Le borghesie
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Dopo l’anno Mille i chierici descrivono la società del tempo secondo un ordinamento tripartito: chi prega (oratores), chi combatte (bellatores) e chi lavora (laboratores). Uno degli aspetti fondamentali connessi allo sviluppo urbano, che raggiunge il suo apogeo nel secolo XIII, è la profonda trasformazione che interviene all’interno della classe dei laboratores. L’originalità e la dimensione del fenomeno si riscontrano nello sviluppo e nell’affermazione di nuovi ceti e classi sociali che, in età moderna, vengono designati con il termine “borghesia”.
Con il termine borghesi si indicano gli abitanti del borgo, ossia l’insediamento sorto in adiacenza a città, castelli o altri centri signorili. Nel borgo si trovano mercanti e artigiani, il cui numero e attività cresce a seguito della crescita della popolazione e dell’espansione commerciale, e dove spesso si trovano anche i magazzini ove vengono riposte le merci oggetto dell’intensificata attività commerciale.
“Il borghese vive essenzialmente di scambi; trae la propria sussistenza dalla differenza tra il prezzo di acquisto e il prezzo di vendita o tra il capitale prestato e quello restituitogli. E, poiché la legittimità di tale profitto intermediario, appena non si tratti d’un semplice salario di operaio o di trasportatore, è negata dai teologi e gli ambienti cavallereschi stentano a capirne la natura, il suo codice di condotta si trova così in flagrante antagonismo con le morali del tempo. Dato che mira a speculare sui terreni, i vincoli signorili sui suoi beni fondiari gli riescono insopportabili; dacché ha bisogno di sbrigare rapidamente i propri affari e questi, sviluppandosi, non cessano di suscitare problemi giuridici nuovi, le lentezze, le complicazioni, l’arcaismo delle giustizie tradizionali lo esasperano. La molteplicità delle dominazioni che si dividono la medesima città lo irrita come un ostacolo al buon ordinamento delle transazioni e un’offesa alla solidarietà della sua classe. Le varie immunità di cui godono i suoi vicini di chiesa o di spada gli appaiono altrettanti ostacoli alla libertà dei propri guadagni. Sulle strade da lui percorse senza posa, egli aborre del pari le esazioni degli addetti ai pedaggi e i castelli donde balzan fuori, contro le carovane, i signori avidi di bottino. In breve, nelle istituzioni create da un mondo nel quale egli non ha ancora che un modestissimo posto, quasi tutto gli reca offesa o molestia. Dotata di franchigie conquistate con la violenza od ottenute col denaro, organizzata in gruppo solidamente armato per l’espansione economica oltre che per le necessarie rappresaglie, la città che egli sogna di costruire rappresenterà, nella società feudale, un corpo estraneo” (Marc Bloch, La società feudale , Milano 1966).
Non si tratta di un ceto sociale omogeneo, specie all’origine. Dietro l’etichetta di “mercante” si trovano gruppi molto diversi fra loro sia per ricchezza e potere che per tipologia di attività: dai più umili che si dedicano a piccoli scambi ai grandi mercanti-finanzieri.
Indubbiamente la città medievale cambia anche l’uomo, in quanto diventando un centro economico, il suo cuore è il mercato: “La mentalità dominante è la mentalità mercantile, quella del profitto” (Jacques Le Goff, L’uomo medievale, Bari 1987). Cresce nelle città il numero e l’importanza economica e politica dei lavoratori dediti ad attività artigianali e commerciali, anch’essi sempre più differenziati socialmente. Un buon numero di mercanti, figli di ricchi – sia pubblici ufficiali che cavalieri –, nel XII secolo diventano patrizi e molti “nuovi ricchi” fanno fortuna con il commercio, specie quello più rischioso, a lunga distanza. Il mercante indossa vesti preziose e gioielli, ha oro, ferro, avorio e altre merci di lusso. Eppure nella società dei secoli XI-XII, nella quale ancora il guadagno è legato al lavoro manuale, il profitto ottenuto attraverso il commercio desta sospetto: egli infatti acquista la merce a un prezzo e la rivende a uno più alto e dietro questo passaggio viene visto l’ingiusto lucro. Il mercante, quindi, per essere bene accolto deve conoscere il diritto, le lingue – specie il latino e il francese che sono le più diffuse – e avere modi cortesi. Tuttavia è soprattutto il prestito del denaro a interesse che attira le condanne, soprattutto dalla Chiesa.
I mercanti, infatti, ricorrono sempre più spesso a questa modalità di accrescimento del capitale e la loro clientela è formata da tutte le classi sociali: dall’alta aristocrazia – papi, sovrani, nobili –, ai commercianti al minuto, dagli artigiani ai contadini. Si viene così a delineare una società più ricca e articolata nella quale le persone impegnate nel commercio, nel credito e nella manifattura svolgono un ruolo di crescente importanza. Lo sforzo per affermarsi è notevole, ma vi riescono imponendosi ai vecchi poteri dai quali ottengono riconoscimenti di diritti e libertà sempre più ampie.
Il brano di Bloch citato precedentemente fa intendere, fra le altre cose, il contributo dato dallo sviluppo dei commerci alla crescita di interesse per gli studi giuridici; ora ai professionisti della cultura scritta e della pratica giuridica, giudici e notai, si chiedono nuove competenze e saperi per dare risposte alle diverse problematiche poste anche dal mondo mercantile. La domanda di istruzione da parte dei ceti sociali in ascesa e da una società in rapida trasformazione appare dunque sollecitata dal crescente dinamismo dell’economia, dallo sviluppo dei traffici e delle comunicazioni che mettono in contatto l’Occidente con un numero sempre maggiore di popoli. La rinascita culturale va di pari passo con le necessità della città, poste dalle nuove strutture economiche e politiche: c’è bisogno di notai ed esperti di questioni giuridiche. La più antica, oltre che famosa, università è quella di Bologna, dove, già nell’XI secolo, alcuni maestri tengono lezioni private sul Corpus Iuris civilis di Giustiniano. Le loro riflessioni, dette glosse, vengono riportate nei margini dei manoscritti utilizzati, da qui il nome di glossatori attribuito ai primi giuristi. Queste scuole sono rivolte principalmente a quanti vogliono intraprendere la carriera di giudici o di notai. È un’élite di persone che può permettersi di pagare l’istruzione e di recarsi in città anche molto lontane per studiare. Questi personaggi hanno svolto un ruolo di primo piano nel passaggio all’autonomia comunale contribuendo alla laicizzazione delle istituzioni e partecipando ben presto al governo comunale. All’apporto di giudici ed esperti di diritto si deve la formulazione di codici di leggi, gli statuti, per rispondere alle esigenze della vita sempre più complessa del Comune. A loro spetta il compito di applicare “un ordine che viene fatto rispettare dalla collettività che si è autoimposta delle regole di convivenza” (Renato Bordone, “I ceti dirigenti urbani dalle origini comunali alla costruzione dei patriziati”, in Le aristocrazie dai signori rurali al patriziato, Bari 2004).
I notai con la loro cultura giuridica acquistano un prestigio sociale crescente, essendo la loro opera indispensabile per il funzionamento del governo cittadino: il notaio interviene nella compilazione di leggi e statuti, per la redazione di scritture giudiziarie e finanziarie e per verbalizzare le testimonianze da presentare in giudizio; ma il suo lavoro diventa sempre più prezioso e importante soprattutto per la produzione di atti di vario genere – testamenti, contratti, patti matrimoniali, inventari –, richiesti da un numero sempre maggiore di persone appartenenti a tutti i gruppi sociali. Si afferma la fides publica e il valore dello strumento notarile che porta alla decisa “tecnicizzazione ed esclusività della professione” (Paolo Cammarosano, Italia medievale, Roma 1991). La documentazione prodotta dai notai, in latino, diventa la memoria storica di una città. I registri di imbreviature, custoditi presso il notaio, fanno spesso le veci dell’atto originale godendo della pubblica fede: il primo, genovese risalente al 1154/1164, contiene ben 1300 documenti. La maggior parte di questi registri ha carattere promiscuo e sui margini o in pagine sparse non di rado i notai annotano gli eventi più significativi. Alcuni di loro con trattazioni più organiche, danno un notevole contributo alla fioritura della storiografia cittadina che raggiunse l’apice fra il XII e il XIV secolo con gli Annali del genovese Caffaro di Caschifellone.
Per lungo tempo la cura dei malati rimane appannaggio soprattutto dei monaci, ma sovente si trovano testimonianze riguardanti altre figure sociali dalle quali si va per cercare un rimedio alle proprie sofferenze. Già nei secoli X-XI i medici di Salerno risultano godere in tutta Europa di grande fama. Indubbiamente una svolta si ha con l’apertura di una facoltà di medicina nell’università di Salerno dove con “il passaggio nel corso del XII secolo da un insegnamento di tipo prevalentemente pratico ad un altro con fondamento teorico-filosofico” (Giovanni Vitolo, Nel laboratorio della storia. I medici di Salerno, le terme di Baia-Pozzuoli e la leggenda virgiliana di Napoli, Pisa 2007) anche a seguito dell’influsso della medicina greco-araba, dal rango “popolare” la medicina sale agli onori di materia accademica e di scienza. I medici fanno parte del gruppo dei professionisti della cultura ma, oltre a saper leggere e scrivere, il medico deve “padroneggiare questa arte non solo per amore della scienza, ma proprio in funzione della sua attività pratica di conoscitore e servitore della natura, di physicus. Il medico deve poi rendere conto a se stesso del modo in cui esporre ciò che ha ascoltato e letto, e del modo in cui, alla fine, dare prescrizioni sulla base di ciò che ha percepito e compreso” (Heinrich Schipperges, Il giardino della salute, Milano 1988). Una tendenza verso la specializzazione si delinea nel corso del XII secolo quando anche la chirurgia acquista un carattere autonomo, come rivela l’opera di Ruggero di Frugardo: Chirurgia magistri Rogerii composta fra il 1170 e il 1180.
I medici provengono da famiglie ricche, talora sono figli di mercanti ed è forse per questo motivo che si applicano ad attività di altro tipo. In particolare, da studi condotti su Genova, è stato riscontrato che è frequente trovare dei medici coinvolti in pratiche mercantili. Fra questi si segnalano anche maestri di medicina provenienti da Salerno i quali, trasferitisi nella città ligure intorno alla metà del XII secolo, risultano svolgere attività commerciali, mentre non si sa se esercitino anche la professione medica. Non solo alcuni di questi personaggi compaiono fra quanti praticano attivamente il prestito su pegno. Quest’ultimo aspetto porta a ipotizzare, quindi, che quella del medico non fosse una professione molto redditizia (Laura Balletto, Medici e farmaci, scongiuri ed incantesimi, dieta e gastronomia nel Medioevo genovese, Genova 1986).