, strutture a pianta rettangolare dotate di cavea a gradini destinate alle riunioni del consiglio cittadino (boulé); a Poseidonia e a Metaponto, invece, gli scavi hanno messo in luce degli ekklesiasteria, edifici circolari delimitati da gradinate, destinati alle riunioni del corpo civico (ekklesia).
L’ekklesiasterion di Metaponto, costituito da due cavee contrapposte separate da un corridoio mediano e con al centro una piazza rettangolare, è il più grande edificio di questa tipologia noto per l’intero mondo greco: ha una capacità di 7000-8000 spettatori, il che conduce a pensare che potesse ospitare non solo i cittadini residenti nell’area urbana, bensì tutta la popolazione metapontina (compresi gli agricoltori residenti nella chora), che qui doveva non solo presenziare ad assemblee civiche, ma anche assistere a danze e ad agoni ginnici, probabilmente a carattere cultuale; ed è significativo che questa struttura, nel IV secolo a.C., verrà sostituita da un teatro. L’edificio in pietra, databile intorno alla metà del VI secolo a.C., ma preceduto da una tribuna lignea risalente alle prime fasi dell’impianto coloniale, rappresenta la creazione di una nuova tipologia architettonica che in età arcaica non trova confronti nella Grecia propria, e che esemplifica nel modo migliore la straordinaria capacità inventiva e lo spirito di adattamento che nelle città coloniali conducono alla creazione di strutture finalizzate a soddisfare le peculiari esigenze delle comunità.
Il ruolo centrale che precocemente assume la città in area coloniale, in un’epoca in cui la forma prevalente dell’insediamento umano nella Grecia propria è ancora quello kata komas, impone l’esigenza di una razionalizzazione degli spazi urbani ispirata al concetto basilare di funzionalità, concetto che dovrebbe garantire il buon andamento della vita comunitaria.
La città coloniale, che sorge in un’area libera da preesistenze condizionanti ed è fondata dietro impulso di un potere centralizzato ed organizzato in grado di imporre una forma, almeno elementare, di pianificazione urbana, si differenzia profondamente dalla città della Grecia propria, che cresce disordinatamente per agglutinazione in un lasso cronologico piuttosto ampio; essa rappresenta dunque una sorta di laboratorio, in cui si sperimentano soluzioni propedeutiche alla definizione della forma urbana di età classica. È dunque possibile affermare che le apoikiai, lungi dall’essere proiezioni periferiche di un modello urbano già consolidato, agiscano piuttosto da stimolo alla formazione della città in Grecia; e non è certo un caso che gli scavi delle città di Magna Grecia e Sicilia abbiano costituito e costituiscano un’insostituibile fonte di informazioni per gli studi di urbanistica greca. Città come Metaponto, Locri Epizefirii, Poseidonia, Megara Iblea presentano fin dalla fondazione un’articolazione dello spazio urbano in aree funzionali (residenziale, pubblica, sacra) separate dagli assi stradali, i quali appaiono realizzati con dimensioni e tecniche differenti a seconda della loro importanza all’interno dell’impianto urbanistico: strade larghe (plateiai), che attraversano la città da un capo all’altro, sono intersecate ad intervalli regolari da strade più strette, formando così una grossa maglia. Le aree residenziali sono articolate in isolati lunghi e stretti (strigae), tutti uguali, separati da vicoli (stenopoi) posti a distanza regolare, che consentono l’accesso alle abitazioni. Anche le abitazioni che si collocano all’interno di questi isolati, almeno nelle prime fasi di impianto della colonia (e almeno per i ceti meno abbienti) devono essere state tutte uguali: questa è ad esempio la situazione emersa grazie alle indagini archeologiche a Megara Iblea, che hanno riportato alla luce le semplici case monovano risalenti all’epoca della fondazione, di dimensioni contenute (tra i 15 e i 20 mq) ma dotate tutte di cortili nei quali doveva svolgersi una consistente porzione della vita domestica.
Alla spartizione dei lotti residenziali sembra dunque sovrintendere il medesimo principio della isomoiria, cioè di un’equa distribuzione delle risorse, che sembra regolare, almeno sotto l’aspetto propagandistico, la distribuzione ai coloni delle terre coltivabili: queste case diventeranno più grandi, adattandosi alle esigenze dei nuclei familiari in crescita, ma anche riflettendo la diversa fortuna economica dei proprietari, così come, in campagna, l’iniziale distribuzione di lotti agricoli uniformi (forse assegnati per sorteggio) non potrà impedire la graduale concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di ristretti gruppi sociali (che in Sicilia sono identificati da eloquenti appellativi, come i Gamoroi – “proprietari terrieri” – di Siracusa o i Pachéis – “grassi” – di Lentini) con il conseguente emergere di tensioni sociali che sono forse alla base del fenomeno subcoloniale cui abbiamo già fatto cenno.
Tornando alle aree residenziali delle città coloniali, è assai probabile che inizialmente gli isolati definiti dai vicoli contengano più spazi vuoti che costruiti; ma la tendenza ad occupare spazi sufficientemente ampi da garantire ogni possibile sviluppo della colonia sembra essere una caratteristica costante delle città coloniali greche, sia per quel che riguarda gli spazi agricoli sia per gli spazi urbani, che presentano spesso dimensioni considerevoli, come considerevole è sempre l’estensione delle aree pubbliche al loro interno: a Metaponto, ad esempio, la sola agorà si estende per più di otto ettari, mentre a Poseidonia l’area pubblica (santuari e agorà) occupa non meno di un quarto dell’intera estensione dell’impianto urbano all’interno del circuito murario. L’urbanistica delle apoikiai d’Occidente conosce una significativa evoluzione nel corso del V secolo a.C., epoca di profondi mutamenti politici e sociali e di notevole incremento demografico: conservando alcune delle caratteristiche delle piante urbane di età arcaica, ci si orienta verso una più rigida e funzionale razionalizzazione degli spazi residenziali e della rete stradale, con isolati più proporzionati e completamente costruiti, a rappresentare in modo più deciso un’immagine di città.
Le aree pubbliche si collocano al centro della struttura urbana (mentre in età arcaica la semplice bipartizione dell’impianto in area pubblica e area privata faceva sì che la prima si trovasse talvolta in posizione marginale), come a Napoli, fondata dai Cumani agli inizi del V secolo a.C., con un impianto urbanistico ortogonale sostanzialmente conservatosi, in modo impressionante, fino ai nostri giorni nel tessuto stradale del centro antico, scandito da tre assi viari principali paralleli in direzione est-ovest (via delle Anticaglie – via dei Tribunali – via San Biagio dei Librai) intersecati ad angolo retto da stenopoi, dando origine ad isolati che presentano una lunghezza di 185 metri per una larghezza di 35.
Al 444/443 a.C. risale la fondazione della colonia di Thurii, che nella propaganda periclea si presenta come un’iniziativa “pacifista” perché panellenica, e caratterizzata da un alone di eccezionalità rappresentato dai nomi illustri che ad essa appaiono associati: lo storico Erodoto vi si trasferisce trascorrendovi gli ultimi anni di vita, il sofista Protagora è incaricato di redigerne il codice legislativo, mentre dietro al suo impianto urbanistico sarebbe da riconoscere l’operato di Ippodamo di Mileto, colui che, per dirla con Aristotele “trovò la divisione delle città e divise il Pireo” (Politica 1267b22). L’impianto della città è descritto accuratamente da Diodoro Siculo (Bibl. Stor. XII, 10,7) che testimonia della divisione dell’area urbana in una grossa maglia formata da quattro plateiai orientate est-ovest e tre ortogonali alle prime, orientate nord-sud; le strade hanno dei nomi propri (Eraclea, Afrodisia, Olimpia, Dionisia; Eroa, Turia, Turina) ed è possibile supporre che su ognuna di quelle definite dal nome di una divinità si affacciasse un santuario dedicato al dio o all’eroe corrispondente (Eracle, Afrodite, Zeus Olimpio, Dioniso).
L’impianto ortogonale urbano non è certo una novità in questo periodo: nel caso di Thurii, però, l’incrocio delle strade ad angolo retto dà origine ad un impianto di forma quasi quadrata, costituito da due file di tre isolati ciascuna, a loro volta suddivisi da una fitta maglia di stenopoi in isolati caratterizzati da un rapporto di 1:2 tra larghezza e lunghezza; questa, almeno, è l’immagine che gli scavi archeologici, combinati con la descrizione diodorea, consentono di ricostruire. Thurii rappresenta la prima manifestazione in Occidente dell’impianto urbano del tipo “a scacchiera” che conoscerà buona fortuna nel corso dell’età classica e che segna, intorno alla metà del V secolo a.C., il superamento dell’arcaico modello per strigas.
Anche nell’ambito dell’architettura sacra i coloni greci d’Occidente si mostrano dotati di inventiva, capaci di adattarsi alle condizioni peculiari dell’ambiente in cui si trovano ad operare e alle necessità dei loro culti, e molto precoci; ma anche desiderosi di rimarcare il ruolo e la ricchezza della propria città, nonché le proprie capacità tecniche e artigianali, sia di fronte agli indigeni che di fronte alla Grecia propria, di cui non smetteranno mai di sentirsi parte integrante. Nella città, l’area sacra include il tempio della divinità poliade e si impone come il centro rappresentativo di tutto l’impianto urbano, testimonianza monumentale dell’ordine che l’apoikia si è data.
Nella chora, i santuari extraurbani come quelli dedicati ad Era (che presiede alla fertilità della terra e alla fecondità del vincolo matrimoniale) nelle colonie di origine achea (Metaponto, Poseidonia, Crotone) definiscono e delimitano lo spazio agrario della apoikia, ribadendo di fronte agli indigeni la superiorità culturale dei Greci (e di conseguenza il loro pieno diritto ad occupare la terra coloniale), con edifici sontuosi e ben costruiti, caratterizzati da una ricca decorazione figurata che sa narrare, con vivace forza espressiva, i miti della madrepatria: basti pensare all’Heraion alle foci del Sele, nella chora di Poseidonia, con i cicli metopali ispirati alle imprese di Eracle, all’Ilioupersis, all’Orestea, ad altri soggetti isolati, che ne fanno il maggiore e più splendido complesso figurato di età arcaica, sorta di concentrato per immagini di mitologia ellenica in cui risultano prevalenti le leggende imperniate sullo scontro tra civiltà e barbarie e sulla funzione civilizzatrice della cultura greca. Oppure i santuari extraurbani possono formare una collana intorno alla città, come a Locri o a Gela, una “cintura sacra” che cinge lo spazio urbano in funzione protettiva, sancendo l’occupazione del territorio; ad Agrigento, i famosi templi di età severa circondano la città lungo le sue mura, dando ragione della sua fama come “la più bella città dei viventi” (Pindaro, Odi Pitiche, XII, 1).
In Sicilia, la fioritura dell’architettura templare di età severa è preceduta dalla grande stagione arcaica dei templi peripteri monumentali, il cui primo esempio, il tempio di Apollo a Siracusa costruito intorno al 580 a.C. sull’isoletta di Ortigia, costituisce il capostipite di tutto un gruppo di grandi edifici, caratterizzati da dimensioni veramente imponenti e da soluzioni architettoniche originali, come la decisa frontalità, la centralità assiale, la presenza di ampie peristasi e di vani interni spaziosi (necessari, perché parte del culto si svolge all’interno). Tra le realizzazioni più imponenti, occorre ricordare il Tempio G di Selinunte (forse dedicato ad Apollo), uno pseudodiptero (cioè con peristasi molto distante dalla cella) in stile dorico di 50x109 metri, con una peristasi di 8x17 colonne e un’ampia cella a cielo aperto con un naiskos per la statua di culto, iniziato intorno al 520 a.C. ma mai portato completamente a termine; le sue dimensioni sono superate soltanto dall’Olympieion di Agrigento, il più grande tempio dell’Occidente greco, dedicato a Zeus dal tiranno Terone e rimasto, come il tempio selinuntino, incompiuto.
L’Olympieion è caratterizzato da un alzato originale, con peristasi completamente chiusa da mura (soluzione probabilmente imposta dalla fragilità della calcarenite con cui è costruito) e con giganteschi telamoni, alti 7,65 metri, che originariamente dovevano sostenere l’architrave tra gli intercolumni, e che alludevano probabilmente alla vittoria sui Cartaginesi ad Imera nel 480 a.C.; ed è appunto in seguito a questa battaglia che Terone dispone dell’abbondante manodopera, costituita da prigionieri di guerra, necessaria alla realizzazione di un progetto tanto ambizioso, e che consente altresì l’esecuzione di un’altra struttura responsabile della fama di cui Agrigento gode nel mondo antico, il celebre acquedotto di Falaride.
Come in Sicilia, anche nelle città greche dell’Italia meridionale l’architettura templare presenta caratteri di notevole originalità: del resto, quando i coloni hanno abbandonato le loro città di origine (spesso, come abbiamo visto, ancora assai poco urbanizzate), l’architettura monumentale era appena agli inizi, e questo ha lasciato loro una libertà inventiva che, combinandosi con un precoce impulso alla monumentalizzazione degli edifici pubblici e ad una certa inclinazione alla decorazione esuberante, ha dato vita a formule architettoniche peculiari, tra cui occorre ricordare almeno il cosiddetto stile dorico-acheo derivante dalla combinazione di elementi protodorici ed elementi protoionici, di cui fornisce un maestoso esempio il tempio di Era a Poseidonia (la cosiddetta “Basilica”), ma che caratterizza anche l’Athenaion della stessa città, lo stesso Heraion alla foce del Sele e che si diffonde anche nelle altre colonie achee, Sibari, Crotone, Metaponto. Ognuna di esse contribuisce alla formulazione di un vero e proprio stile architettonico “coloniale”, che in età classica dovrà cedere il passo all’affermazione dei due ordini canonici, il dorico e lo ionico; ma al quale si deve il fascino e la creatività di edifici straordinari, destinati a fare di Poseidonia/Paestum una tappa di quel processo di riscoperta dell’arte greca che domina il rapporto con l’antico nel secondo Settecento europeo.