Le biblioteche tra conservazione e rinnovamento
Esistono due Italie per quanto riguarda l’economia, la politica e anche la cultura. Se nel complesso del territorio nazionale le biblioteche che dipendono dagli enti locali sono 6417, solo 1194 di queste si trovano al Sud. La Puglia, con 4 milioni di abitanti, ha lo stesso numero di biblioteche (276) del Trentino-Alto Adige, che registra un milione di abitanti. La Basilicata (quasi 10.000 km2) ha 87 biblioteche, il Friuli (7500 km2) ne ha 214 (ISTAT 2013, p. 225).
Dovendo considerare le realtà regionali, la riflessione non può che partire da lontano, dalle ‘due Italie’ degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta. Da Roma in giù, solo gli avvocati, i medici, i farmacisti e i parroci sapevano leggere e scrivere. Il 75% delle famiglie non possedeva neppure un libro. I Sassi di Matera erano ancora grotte condivise con le capre, non graziosi appartamenti per turisti. Quando il sociologo americano Edward Banfield scrisse The moral basis of a backward society (1958; trad. it. 1976) analizzava Chiaromonte, un paese in provincia di Potenza, preso come simbolo di tutto il Meridione.
Il miracolo economico e l’istruzione di massa non furono sufficienti per cancellare un ritardo storico nell’alfabetizzazione così profondo. A livello nazionale, nel 1965 c’erano libri solo in una famiglia su tre; ad averne in casa più di 50 era una famiglia su dodici; leggevano libri appena il 16,6% degli adulti. Ancora nel 1971, il 32% degli italiani adulti era analfabeta, o comunque privo di titoli di studio. Nel Sud e nelle Isole, questa percentuale era di oltre il 44%. Nonostante le mobilitazioni di massa e la scoperta della politica e della cultura nel Sessantotto, nel 1973 solo il 25% degli italiani leggeva almeno un libro l’anno, il che non basta certo per dirsi ‘lettori’.
I fenomeni sociali sono lenti; viviamo in una società dove le tracce della storia permangono e influenzano i comportamenti individuali per decenni o secoli, più resistenti al cambiamento di monumenti millenari come il Colosseo o il Partenone. La situazione dell’Italia nel 2013, per quanto riguarda la lettura di libri e giornali, ha molto a che fare con le scelte fatte quattro secoli e mezzo prima nel Concilio di Trento (1563), quando si continuò a scoraggiare la lettura individuale della Bibbia, favorita invece nei Paesi protestanti.
Anche la scuola non è stata sufficiente a modificare la storica estraneità di molti verso la carta stampata: tra il 1965 e il 1988, come scrive il rapporto dell’Associazione Forum del libro, «si è verificata un’ondata di massiccia scolarizzazione e l’incremento dei lettori è stato conseguente; dal 1995 a oggi, mentre continuava a crescere a ritmo notevole il numero di diplomati (passato dal 63,6 al 72,6% dei giovani diciannovenni) e laureati (passato addirittura dall’11,4 al 34,3% dei venticinquenni), quello dei lettori è cresciuto in misura molto debole (passando dal 39,1 a una punta massima del 46,8% della popolazione, raggiunta nel 2010); anche nel primo decennio di questo nuovo secolo, del resto, il numero di laureati è cresciuto del 36% e quello dei lettori solo del 9%» (2013, p. 9). Non è difficile capire il perché: come sottolineava Tullio De Mauro dieci anni fa, «quasi il 40% della popolazione italiana non è nelle condizioni di leggere non “Repubblica” o “Corriere della Sera”, ma un giornalino per ragazzi» (De Mauro 2004, p. 210). Gli investimenti nelle strutture che avrebbero potuto allargare la platea dei lettori, per es. biblioteche attraenti, innovative, capillarmente diffuse sul territorio, non sono mai stati fatti.
L’Italia non sa esattamente quante biblioteche possiede. L’ISTAT ne ha censite 12.713 (2013, p. 215), di varie tipologie: pubbliche, universitarie, private, di enti ecclesiastici, straniere e altro. Basta una semplice occhiata a questi dati statistici per capire che il nostro Paese non ha mai avuto una politica coerente in materia: esistono ben 475 biblioteche che dipendono dalla Presidenza del Consiglio o da ministeri diversi da quello dei Beni culturali; quest’ultimo ne ha in carico 294. Ci sono poi ‘amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo’ con 368 biblioteche, ‘organi costituzionali’ (15), ‘camere di commercio’ (65). Le due categorie più importanti sono le biblioteche di università statali (1928) e quelle di enti territoriali (comuni, province e regioni) che sono 6417 (p. 225). Intorno a questo dato, peraltro, non c’è accordo: infatti, l’indagine condotta dal Centro per il libro e la lettura con l’Associazione italiana biblioteche (CEPELL-AIB 2013) ne censisce 6890 (quindi oltre 400 in più), ma soltanto 4658 risultano «dotate di indirizzo e-mail attivo e funzionante» (p. 2). Viene da chiedersi se sia verosimile che oltre 2000 biblioteche non siano ancora provviste di e-mail.
Comunque sia, in questo contributo verrà presa in esame soltanto la biblioteca pubblica di ente locale, definita ‘civica’, ‘di base’, ‘di pubblica lettura’, ‘comunale’ e talvolta ‘mediateca’ o ‘centro culturale’. Queste sono solo alcune delle definizioni utilizzate per indicare la stessa istituzione e dietro questa difficoltà a battezzarla si intuisce la fragilità, lo scarso riconoscimento e la mancanza di accordo sul suo ruolo da parte degli addetti ai lavori. Nei Paesi anglosassoni o in quelli scandinavi quando si dice public library si sta parlando di una struttura finanziata attraverso le tasse dei cittadini, gestita in modo da garantire l’interesse di ognuno, gratuita nell’offerta di servizi accessibili a tutti. La biblioteca pubblica è considerata un servizio essenziale, che deve soddisfare bisogni informativi generali e di base attraverso una struttura accessibile a tutti, con documenti divulgativi di tipo diverso (non solo librario), presentati a scaffale aperto. Essa, inoltre, raccoglie e conserva le pubblicazioni prodotte in ambito locale.
In Italia, invece, questo modello non è mai stato codificato e adottato esplicitamente perché non si è mai preso atto del fatto che biblioteche di pubblica lettura e biblioteche di conservazione sono servizi sostanzialmente diversi. «La prima è un’istituzione nata nel 19° sec., soprattutto nei Paesi di tradizione protestante, e rispecchia una certa idea della costruzione dello Stato nazionale e della democrazia. […] È stata creata per alfabetizzare il 100% della popolazione, condizione necessaria per la costruzione di eserciti moderni e per lo sviluppo economico. In Italia essa non è mai diventata un servizio indispensabile per ogni comune, è rimasta invece un optional affidato alla buona volontà e alla lungimiranza della singola amministrazione» (Agnoli 2011, p. 11).
In Italia è stata quindi definita ‘biblioteca pubblica’ qualsiasi struttura ‘aperta al pubblico’ senza limitazioni e legata a uno specifico territorio, ignorando la necessità di definire con precisione i requisiti del servizio elencati qui sopra e di diffondere la biblioteca di pubblica lettura in modo capillare su tutto il territorio nazionale.
Il trasferimento di competenze alle regioni, di cui si parlerà in questo paragrafo, raramente ha portato con sé una trasformazione dell’organizzazione bibliotecaria, uno sviluppo di servizi di pubblica lettura: in particolare al Sud e nelle Isole, di fatto c’è stata solo la riproposizione di modelli del vecchio ordinamento conservatore. Per i cittadini la biblioteca ha continuato a essere un luogo legato allo studio, per pochi, con strutture e tecnologie obsolete, orari inadeguati, personale invecchiato e raramente professionalizzato. Strutture dedicate alla conservazione e alla gestione del patrimonio e, quando andava bene, alla preoccupazione dell’efficienza della macchina burocratica.
La storia delle biblioteche in Italia è la storia della politica culturale di un Paese che ha ereditato un grande patrimonio librario ma che non è mai riuscito a creare una moderna ed efficiente rete di servizi. Si sono adottate politiche contraddittorie e insufficienti che hanno finito per privilegiare, soprattutto in una parte del Paese, l’idea di biblioteca come luogo di raccolta e conservazione dei documenti e non di struttura concepita per tutti i cittadini. Un’impostazione che non ha fatto bene nemmeno alle biblioteche storiche, ridotte a servizio per pochi studiosi e per molti studenti alla ricerca di un tavolo e di una luce confortevoli.
È storica l’assenza di un progetto politico dello Stato in questo settore, decisamente in contrasto con gli altri Paesi europei che hanno individuato nella biblioteca un servizio fondamentale per la costruzione sociale, civile e democratica della collettività. Inutile citare qui l’ambizioso piano francese varato dal ministro della Cultura Jack Lang nel 1981-82, che ha condotto alla costruzione di centinaia di nuove mediateche. Si guardi alla Spagna, dove i primi governi democratici investirono molto sulla scuola e la cultura, lanciando vasti programmi di costruzione di biblioteche e piani di promozione della lettura già nella seconda metà degli anni Settanta, in particolare in Catalogna e nella regione madrilena. Il Portogallo nel 1987 lanciò un piano nazionale per la costruzione di una rete di biblioteche di pubblica lettura: in 25 anni sono riusciti a dotare di nuove strutture 261 municipi su 308.
La storia delle biblioteche italiane negli ultimi quarant’anni è stata quindi la storia di modelli e servizi eterogenei, con la coesistenza di strutture di conservazione refrattarie a qualsiasi politica di apertura, e di strutture aperte, innovative, sperimentali. In entrambi i casi, la loro organizzazione è stata però determinata dal d.p.r. 14 genn. 1972 nr. 3 che trasferiva alle regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative in materia di biblioteche di ente locale, affidando loro i compiti di istituzione, funzionamento e coordinamento, oltre che di incremento e integrità delle raccolte, di cui si impegnavano a garantire la fruizione pubblica. Lo stesso decreto disponeva il passaggio alle regioni delle Soprintendenze bibliografiche e delle relative funzioni di conservazione e tutela, esercitate anche sui beni librari posseduti da enti morali e privati. Con il d.p.r. 24 luglio 1977 nr. 616 si completava il trasferimento da parte dello Stato dei compiti esercitati prima dal servizio nazionale, con il riconoscimento dell’esclusiva competenza regionale in materia di organizzazione territoriale dei servizi di pubblica lettura. Dal quel momento lo sviluppo della rete delle biblioteche di ente locale diventa una questione tutta regionale da regolamentare attraverso specifiche leggi. Una scelta di decentralizzazione che in Italia, come in molti altri settori, non ha dato risultati positivi. Ancora oggi esistono regioni dove molti comuni sono privi di biblioteca e nelle quali manca una legge specifica in materia: tra queste la Sicilia, dove l’ultimo testo risale al 1977 (l. reg. 1° ag. 1977 nr. 80) e quasi nulla dice in merito alla costituzione e allo sviluppo di una rete di biblioteche pubbliche sul territorio.
I risultati ottenuti nel periodo 1973-80 si rivelarono mediocri: se sul piano quantitativo furono istituite 1744 nuove biblioteche, sul piano qualitativo molte di queste strutture sono nate e vissute senza tener conto degli standard minimi per quanto riguarda dotazioni, personale, orari di apertura. Spesso si è trattato di biblioteche aperte grazie a contributi a pioggia, non legati a un progetto e a una capacità dei comuni di disporre delle risorse finanziarie necessarie per sostenere le spese di gestione. Inevitabile, quindi, che interventi finanziari modesti da parte delle regioni, distribuiti senza un piano nazionale e senza una visione progettuale complessiva e di lungo respiro, spesso destinati alla sola edilizia, creassero l’odierna situazione a macchia di leopardo.
La prima legge regionale a essere emanata fu la nr. 41 del 4 sett. 1973 in Lombardia, regione che ha sempre mantenuto una posizione di avanguardia nello sviluppo dei servizi bibliotecari. La legge lombarda, preceduta dal lavoro di una commissione tecnica in cui erano presenti anche bibliotecari, fissò alcuni principi cardine: gratuità dell’accesso, obbligo per i comuni inferiori a 20.000 abitanti di aderire a un sistema territoriale, costituzione di comitati di gestione (oggi scomparsi), definizione delle competenze e delle funzioni da ripartire tra regione e province. La titolarità delle biblioteche di pubblica lettura e di interesse locale (strutture appartenenti a enti morali o ecclesiastici che garantissero l’apertura del servizio al pubblico), nella maggioranza dei casi, fu attribuita ai comuni. Nell’Italia centrale troviamo biblioteche che esercitano un servizio di pubblica lettura ma appartengono all’ente provincia, così come in Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta troviamo biblioteche che dipendono dalle rispettive regioni a statuto speciale (Traniello 2002; 2005).
La Lombardia è l’unica ad aver mantenuto e consolidato su tutto il suo territorio un’organizzazione basata sui ‘sistemi bibliotecari’, vere strutture operative capaci di realizzare a livello di macroaree la messa in comune e il coordinamento dei servizi delle singole biblioteche: dal prestito interbibliotecario alla catalogazione centralizzata, dal coordinamento delle attività culturali alla messa in comune di risorse elettroniche. Progetti sempre più innovativi che consentono alle biblioteche lombarde performance di tipo europeo. Purtroppo, anche se quasi tutte le leggi regionali prevedono forme di coordinamento dei servizi, raramente questo obiettivo è stato raggiunto.
Le cosiddette leggi regionali di prima generazione avevano una struttura simile a quella della legge lombarda: Veneto 1974 (nr. 46), Lazio 1975 (nr. 30), Toscana (nr. 33), Valle d’Aosta (nr. 30), Friuli Venezia Giulia 1976 (nr. 60) e poi molte altre. Esse costituirono in alcuni casi un incentivo notevole allo sviluppo di strutture innovative, che vennero definite biblioteche-centri culturali: erano gli anni Settanta, l’onda lunga del Sessantotto e la scuola media unificata avevano creato quell’humus culturale che richiedeva luoghi più sociali e più aperti al territorio. Le cose poi cambiarono, e le biblioteche, con i bibliotecari, rivendicarono un ruolo più legato alla lettura, alla sua promozione e allo studio, riflessioni che hanno trovato inevitabilmente riscontro nelle leggi regionali degli anni Ottanta, definite di seconda generazione. Se le normative precedenti avevano definito la biblioteca ‘centro culturale’ queste parlano di un ‘centro di documentazione, informazione e lettura’. Si introducono standard strutturali e funzionali, la programmazione come strumento per ottimizzare le risorse e per analizzare l’efficacia dei servizi, una forte accentuazione sulla necessità di organizzare i servizi in sistemi bibliotecari territoriali e l’individuazione di nuovi ruoli per le province. La prima legge regionale che introduce questi punti è la nr. 42 del 27 dic. 1983 della regione Emilia-Romagna.
L’Emilia-Romagna aveva già iniziato a intervenire attraverso piani pluriennali, con finanziamenti significativi, creando una rete di sistemi provinciali di pubblica lettura sul modello di quelli di Forlì e Bologna, istituiti nell’ambito del Servizio nazionale di lettura. La caratteristica più rilevante stava nell’aver inserito la biblioteca pubblica di base all’interno della rete di servizi offerti al cittadino sul territorio, in particolare quelli legati all’istruzione e alla formazione. Un’impostazione che ha fatto nascere in ogni comune una biblioteca, radicandola profondamente nel tessuto cittadino e ottenendo quel riconoscimento sociale che purtroppo la biblioteca non ha avuto in altre regioni.
Lombardia ed Emilia sono quindi le «regioni che hanno indubbiamente assunto la leadership organizzativa nel campo delle biblioteche locali durante gli anni ’80» (Traniello 2005, p. 58). Il loro lavoro ha determinato un effettivo sviluppo quando, come nel caso della Lombardia, è stato «accompagnato, oltre che da una concreta azione regionale di supporto, per esempio nel settore edilizio, anche da una capacità degli enti locali di base di assumere, in proprio o con la partecipazione regionale, impegni finanziari adeguati per il decollo delle strutture». Nella storia della biblioteca pubblica, «le condizioni del suo effettivo sviluppo [sono] concretamente dipese da due principali fattori: il riconoscimento di uno spazio di esercizio dell’autodeterminazione nelle scelte da parte del governo locale e la chiara indicazione delle risorse finanziarie su cui fare affidamento» (p. 58).
Queste due regioni hanno quindi utilizzato gli strumenti legislativi in modo differente: la Lombardia ha favorito i sistemi bibliotecari comunali fissando requisiti minimi di servizio, mentre l’Emilia-Romagna ha organizzato i sistemi di pubblica lettura provinciali usando lo strumento giuridico della convenzione per il coordinamento di servizi tra istituti appartenenti a tipologie istituzionali differenti. In entrambi i casi si sono ottenuti dei risultati.
Negli anni Novanta arrivano nuove tecnologie e la biblioteca, per stare al passo con i tempi, cerca di ritagliarsi un ruolo più legato alla promozione di documenti diversi dal libro, soprattutto CD e DVD. Si comincia a parlare di accesso all’informazione. Sono gli anni delle leggi Bassanini (1997-99) sul decentramento amministrativo e della riforma del titolo V della Costituzione (2001-03), della l. 8 giugno 1990 nr. 142 e del d. legisl. 18 ag. 2000 nr. 267, che riflettono un clima più istituzionale, più improntato a principi di indirizzo, programmazione e coordinamento. Si tende a legiferare su tutta la politica culturale del territorio, e per le biblioteche si accentuano le competenze legate alla valorizzazione e tutela dei beni culturali. In questo senso è impostata la l. reg. 13 apr. 2001 nr. 11 del Veneto, dove sono presenti principi come efficienza, sussidiarietà, concertazione, accesso da parte dei cittadini.
La biblioteca avrebbe potuto svolgere un ruolo importante nel garantire la comunicazione delle informazioni legate alla pubblica amministrazione, invece fu completamente tagliata fuori, dimenticando che servizi di questo tipo le biblioteche inglesi o americane li offrono da sempre. Un’occasione perduta perché la biblioteca pubblica, anche dove funzionava bene, non era percepita come un servizio capace di svolgere funzioni differenti da quelle tradizionalmente riconosciute di studio e prestito.
Forse oggi si può parlare di una nuova generazione di leggi: ci sono alcune regioni che stanno lavorando a nuovi testi (Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Lazio). Sicuramente una legge interessante è la l. reg. 12 dic. 2013 nr. 40 della Regione Puglia (Iniziative e interventi regionali a sostegno della lettura e della filiera del libro in Puglia), come la l. reg. 21 ott. 2008 nr. 16 della Regione Lazio, che è stata la prima a dotarsi di un testo riferito in modo specifico agli interventi per la promozione del libro e della lettura. In questa legge la biblioteca viene inserita all’interno di un panorama più ampio, dove la lettura è intesa soprattutto come percorso di crescita democratica del cittadino e come forma di welfare della conoscenza. La biblioteca è uno dei punti strategici della rete che vede protagonisti tutti i soggetti che si occupano sul territorio di libro e lettura: scuole, librerie, circoli di lettori, operatori della filiera del libro. È una legge che sicuramente cerca di reagire con incentivi e proposte concrete ai dati, purtroppo sempre più negativi, sulla lettura.
La decentralizzazione di cui si è parlato fa sì che in Italia non sia facile avere dati omogenei e utili sul funzionamento dei servizi bibliotecari: alcune regioni li raccolgono puntualmente, altre no. Poche biblioteche pubblicano on-line le loro statistiche, non esiste un istituto centrale che raccolga ed elabori i dati relativi a prestiti, acquisti, personale, sedi, orari. Questo tuttavia non ci impedisce di individuare alcune tendenze.
L’Italia del Nord è decisamente l’area più interessante: qui si concentra il 50,7% delle biblioteche e ci sono le percentuali più alte di cittadini che frequentano la biblioteca almeno una volta all’anno (Trentino-Alto Adige 28,8%, Valle d’Aosta e 27%). Qui sono stati ottenuti i migliori risultati, soprattutto per quanto riguarda la cooperazione bibliotecaria, gli interventi a sostegno dell’edilizia (bandi del Fondo ricostituzione infrastrutture sociali Lombardia, FRISL) e la valorizzazione del ruolo sociale delle biblioteche (bandi della Fondazione Cariplo e Vodafone per progetti a favore dell’inclusione e della coesione sociale).
Sono molti i sistemi bibliotecari territoriali che operano con modalità gestionali e di servizio efficienti: il sistema bibliotecario valdostano comprende tutte le 55 biblioteche di pubblica lettura della regione, servendo una popolazione complessiva di 128.000 abitanti. In Piemonte 18 sistemi aggregano comuni piccoli, isolati, che grazie alla biblioteca centro-rete riescono a fornire servizi (spesso gestiti da volontari) anche nelle valli più sperdute. Per es. il sistema di Pinerolo, che aggrega ben 86 comuni, funziona molto bene. Va segnalato il Sistema bibliotecario area metropolitana (SBAM) di Torino, costituito da una biblioteca centrale, 17 biblioteche di zona, un giardino-lettura presso il mausoleo de la Bela Rosin, due biblioteche carcerarie e numerosi centri di lettura e prestito per pubblici disagiati. La forte presenza di stranieri ha sollecitato il potenziamento dell’offerta di servizi multiculturali e in generale di tutti quei servizi rivolti alla parte di popolazione più debole e a rischio di esclusione, tipica delle aree metropolitane. In attesa di realizzare la nuova biblioteca della città, arrivata al progetto esecutivo e poi bloccata per mancanza di fondi, Torino ha avviato un incessante processo di riprogettazione di tutto il sistema, con il restyling o la costruzione di nuove biblioteche di zona. Accanto ai più tradizionali servizi di prestito e lettura, grazie anche all’aiuto di centinaia di volontari, queste strutture si sono dedicate all’inclusione sociale e alla community information: per es., il servizio ‘Il notaio è un libro aperto’, consulenza gratuita a disposizione dei cittadini organizzata in collaborazione con il Consiglio notarile di Torino, oppure ‘L’avvocato della mutua’, organizzato in collaborazione con l’ordine forense, i servizi per la dislessia e altro. Le biblioteche di Torino sono inoltre le prime in Italia a essere diventate babyfriendly, cioè tutte attrezzate con fasciatoi e spazi per l’allattamento.
Allo SBAM si aggiunge il coordinamento delle biblioteche dell’area metropolitana, costituita da 57 biblioteche organizzate in cinque aree geografiche, ognuna coordinata da una biblioteca di polo.
La Lombardia, con i suoi 44 sistemi di cui 5 nella provincia di Milano (incluso quello urbano con 25 biblioteche rionali) è l’area territoriale forse più dinamica e attiva dell’intero Paese, quella con le più alte performance di servizio. Le biblioteche in questa regione sono più di 2000, di queste 1307 appartengono agli enti locali e offrono servizi a circa il 96% della popolazione: in molti casi rappresentano l’unico servizio culturale presente nelle comunità locali più piccole.
Quattro sono gli elementi sui quali si basa la cooperazione: favorire la creazione di biblioteche orientate alla contemporaneità, aperte a tutti, più finalizzate al tempo libero e alla lettura che allo studio; creare strutture capillarmente distribuite sull’intero territorio regionale, organizzate in sistemi bibliotecari (44 sistemi, 40 dei quali intercomunali e 4 urbani), finalizzate a garantisce a tutti i cittadini analoghi standard di servizio; presenza di personale professionalmente qualificato e costantemente aggiornato; costituzione di un sistema di monitoraggio statistico delle performance di servizio (Anagrafe delle biblioteche lombarde) indispensabile per pianificare e orientare gli investimenti e lo sviluppo dei servizi.
Nel 2010 le biblioteche regionali della Lombardia possedevano 27.815.863 documenti, con una media di 2,8 documenti per abitante (standard internazionale IFLA: 3); avevano acquistato 961.998 nuove opere ed effettuato 16.228.940 prestiti; il personale in servizio ammontava a 2267 operatori full time equivalent, FTE (pari a 0,57 FTE ogni 2500 abitanti), di cui 2486 unità di ruolo (1401 a tempo pieno e 485 a tempo parziale) e 611 unità non di ruolo (contratti, appalti esterni), oltre a 1691 volontari e 291 operatori del servizio civile.
Sempre nel 2010, la spesa totale sostenuta dalle amministrazioni titolari ammontava a 133.990.225 di euro (52,26% per il personale, 8,57% per l’aggiornamento delle raccolte, 2,27% per l’attività di promozione della lettura, il 3,94% per l’adesione a sistemi bibliotecari, il rimanente 32,96% per spese di funzionamento, acquisto arredi e attrezzature, manutenzione ordinaria e straordinaria), con una spesa media pro capite di 13,51 euro.
A Milano, il Sistema bibliotecario urbano (SBU) è composto da 24 biblioteche rionali, da un bibliobus e dalla biblioteca centrale Sormani. Ogni zona della città ospita da due a quattro biblioteche, a cui si aggiungono le fermate del bibliobus. Negli ultimi anni lo SBU ha lavorato per rendere più accoglienti le sedi, per avvicinare un sempre maggiore numero di utenti, per favorire la circolazione dei materiali e semplificare le procedure. Le biblioteche rionali hanno una tradizione che risale al 1932, anno in cui il comune assunse la gestione diretta delle strutture. Le varie sedi, distribuite tra insediamenti abitativi molto differenti, sono fortemente radicate nel territorio con strutture architettoniche, dimensioni e storie differenti. Gli iscritti nel 2012 sono stati 83.771, di cui il 10,47% rappresentato da stranieri; i prestiti sono ammontati a 1.128.658.
Nel Veneto i sistemi bibliotecari non coprono tutto il territorio: il più importante, da sempre, è il consorzio di Abano Terme, ora diventato centro-rete di tutte le biblioteche della provincia di Padova. Altri sistemi sono direttamente coordinati dalla provincia (Belluno) oppure dalle città capoluogo, come nel caso di Vicenza e Verona. Dal 2006 la regione Veneto opera un puntuale monitoraggio sul funzionamento delle 589 biblioteche di pubblica lettura del suo territorio: grazie a questa indagine sappiamo che nella provincia di Venezia il 100% dei comuni è dotato di una biblioteca, mentre nella provincia di Treviso la percentuale è il 99%; ultima la provincia di Belluno con l’84%. Nel complesso, la copertura è molto alta: i comuni dotati di biblioteca di pubblica lettura in regione sono il 91%. Queste biblioteche nel 2011 hanno messo a disposizione degli utenti 9.781.679 documenti (circa 2 per ogni abitante) e hanno registrato 5.719.465 visite, che equivalgono a una media, nell’arco dell’anno, di circa 17.000 persone per ogni biblioteca.
La situazione si presenta differente in Friuli Venezia Giulia, regione che solo negli ultimi anni è riuscita a passare da una condizione di isolamento, con poche realtà associate, a una più dinamica, dove sono state realizzate recentemente nuove sedi (Pordenone, Romans d’Isonzo, Monfalcone, San Canzian d’Isonzo, Tolmezzo). Nelle altre regioni autonome del Nord come la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige storicamente ci sono biblioteche pubbliche di grande qualità per servizi, edifici e radicamento nella comunità. Non è raro trovare collezioni nuove, curate e ben esposte, ambienti accoglienti, spazi ragazzi ben concepiti. Sicuramente l’autonomia finanziaria è stata decisiva per realizzare questi ottimi servizi.
Infine, nell’ambito delle regioni dell’Italia settentrionale c’è l’Emilia-Romagna, dove troviamo differenti forme di cooperazione tra biblioteche a seconda dei territori, talvolta con un forte ruolo esercitato dalle province (Ravenna), altrove dai comuni capoluogo. È la regione che ha da sempre promosso la convergenza, sotto lo stesso tetto, degli archivi comunali e della biblioteca di ente locale, favorendo quell’architettura istituzionale che mira all’integrazione dell’intera rete dei beni culturali regionali.
In base al censimento del 2008, le biblioteche degli enti locali sono 450; oltre 280 possiedono una sezione dedicata ai ragazzi. Tra queste sono numerose le biblioteche con una tradizione molto antica, nelle quali si registrano oltre 12 milioni di volumi, escludendo i beni librari e documentari presenti in altre istituzioni culturali e centri di documentazione che fanno parte dell’organizzazione bibliotecaria regionale (http://ibc.regione.emilia-romagna.it/faq/quante-biblioteche-ci-sono-in-emilia-romagna).
Biblioteche che hanno cercato di svolgere un ruolo di pubblica lettura, anche se inserite in palazzi storici con fondi piuttosto importanti, e che hanno sempre cercato di rinnovarsi sono la Panizzi di Reggio Emilia, la Delfini di Modena o la Classense di Ravenna. Non possiamo non ricordare l’importante progetto della biblioteca Malatestiana di Cesena che nel 2013, dopo dieci anni di lavori, ha portato a compimento il restauro di un palazzo adiacente, aggiungendo altri 2800 m2 ai 3800 m2 precedenti, quelli della biblioteca donata alla città nel 1465 da Novello Malatesta. Un nuovo grande spazio per tutti, con servizi nuovi, un profondo rinnovamento delle collezioni moderne, una grande sezione per i bambini, una ricca collezione di film. L’obiettivo dell’amministrazione è quello di creare un ponte tra il vecchio e straordinario patrimonio e i nuovi servizi.
La biblioteca più famosa nella regione, sicuramente quella che più si avvicina agli standard europei, è Salaborsa a Bologna. Per la collocazione, la bellezza dell’edificio, la qualità dei servizi è una vera grande piazza coperta, un luogo accogliente e fortemente inclusivo e per questo studiato per capire le trasformazioni sociali e culturali della città. «Salaborsa è un’isola felice. Ci si sente un po’ a casa propria e si possono fare incontri speciali» recita uno dei moltissimi post-it lasciati dai cittadini per esprimere la loro opinione sul servizio. Probabilmente è la biblioteca italiana con il più alto numero di persone entrate (1.158.132) e di prestiti (716.224) in un anno, un bell’esempio di cosa può e dovrebbe essere una biblioteca oggi.
Riassumendo, potremmo dire che al Nord, anche se in modo differente, ha avuto successo la cooperazione, unica vera strategia per diffondere livelli decorosi di servizio su tutto il territorio. Una strategia che appare ancora più necessaria oggi, per affrontare la crisi economica, la richiesta ai bibliotecari di competenze sempre più vaste e le nuove esigenze dei cittadini.
Nel Centro Italia, la Regione Toscana, dopo anni di scarsi investimenti, negli ultimi 15-20 anni ha lavorato non poco per la creazione di strutture di coordinamento, spesso coinvolgendo biblioteche che avevano sviluppato una loro eccellenza in uno specifico servizio. L’idea era di ottimizzare servizi di catalogazione, formazione del personale, circolazione dei documenti, reference on-line, comunicazione.
Toscana e Umbria hanno investito molto in edilizia bibliotecaria, spesso attraverso importanti recuperi di edifici industriali o civili: oggi ci sono la bella e dinamica San Giorgio di Pistoia realizzata dentro un ex capannone della Breda, la Lazzerini di Prato nella ex fabbrica tessile Campolmi, la biblioteca delle Oblate a Firenze dentro l’ex convento delle Oblate, le nuove biblioteche dell’Isolotto, sempre a Firenze, oltre a quelle di Pisa e Greve in Chianti. In Umbria, c’è stata un’intensa attività della regione nel recupero a uso biblioteca di complessi storici (Spoleto, Orvieto, Gubbio, Terni, Città di Castello), ma non si sono formate vere e proprie reti di cooperazione, se non il sistema bibliotecario integrato di Perugia, costituito da dieci biblioteche.
Le Marche vivono geograficamente l’influenza culturale delle regioni limitrofe, ma i servizi di cooperazione, anche quando sono presenti, non sono riusciti a incidere significativamente sullo sviluppo di moderne biblioteche. Il processo di svecchiamento è iniziato con la biblioteca San Giovanni di Pesaro (2001), seguita a breve da Maiolati Spontini e Fano. A Pesaro, Fano, Fermo, Ascoli Piceno, Macerata permangono anche biblioteche storiche importanti, alcune delle quali hanno cercato di inserire, all’interno dei loro servizi e collezioni, servizi di pubblica lettura.
Un sistema metropolitano che ha costituito una rete diffusa e radicata di biblioteche è quello di Roma, a partire dagli anni Ottanta, durante l’assessorato di Renato Nicolini, quando vennero definite ‘centri culturali polivalenti, produttori di cultura e di informazione al servizio dei cittadini, mezzi di documentazione sulla vita del territorio, strumenti di decentramento culturale’. Venne organizzato un sistema bibliotecario urbano con molti servizi coordinati centralmente, come gli acquisti, l’automazione, una biblioteca centrale per ragazzi. Nel 1996 è stata creata l’istituzione Biblioteche di Roma che ha unificato il sistema delle biblioteche e la loro gestione. Attualmente ci sono nell’insieme 37 tra centri specializzati e biblioteche (queste sono 21, di cui 6 nelle carceri e altre federate), 14 bibliopoint nelle scuole e un bibliobus. Il sistema offre oltre 60 punti di accesso, dislocati soprattutto nelle periferie. Nel 2012 gli utenti attivi sono stati complessivamente 124.020 (di cui 35.227 nuovi iscritti), i prestiti effettuati 987.837, con un affluenza stimata di 2.105.154 persone, compresi i molti cittadini che frequentano le biblioteche per le attività culturali (178.514).
Le indagini realizzate negli anni per capire chi frequenta le biblioteche e chi non le frequenta, la soddisfazione e la percezione delle biblioteche nella città rilevano che le biblioteche vengono percepite come presidi di socialità e democrazia, sempre affollate, amate da cittadini di provenienze sociali molto differenti, e sono negli anni riuscite a diventare luoghi ai quali non è più possibile rinunciare. Il comune di Roma ha investito e creduto in una struttura articolata e di base ma questo è anche frutto di una politica della regione e soprattutto della provincia, che hanno sempre creduto nello sviluppo di forme di associazione tra i comuni: tra tutti si ricorda lo storico e dinamico sistema dei Castelli Romani: 17 comuni, 22 biblioteche e punti prestito, 4 punti di biblioteca diffusa, per un totale di 350.000 abitanti. I dati del 2012 rivelano che gli utenti sono stati 10.762, i nuovi iscritti 9200, le presenze 220.540 (61% in più rispetto 2009), i prestiti 120.509 (55% in più rispetto 2010), le presenze alle attività culturali 18.000.
Per quanto riguarda l’Italia meridionale e insulare è difficile avere dati significativi: situazioni e leggi estremamente disomogenee hanno creato una realtà confusa e deludente. Ciò nonostante esistono zone in cui si sono sviluppate aree di cooperazione, biblioteche e soprattutto bibliotecari che con grande impegno personale gestiscono veri e propri presidi culturali. Nel Sud, ancora più che altrove, si notano la mancanza di un piano, di una volontà politica, di una consapevolezza che individui nelle biblioteche un servizio di base fondamentale in grado di offrire una seconda possibilità soprattutto a quei ragazzi che abbandonano il sistema scolastico e di conseguenza rischiano di trovarsi ai margini della vita sociale: la dispersione scolastica è pari al 22% in Campania, al 25% in Sicilia e in Sardegna.
Queste regioni sono le più penalizzate dal punto di vista dell’infrastruttura bibliotecaria: in Campania ci sono 355 biblioteche di enti locali su 355 comuni, in Puglia 276 su 248 comuni, in Basilicata 87 su 131 comuni, in Calabria 229 su 409 comuni, in Sicilia 378 su 390 comuni, in Sardegna se ne contano 286. Si noti che la Campania ha circa 6 milioni di abitanti, quindi possiede una biblioteca ogni 16.900 cittadini, la Sicilia ne ha una ogni 13.340: in Trentino-Alto Adige il rapporto è di una ogni 3.630.
Il rapporto tra biblioteche e numero dei comuni in alcune regioni è buono ma, dal punto di vista della qualità dei servizi, ‘biblioteca’ spesso significa solo una targa apposta su un portone. Secondo la ricerca CEPELL/AIB (2013), il numero di visite annuali in Sicilia è di 2617 per biblioteca; in Basilicata è di 2898 e in Campania è di 3329 contro una media nazionale del 14.032. Il numero medio dei prestiti in Sicilia è di 1838, in Campania 956 contro una media nazionale di 12.436; la regione che ha la cifra più alta è l’Emilia-Romagna con 33.986 prestiti per struttura. L’ultimo dato che prendiamo in considerazione è quello relativo a Internet che è offerto solo dal 78,64% delle biblioteche: le regioni con la più bassa connessione a Internet sono la Basilicata con il 38,89% e la Liguria con il 31,78%.
Quanti libri acquistano mediamente le biblioteche in Italia? Il dato di 603 libri l’anno che emerge per il 2012 (Associazione Forum del libro 2013) è decisamente imbarazzante: le regioni che hanno investito di più sono il Trentino-Alto Adige (900), l’Emilia (1061), la Toscana (1096), mentre le regioni del Sud in pratica non comprano nulla per rinnovare le collezioni: 91 libri acquistati in Campania, 84 in Basilicata. Fa poco meglio la Sicilia (162), mentre la Sardegna si avvicina alla media nazionale (520).
Nel Sud e nelle Isole l’eccezione è la Sardegna che, con una programmazione regionale molto forte e incisiva, ha lavorato per creare in ogni comune, anche in quelli più piccoli e sperduti, biblioteche quasi interamente sostenute con i finanziamenti regionali (sedi, arredi, documenti e personale). Su 377 comuni 367 hanno la biblioteca e tra questi ci sono ben 40 comuni con meno di 300 abitanti. È sicuramente l’istituzione pubblica più diffusa sul territorio: nel 2012 in Sardegna c’era una biblioteca ogni 5700 abitanti, meglio dell’Emilia-Romagna e quasi due volte meglio della Toscana, che tuttavia ha un’importante dotazione di biblioteche universitarie (163) e statali (87) che non vengono considerate nel rapporto popolazione/biblioteche locali.
Oggi in Sardegna si sconta la mancanza di un vero lavoro di rete, il fallimento di una politica di supporto regionale che oggi non può o non vuole continuare nel sostegno, la presenza di operatori non di ruolo (70%) assegnati a cooperative e pagati direttamente con fondi regionali, un’eccessiva standardizzazione dei servizi e degli arredi. Si tratta di servizi che spesso, non essendo inseriti nelle voci di bilancio del comune, non vengono percepiti dall’amministrazione come indispensabili. Tuttavia il lavoro fatto in questi quarant’anni di presenza attiva delle biblioteche lo si può leggere anche dai dati sulla lettura che collocano la Sardegna all’undicesimo posto nella classifica delle regioni italiane.
Queste cifre meritano qualche considerazione supplementare sul Sud, dove la biblioteca non è mai riuscita ad acquisire un’identità forte tra i cittadini e nell’amministrazione. La mancanza di una strategia nazionale e la discrezionalità da parte dei comuni sul se e come fare la biblioteca hanno inciso negativamente. Gli enti provinciali, pur avendo deleghe piuttosto precise, non le hanno esercitate e non c’è stata quella cooperazione necessaria come supporto a servizi e bisogni sempre più complessi, mentre rimaneva la confusione tra la biblioteca di conservazione e la biblioteca realmente per tutti.
Nel 1998 c’era stato un tentativo da parte del Ministero dei Beni culturali: con la deliberazione 11 nov. 1998 del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) veniva promosso il Progetto mediateca, in accordo con il coordinamento delle regioni, l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI), l’Unione province d’Italia (UPI) e l’Associazione italiana biblioteche (AIB). Si trattava di un piano d’azione definito Mediateca 2000, il cui obiettivo era la realizzazione di una rete di mediateche su tutto il territorio nazionale a partire da un primo finanziamento di 15 miliardi destinati a Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il finanziamento doveva servire alla realizzazione delle mediateche, al loro sostegno nel triennio 2000-2002 e a incentivare la formazione di società di gestione costituite per almeno il 70% dai giovani formati durante lo svolgimento della prima fase del piano.
Come spesso accade in Italia, il progetto si è rivelato un’occasione sprecata: il termine mediateca non è stato definito in modo rigoroso ed è stato legato solo all’alfabetizzazione informatica come aiuto per lo studio e l’inserimento nel mondo del lavoro, alla nascita di luoghi di aggregazione sociale per i giovani e alla creazione di spazi dove esplorare una didattica innovativa. Al contrario, in Francia il termine mediathèque è stato usato per definire biblioteche che costruivano o rinnovavano l’edificio, aprendolo a nuove tipologie di pubblico e a nuovi media secondo criteri precisi. Mediateca 2000 non è quindi servito a far crescere e a rinnovare le biblioteche del Sud che già esistevano: nella maggior parte dei casi esse sono rimaste piene di polvere e di vecchi libri, mentre accanto (talvolta nemmeno nello stesso edificio) sono nati spazi attrezzati con computer e si sono formati giovani che poi non hanno trovato sbocchi lavorativi. In questi anni anche i computer sono invecchiati e di tutto quel piano poco è rimasto.
Malgrado tutti questi limiti, alcune cose in questi ultimi anni stanno accadendo anche nel Mezzogiorno. Lo dobbiamo a singoli amministratori coraggiosi, che hanno capito che è proprio nei momenti di crisi che dobbiamo investire maggiormente nella cultura, ad associazioni, cittadini, giovani volontari e bibliotecari militanti che hanno costituito, spesso nella completa solitudine istituzionale, presidi culturali, circoli di lettura, biblioteche, piccole ‘piazze del sapere’ anche nei luoghi più difficili e isolati: sono tutte queste persone che dobbiamo ringraziare se il tessuto democratico del Paese è ancora solido.
Le public libraries all’estero sono migliaia ma quelle che sono state costruite negli ultimi quarant’anni hanno alcune caratteristiche comuni: visibilità nel tessuto urbano e facilità di accesso, qualità della luce naturale nell’edificio, flessibilità d’uso, efficienza energetica. Il più delle volte, la biblioteca ha grandi vetrate, se possibile affacciate su un parco per dare la sensazione di essere immersi nella natura. Lo spazio interno è aperto, per permettere a chi entra di percepire immediatamente il senso del luogo. I ballatoi si affacciano sulla hall d’ingresso che fa da collegamento con i vari piani, offre i servizi più richiesti, funge da spazio espositivo e ospita una caffetteria. Fino a poco tempo fa all’ingresso si trovava sempre il grande bancone con funzioni di accoglienza, informazione, circolazione dei documenti e sorveglianza: oggi si tende a sostituirlo con punti di informazione più decentrati. Sempre vicino all’ingresso si trovano di solito la sezione ragazzi e la zona periodici. Naturalmente tutto questo può essere declinato in mille modi, e l’edificio di Rem Koohlas a Seattle (2003) ha apparentemente poco in comune con quello di Pierre Riboulet a Limoges (1998). Tuttavia, le caratteristiche comuni esistono, perché una lunga esperienza di bibliotecari e architetti ha confermato la validità di alcuni principi e perché queste nuove biblioteche sono state in parte la risposta a fenomeni simili: la crisi dei luoghi pubblici e la proliferazione di ‘spazi pseudopubblici’ come i centri commerciali. Esse si sono date il compito di trasformarsi in luoghi di incontro, in piazze coperte a disposizione di anziani e ragazzi, ricchi e poveri, studenti e casalinghe.
Proviamo ad analizzare qui le principali trasformazioni degli edifici: prima di tutto si destina più spazio allo ‘stare insieme’ e meno alle collezioni. Questo processo è avvenuto in due fasi: innanzi tutto si è allargata la tipologia dei documenti disponibili incrementando molto la presenza di CD musicali, videocassette e DVD, quotidiani e periodici. Questo ha portato ‘naturalmente’ a incrementare l’area a disposizione degli utenti, con una crescita degli spazi aperti, senza divieti e separazioni, dove l’utente può sfruttare la varietà delle collezioni ma anche passeggiare, navigare in rete, trovare documenti utili per la vita quotidiana.
Gli architetti hanno cercato di creare edifici più ‘amichevoli’, spazi che diano la sensazione di sentirsi a casa o in piazza, mai da soli pur offrendo la possibilità di isolarsi; in molti casi si vede il tentativo di fare in modo che la biblioteca diventi come i caffè dei centri storici. Questo ha portato inevitabilmente all’abbandono del modello classico, che contrapponeva i servizi interni alle sale di lettura, con i grandi banconi del prestito, con servizi rigidamente organizzati in sezioni bambini, ragazzi, adulti, o attorno ai fondi documentari.
Oggi la disposizione delle collezioni è quasi sempre per aree tematiche e talvolta con tentativi originali di mescolare materiali su supporti diversi. Prendendo esempio dalle librerie, i libri o CD sono spesso esposti di copertina. Nelle sezioni musica sono arrivati gli strumenti e la possibilità di utilizzarli. I materiali, le forme e i colori usati negli edifici sono più originali e creativi. Gli arredi e i loro complementi sono pensati per migliorare il comfort e permettere un uso flessibile degli spazi.
La tendenza è a costruire luoghi facilmente comprensibili nella loro totalità, ma con molte zone e aree per attività specifiche: studioli individuali, per piccoli gruppi, laboratori per attività manuali, zone silenziose per lo studio. Il servizio informazioni tende a distribuirsi su varie postazioni, non sempre presidiate: il personale dovrebbe stare in mezzo alla gente, intercettare i flussi di persone. In queste biblioteche si è preso atto della necessità di servire tipi di pubblico molto diversi tra loro e quindi di offrire materiali assai differenti: non solo libri ma anche musica e film e soprattutto nuove tecnologie.
Questo tipo di biblioteche, spesso definite mediateche, sono servizi di grande richiamo e quindi possono creare nei cittadini la sensazione che la biblioteca sia davvero ‘cosa loro’, ma questo può avvenire soltanto se i bibliotecari e l’amministrazione comunale lavorano per creare un rapporto forte e duraturo con i cittadini. La nuova biblioteca centrale di Birmingham, firmata dallo studio olandese Mecanoo architcten e aperta nel settembre 2013, è un progetto ambizioso di trasformazione urbana, seguito al successo degli Idea Store nel quartiere londinese di Tower Hamlets. Lo stesso è avvenuto con decine di mediateche francesi, che non sono nate pensando in modo specifico ai cittadini più vulnerabili e hanno tuttavia ottenuto un grande successo fra gli abitanti.
La lezione che ci viene dalle esperienze realizzate fuori dall’Italia è che dove gli abitanti sono consultati e invitati a partecipare la reazione è positiva: nelle zone degradate la biblioteca può contribuire alla lotta contro l’abbandono scolastico creando l’abitudine alla lettura nei bambini e svolgendo, in questo, una funzione di supplenza delle famiglie e della scuola di cui nel nostro Mezzogiorno ci sarebbe estremamente bisogno. «In un quartiere periferico, la biblioteca può offrire ai giovani che tenderebbero ad aggregarsi attorno a luoghi socialmente a rischio un’alternativa gradevole e sicura. Può sostenere la cultura generale, condizione per integrarsi pienamente nella società e migliorare la propria condizione; può facilitare l’accesso di disoccupati e sottoccupati al mercato del lavoro, può ridurre il senso di impotenza, di marginalità, di frustrazione provato dai cittadini per le condizioni abitative cui sono costretti. Ovunque siano state create biblioteche pubbliche moderne, esse sono diventate luogo di aggregazione per le fasce più deboli della popolazione, in particolare gli anziani, e hanno facilitato l’inserimento degli immigrati» (Agnoli 2014, p. 14). Se guardiamo all’orizzonte dei prossimi dieci anni, e teniamo conto delle trasformazioni tecnologiche, l’unica strategia possibile per le biblioteche è quella basata sull’idea di costruire luoghi di incontro e di partecipazione che siano anche strumenti per la crescita della creatività e dell’intelligenza sociale nelle regioni italiane.
Esistono due importanti progetti nazionali di cooperazione: il Servizio bibliotecario nazionale (SBN) e Nati per leggere (NPL), progetti molto differenti, che tuttavia sono riusciti a mettere in relazione e far lavorare insieme bibliotecari e istituzioni. Tutto il resto dipende dalla volontà politica e dalle capacità organizzative di regioni e comuni.
SBN è la rete delle biblioteche italiane promossa dal Ministero per i Beni e le Attività culturali, con la cooperazione delle regioni e delle università, e coordinata dall’Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche (ICCU). Nasce nel 1980 con l’obiettivo di superare la frammentazione delle strutture bibliotecarie italiane: fanno parte della rete le biblioteche statali, locali, universitarie, scolastiche, di accademie e istituzioni pubbliche e private.
I dati disponibili per il 2013 rilevano che al progetto aderiscono 5148 biblioteche (organizzate in 84 poli), che la base dati bibliografica contiene 12.757.321 notizie bibliografiche, corredate da 66.173.998 localizzazioni (indicazioni della biblioteca che le possiede). Il catalogo collettivo comprende diverse tipologie di documenti: materiale antico (monografie a stampa dal XV sec. fino al 1830), materiale moderno (monografie, registrazioni audio e video, archivi elettronici, periodici e altri materiali a partire dal 1831), musica manoscritta, musica a stampa e libretti, materiale grafico e cartografico.
Dal 1999 comincia a diffondersi in tutte le regioni italiane il progetto Nati per leggere, che si basa sull’alleanza tra bibliotecari e pediatri con l’obiettivo di promuovere la lettura ad alta voce tra i bambini dai 6 mesi ai 6 anni. Recenti ricerche scientifiche dimostrano che leggere ad alta voce, con una certa continuità, ai bambini in età prescolare ha una positiva influenza dal punto di vista relazionale tra bambino e genitori e anche una grande importanza a livello cognitivo (si sviluppano meglio e più precocemente la comprensione del linguaggio e la capacità di lettura). Si tratta inoltre di un importante aiuto per consolidare nel bambino l’abitudine alla lettura. Attualmente ci sono circa 400 progetti locali, promossi da bibliotecari, pediatri, educatori, enti pubblici, associazioni culturali e di volontariato che coinvolgono 1195 comuni italiani. I bibliotecari creano spazi in cui i genitori con bambini piccoli hanno la possibilità di incontrarsi e organizzano letture animate o laboratori di lettura; anche gli ambulatori e i consultori pediatrici possono diventare luoghi strategici dove i pediatri sensibilizzano i genitori sull’importanza della lettura ad alta voce e distribuiscono materiale divulgativo; in questo modo le famiglie ricevono consigli di lettura e indirizzi di biblioteche in cui trovare libri adatti alla fascia d’età 0-6 anni.
Nel 2006 i dati ISTAT avevano messo in evidenza una stretta correlazione tra la presenza di una biblioteca domestica, genitori lettori-narratori, e l’amore per la lettura dei figli. I bambini e ragazzi che vivono in famiglie dove ci sono più di 200 libri hanno 3,5 possibilità in più di essere a loro volta lettori. Chi vive in una famiglia dove entrambi i genitori leggono ha 2,8 probabilità in più di essere lettore e, se possono usufruire in casa di una pur modesta biblioteca (almeno 50 libri), registrano performance scolastiche di 15 punti superiori rispetto a quelle dei loro coetanei che vivono in una casa carente di libri o in una regione con biblioteche o librerie scarsamente presenti. La teoria economica afferma che i primi avranno maggiori possibilità di conseguire un titolo di studio più elevato, opportunità migliori di inserimento nel mondo del lavoro, e in prospettiva, redditi più elevati.
Negli ultimi 15 anni si sono aperte nuove biblioteche in tutto il Paese, con prevalenza nel Centro-Nord. In assenza di piani nazionali sono soprattutto le regioni che avevano tradizioni bibliotecarie consolidate che sentono il bisogno di allestire nuove biblioteche o di ampliare le vecchie: nuovi bisogni, nuovi pubblici, nuovi media, nuovi servizi richiedono più spazio.
In Italia continuano a esserci ancora troppe biblioteche di vecchia concezione, con collezioni poco accessibili (scaffali alti, con vetrine, testi obsoleti), che assomigliano più ad aule studio o a grandi magazzini polverosi che a moderni luoghi dove accedere facilmente ai diversi tipi di media, all’informazione on-line, a un ampio ventaglio di attività culturali. Su 3854 biblioteche, che hanno risposto all’indagine del 2013 fatta da CEPELL-AIB (2013), il 14,43 è costituito da edifici nuovi, il 29,16 da edifici monumentali, il 50,71% da altre tipologie di edifici.
I nuovi edifici sono quindi pochi: quasi sempre si tratta del restauro e riutilizzo di edifici storici. A volte queste strutture sono idonee al recupero, soprattutto quelle che prima erano già usate come servizi collettivi o spazi industriali, ma altre volte, invece, esse sono prive di quelle caratteristiche ormai richieste a un servizio al passo con i tempi: flessibile, trasformabile, multifunzionale, visibile e trasparente, con spazi aperti senza divieti e separazioni, accoglienti, luminosi e confortevoli, collocato nel luogo giusto, poco costoso e facilmente gestibile. Pertanto, prima di decidere il recupero di un vecchio edificio a biblioteca, amministratori, architetti, tecnici comunali e bibliotecari devono chiedersi se risponde a questi criteri. «È importante non farsi tentare dalle proprietà immobiliari dei Comuni disponibili senza che esista una specifica destinazione d’uso […]. Le città italiane gravitano tutte verso i centri storici antichi, quindi dal punto di vista della collocazione questa appare una scelta naturale; bisogna però essere coscienti dei prezzi da pagare: può essere un edificio inadatto perché mal situato, buio o frammentato in miriadi di stanzette. Può essere un edificio molto costoso da restaurare se si vogliono rispettare gli standard europei, in particolare per quanto riguarda il risparmio energetico» (Agnoli 2011, p. 96).
Ci sono altre ragioni per diffidare delle soluzioni troppo centrali: l’Italia è ormai un Paese di periferie. Bologna ha circa 384.000 abitanti ma solo 53.600 vivono nel centro storico. Venezia ne ha 260.000 ma solo 58.000 abitano in centro. Roma ha 2.650.000 abitanti ma appena 132.000, il 5%, risiedono nel centro storico. Su scala nazionale solo il 10% dei cittadini abita in centro città e quindi, se si vuole dare un contributo al miglioramento della qualità della vita, è necessario, come scrive Renzo Piano, «rammendare le periferie». L’architetto, e ora senatore a vita, ci ricorda che «Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione. Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee. [...] Le periferie - continua Piano - sono la grande scommessa urbana dei prossimi decenni. [...] Se si devono costruire nuovi ospedali, meglio farli in periferia, e così per le sale da concerto, i teatri, i musei o le università» (Il rammendo delle periferie, «Il Sole 24 ore», 26 genn. 2014). A questo elenco occorre aggiungere le biblioteche. Le biblioteche possono diventare il motore che manca per coinvolgere le persone, attivare le associazioni, dare struttura e spessore civile a quartieri senz’anima. Naturalmente occorrono biblioteche che siano attive, proiettate sul territorio, innovative, cioè il contrario di quello che sono state finora.
Perché ancora oggi nelle regioni del Sud e nelle Isole, in cui ci sarebbe più bisogno di investire in moderne biblioteche pubbliche questo non accade?
Il problema non è la disponibilità di fondi, le cause vengono da molto lontano: nel Sud prevale ancora una concezione tradizionale della biblioteca; l’idea della biblioteca di pubblica lettura, così come si è sviluppata in molte regioni del Nord e come è conosciuta all’estero, qui non è mai arrivata. Forte è la presenza di bibliotecari con una mentalità conservatrice, lavoratori spesso assunti in maniera clientelare nel pubblico impiego e indifferenti alla necessità di costruire servizi efficienti; politici dalle visioni miopi, incapaci di sfruttare le potenzialità dei fondi europei e infine mancanza di esperienze e buoni esempi da imitare.
Il ‘dopo Franco’ in Spagna fu caratterizzato da un importante e diffuso investimento in infrastrutture educative e culturali di base, tra queste la biblioteca pubblica per la quale non esistevano conoscenze e competenze tecniche: gli spagnoli andarono dunque a vedere e studiare le biblioteche danesi, considerate tra le migliori al mondo. La stessa cosa avvenne negli anni Settanta in Italia, quando bibliotecari e amministratori della Lombardia andarono in visita alle biblioteche del Nord Europa.
Forse questo tipo di scambi culturali dovrebbe diventare una pratica abituale; oramai le biblioteche da visitare nel Centro-Nord sono molte, magari si potrebbero evitare i tanti esempi negativi e gli sprechi a cui capita ancora oggi di assistere: cittadelle della cultura costruite nel deserto (Bari); biblioteche in bellissimi ex conventi restaurati con grande cura alle quali si accede suonando il campanello (Bari); sale arredate oggi con scaffalature a tutta altezza fatte di legni pregiatissimi a imitazione delle vecchie biblioteche (Alghero e Lecce); lussuose porte monumentali che si portano via gran parte del budget (Lodi); magazzini messi a piano terra nelle sale più luminose e visibili dell’edificio (Lecce); nuove strutture di 4 piani troppo spesso deserte (Ragusa); ‘palazzi della cultura’ dove la biblioteca prevista non è stata pensata per essere facilmente vivibile da tutti, visto che è collocata all’ultimo piano (Messina).
Purtroppo l’elenco delle criticità potrebbe continuare a lungo: interventi che iniziano e non finiscono mai, tecnici comunali che decidono loro come fare la biblioteca, senza essersi mai preoccupati di cos’è e come funziona. Bibliotecari che non capiscono l’importanza di essere coinvolti, o vivono il nuovo progetto come un puro trasloco di libri e tavoli, amministratori ai quali basta tagliare il nastro. Nessuna riflessione sui bisogni del territorio e dei cittadini, sulla giusta localizzazione e sui benefici che potrebbe comportare la presenza di una ‘piazza del sapere’ in quel dato paese, frazione, periferia. Nessuno studio su quali servizi, per quali utenti, con quali tecnologie, documenti, orari, con quale personale e con quale preparazione. Operazioni di questo genere sono inevitabilmente destinate a fallire.
Regioni come Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Molise presentano un’elevata percentuale di biblioteche che non effettuano lo scarto del proprio patrimonio, e che effettuano un numero minimo di acquisti di nuovi documenti, lasciando così inesorabilmente invecchiare le collezioni.
A fare da contraltare a questa realtà di sprechi, incompetenze, incurie, per fortuna si possono incontrare servizi che funzionano bene anche nel Sud, ma essi sono quasi sempre espressione diretta della società civile. Spesso si incontrano giovani, associazioni, librai, singoli cittadini che hanno capito che oggi le biblioteche, come scriveva Piano, sono quel fertilizzante di cui le nostre città, i nostri paesi, le nostre periferie hanno bisogno. Troviamo, infatti, molte biblioteche gestite da volontari, biblioteche mobili come il Bibliomotocarro del maestro di Ferrandina Antonio La Cava (Matera), tanti bibliobus, fra cui quelli dell’Aquila, della biblioteca provinciale di Foggia, del Sud Salento, di Lamezia Terme (Catanzaro). Esistono decine di associazioni che cercano di connettere libri, luoghi e lettori come la libreria itinerante Pianissimo. Libri sulla strada, un’associazione di giovani lettori che a costo zero porta libri in giro per tutta la Sicilia. E ancora: Il giro d’Italia in 80 librerie, una sorta di staffetta ciclistica, culturale, ambientale attraverso varie regioni italiane; Liberos, il primo social network che unisce la comunità degli scrittori, editori, librai e lettori sardi per cercare insieme di combattere la crisi della lettura; i Presidi del libro, associazione che da molti anni lavora con l’obiettivo di promuovere la lettura, diffusa soprattutto in Puglia, Piemonte e Sardegna.
In realtà, possiamo registrare migliaia di iniziative che nascono dal basso: gruppi di lettura, festival, punti lettura in carcere o negli ospedali, ma anche nei supermercati, librerie indipendenti che sostituiscono la mancanza della biblioteca locale, biblioteche di strada, di condominio, biblioteche in piazza, persone che donano la loro voce ad anziani, bambini, malati, che vanno a farsi ascoltare in luoghi insoliti: stazioni, poste, autobus, nelle aree dismesse, nelle scuole. Tra le tante associazioni che svolgono queste attività di supplenza a un tessuto fragile e insufficiente di biblioteche ricordiamo Ad alta voce promossa dalla Coop Adriatica, oppure l’associazione A voce alta di Napoli, che interviene nelle scuole e nelle biblioteche della città.
Poi ci sono le biblioteche che cercano di resistere in territori difficili come ‘Le nuvole’ gestita dai volontari nel centro Hurtado di Scampia (Napoli), la biblioteca comunale di Torre di Montechiaro (Agrigento) e tante altre che qui non è possibile nominare. E dobbiamo citare anche quelle dove i tentativi di uscire all’esterno sono stati brutalmente arrestati, come la biblioteca di Barcellona Pozzo di Gotto (ME), dove la bravissima bibliotecaria che era riuscita ad avvicinare numerosi bambini e mamme alla lettura, con grande inventività e sacrificio personale, è stata trasferita ad altro ufficio: l’amministrazione comunale ha fatto di tutto per riportare la biblioteca dentro i confini della ‘normalità’, cioè di luogo inutile per la maggior parte dei cittadini.
Possiamo suddividere le biblioteche nuove, o rinnovate, in quattro tipologie di edifici.
Rientrano in questa categoria le seguenti biblioteche: Vignola (MO), 2006; Firenze-Isolotto, 2009; Erba (CO), 2010, Settimo Torinese, 2010; Fiorano Modenese BLA, 2011; Maranello (MO) MABIC, 2011; Ragusa, 2011; Cinisello Balsamo (MI) Il Pertini, 2012; Chivasso (TO) MoviMEnte, 2012; Meda (MB) MedaTeca (2012); Melzo (MI), 2013; Cermenate (CO), 2013; Greve in Chianti (FI), 2013; Pisa SMS, 2013; Torino San Salvario, 2013; Calenzano (FI), la cui apertura è prevista nel 2015.
Biblioteche realizzate in edifici storici, palazzi, ville
Conventi: Pesaro San Giovanni, 2002; Firenze Oblate, 2007; Spoleto (PG), 2009; Orvieto (TR) 2009; Gubbio (PG), 2010; Pordenone, 2010; Vibo Valentia, 2011.
Palazzi storici: Foligno (PG), 2011, (biblioteca ragazzi); Città di Castello (PG) 2015 (apertura prevista).
Ville storiche: Imperia (2009), Cavriago (RE) Multiplo, 2011, (nuova ala); San Canzian d’Isonzo (GO), 2012; Brisighella (RA), 2012; Sassuolo (MO), 2013 (biblioteca ragazzi).
Rientrano in questa categoria le seguenti biblioteche: Tradate (VA), 2005 (ex fabbrica di motociclette); Carpi (MO), Arturo Loria, 2007 (ex fabbrica di cappelli); Maiolati Spontini (AN), eFFeMMe23, 2007 (ex fornace); Pistoia San Giorgio, 2007 (ex capannone della Breda); Casalpusterlengo (LO), 2008 (ex granaio); Castelfranco Emilia (MO), 2009 (ex fabbrica di liquori); Pontedera (PI), 2014 (ex officine Piaggio). Cagliari MEM, 2011 (ex mercato). Ex fabbriche tessili: Castellanza (VA), 2003; Chieri (TO), 2004; Prato, 2004; Paderno Dugnano (MI), 2009.
Biblioteche realizzate in ex scuole e altri edifici
Ex scuole: Nembro (BG), 2007; Albinea (RE), 2009 (estensione con edificio nuovo); Scandicci (FI), 2009; Fano (PU), Memo, 2010 (estensione con edificio nuovo; Mortara (PV), Civico 17, 2011; None (TO), 2011; Suzzara (MN), 2012; Cesena, Malatestiana, 2013 (estensione con restauro edificio adiacente).
Altri edifici: Salaborsa-Bologna, 2001 (ex Borsa valori); Treviso, 2003 (ex palestra GIL); Castel San Pietro Terme (BO), 2005 (ex macello); Opera (MI), 2006 (ex piscina); Oriago (VE), 2006 (ex cinema); Lainate (MI), 2013 (ex cinema); Lonate Ceppino (VA), 2009; Palermo, Le Balate, 2009 (chiesa sconsacrata); Tolmezzo (UD), 2012 (ex carcere con estensione); Cavezzo (RE), 2013 (ex sala da ballo); Poggibonsi (SI), 2013 (ex ospedale).
Gli spazi di questo contributo ovviamente non consentono di dare conto dei molti progetti bibliotecari di qualità realizzati negli ultimi anni: per descrizioni più approfondite si rimanda ai siti delle biblioteche citate e agli articoli di «Biblioteche oggi», una rivista sempre molto presente e puntuale nel dare conto delle novità in campo bibliotecario.
Analizzeremo solo quattro strutture, due in comuni piccoli e due in comuni medi, che vorremmo proporre come buoni esempi ai quali molti amministratori, soprattutto del Sud potrebbero guardare. Non si tratta di biblioteche scelte perché ‘belle’: un progetto è ben riuscito solo se tutti gli elementi necessari a renderlo un buon esempio sono presenti. Occorrono quindi qualità dell’edificio e della sua collocazione, qualità delle collezioni, orari di apertura che coprano il tempo libero delle persone, presenza di nuove tecnologie e di Internet, ma soprattutto qualità degli operatori. Senza le persone che fanno vivere il servizio, che accolgono nel modo giusto i cittadini e rendono gradevole il loro soggiorno in biblioteca, che sappiano essere facilitatori tra le persone e i contenuti, anche l’edificio più scintillante non avrà successo.
Tra le biblioteche collocate in edifici industriali ristrutturati merita attenzione quella di Maiolati Spontini, in provincia di Ancona, vicino a Jesi, nelle Marche. Si tratta di un piccolo comune: 6287 abitanti di cui solo 400 vivono nel vecchio centro storico. Tutti gli altri vivono in sette frazioni, di cui 4555 nella frazione di Moie, cresciuta in modo informe ai piedi della collina.
La nuova biblioteca eFFeMMe23, inaugurata nel 2007, è frutto della ristrutturazione di una ex fornace ottocentesca e ha una storia particolare: alla base di questo investimento c’è la decisione, circa venticinque anni fa, di costruire a Maiolati Spontini una discarica modello, inizialmente osteggiata dagli abitanti ma poi accettata, che smaltisce oltre 180 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali ogni anno, portando tra i quattro e i sei milioni di euro nelle casse del comune. Per il restauro dell’antica fornace il comune ha speso 3 milioni di euro, decisamente non pochi per un comune di questa grandezza.
L’edificio a piano terra ha un caffè letterario, l’Informagiovani, un gruppo di solidarietà con annesso centro di documentazione e uno spazio polifunzionale. Al primo piano, in un unico grande spazio, la biblioteca. Concepita tutta ‘su ruote’ per poter utilizzare lo spazio in modo polifunzionale con la possibilità quindi di organizzare attività con le scuole, studio e servizi bibliotecari vari durante il giorno e la sera iniziative culturali di diverso tipo.
È un luogo che conserva e perpetua la memoria della vecchia fornace, anche grazie al percorso dove venivano cotti i mattoni, conservato al piano terra e oggi spazio espositivo. In un territorio frammentato, privo dei punti di riferimento tipici delle cittadine storiche, il camino con il logotipo eFFeMMe23 (acronimo di Fornace Moie abbinata al numero civico 23) è diventato il nuovo punto di riferimento per libri, idee, persone di ogni tipo.
Il successo della biblioteca è verificabile in poche cifre: ha 3.805 iscritti, cioè il 61,4% dei residenti nel Comune, una percentuale pressoché sconosciuta in Italia. Nel 2013 sono stati effettuati 44.796 prestiti, cioè 7,2 per abitante: anche questo un indice estremamente elevato, la media italiana è 0,7, cioè dieci volte di meno. Sempre nel 2013 ci sono state 58.610 persone che hanno varcato la soglia della biblioteca, aperta 306 giorni all’anno. Ci sono stati 498 eventi tra mostre, corsi, convegni, matrimoni, oltre a 88 incontri con classi scolastiche. Dati che dimostrano come eFFeMMe23 sia diventata un catalizzatore di vita culturale per un territorio molto più ampio di quello comunale, un servizio percepito dall’intera comunità come indispensabile, irrinunciabile. A questi risultati l’amministrazione è arrivata grazie a un progetto culturale, architettonico, grafico condiviso con tutti, in particolare con il personale, che fin dai primi passi è stato reso protagonista.
Un progetto unico? In realtà qualsiasi amministrazione può capire l’importanza di investire in un servizio culturale dal forte valore simbolico, vero elemento di crescita del territorio se inserito in un luogo bello e di qualità, pensato in modo flessibile e quindi facilmente trasformabile e adattabile ai mutamenti sociali, culturali e tecnologici. Moie era un agglomerato informe sparso lungo la strada provinciale: grazie ai servizi tra cui la biblioteca è diventato un luogo in cui vale la pena vivere.
Cavriago è un comune di 9769 abitanti nella provincia di Reggio Emilia, che da sempre ha investito in servizi culturali: il nuovo progetto è nato dal bisogno di ampliare i servizi e gli spazi esistenti del vecchio centro culturale, punto di eccellenza del territorio. È stato così realizzato un nuovo edificio collegato alla villa storica Sirotti-Bruno per un totale di 2800 m2, entrambi inseriti in un grande parco. Se il progetto di Maiolati Spontini ha trovato la sua fonte di finanziamento grazie alla discarica, il Multiplo, inaugurato nel 2011, vede coinvolte nel progetto 25 aziende locali, che hanno assicurato il loro appoggio alla gestione per almeno quattro anni dall’apertura, per un totale complessivo di 200.000 euro all’anno.
Un’interessante partnership pubblico-privato che nasce da una visione di lungo periodo dello sviluppo futuro del territorio. Il progetto si fonda su tre momenti: lo studio di altre esperienze italiane e straniere, il coinvolgimento della comunità, la costituzione di un’équipe di lavoro giovane e dinamica. Anche in questo caso l’amministrazione è convinta che per uscire dal degrado politico e culturale sia necessario investire in servizi culturali per tutti, universali come lo sono altri servizi di base (scuola, sanità).
Al Multiplo, accanto ai documenti sono offerte opportunità per utilizzare gli spazi con attività di tutti i tipi, individuali e collettive, in una logica di integrazione tra i documenti, le informazioni on-line, le attività. Oltre ai documenti più tradizionali (libri, film, musica) il Multiplo offre giochi da tavolo, videogiochi, opere d’arte da prendere in prestito. Ancora una volta la volontà è quella di integrare e contaminare servizi differenti: la ludoteca prima era separata dalla biblioteca ora è inserita, prima esisteva uno spazio opere d’arte contemporanee, ora l’esposizione avviene dentro la biblioteca. «Oggi dobbiamo pensare a una convergenza di tutti questi servizi in entità uniche che favoriscano la partecipazione dei cittadini, l’educazione permanente, il senso di identità. Di fronte alla crisi dei bilanci delle istituzioni culturali pubbliche una razionalizzazione è inevitabile, in particolare per i piccoli centri, ma la convergenza non deve essere concepita in funzione difensiva, o come misura di emergenza: deve essere una scelta che viene fatta per migliorare i servizi (orari più lunghi, possibilità di fruizione da parte di pubblici diversi) e soprattutto per realizzare una politica culturale più attiva. Le istituzioni culturali hanno sempre bisogno di rinnovarsi, di adattarsi ai cambiamenti del gusto, a esplorare strade nuove: questo sarà più facile all’interno di un luogo di confronto interdisciplinare» (Agnoli 2014, p. 33).
Anche questa biblioteca offre performance molto elevate: nel 2012 sono stati effettuati 114.120 prestiti, cioè 11,8 per abitante. Gli utenti attivi erano 5440 e i nuovi iscritti 1844. Sempre nel 2012 sono entrate in biblioteca 115.578 persone, sono stati organizati 278 eventi per un totale di 6967 fruitori.
Cinisello Balsamo, 74.140 abitanti nell’hinterland milanese, ha creato la più grande biblioteca pubblica italiana degli ultimi anni (6622 m2, di cui 5027 aperti al pubblico), collocata in un edificio nuovo e inaugurata nel 2012. A differenza di altri progetti, il costo per la realizzazione, 11.000.000 di euro circa, è stato in gran parte finanziato con mezzi propri e oneri di urbanizzazione. Per gli arredi e le attrezzature informatiche c’è stato un contributo della regione Lombardia. I costi della gestione sono totalmente a carico dell’amministrazione comunale: «Proprio la crisi economica e finanziaria in cui ci troviamo ha per certi versi permesso di definire con maggior precisione e consapevolezza le finalità che avremmo voluto e dovuto perseguire con la nascita di questo nuovo centro culturale. Perché proprio in tempi di crisi l’investimento in cultura, fatto da un’amministrazione comunale che vive quotidianamente il problema della quadratura dei conti, assume una valenza del tutto particolare», (L.M. Fasano, Una scommessa sul futuro, «Biblioteche oggi», 2003, 2, p. 27).
Al Pertini l’atrio e la grande scala sono diventati un nuovo ‘luogo’ urbano: gli utenti passeggiano, si incontrano, si riconoscono, si fermano, si appoggiano al parapetto e chiacchierano come se fossero in una grande casa a ringhiera milanese. Si è creato un vero microcosmo di urbanità, un vera biblioteca-piazza che è diventata il motore della vita culturale della città. Anche grazie all’apertura domenicale, al grande auditorium, alle varie salette per laboratori, alle tante poltrone, i cittadini hanno scoperto la natura democratica della biblioteca: neutrale, non commerciale, amichevole.
Il Pertini ha fatto, nel 2013, 286.401 prestiti, ovvero 3,9 per abitante, un indice molto elevato per un comune medio-grande, con 11.655 iscritti attivi su una popolazione di circa 75.000 abitanti. Grazie all’efficiente sistema di monitoraggio e rilevazioni statistiche compiuto dal Consorzio sistema bibliotecario Nord-Ovest (CSBNO), si registra inoltre che nel 2013 ci sono stati 56.497 collegamenti tramite le postazioni Internet locali per un totale di 25.326 ore di collegamento, mentre i collegamenti wi-fi Pertini sono stati 46.255 per un totale di 37.443 ore di collegamento («Biblioteche oggi», marzo 2013, p. 34). Molto significativo l’orario esteso: ben 67 ore settimanali di apertura, compresa la domenica pomeriggio.
Mediateca del Mediterraneo (MEM) di Cagliari
Cagliari, capoluogo della Sardegna, è un comune di circa 150.000 abitanti. La sede della MEM è in quello che per decenni è stato il mercato civico. Si tratta di un bellissimo spazio, una grande piazza coperta con facciate e tetti di vetro trasparente. Le due ali sono collegate da una passerella dalla quale è possibile affacciarsi sulla piazza, dove un sistema di muretti collega le diverse quote. La MEM si caratterizza per essere un polo culturale innovativo, suddiviso in differenti aree: accoglienza, esposizioni e prestito, spazi commerciali, area formazione, laboratorio fotografico, spazi per convegni e proiezioni. Il complesso ospita la sede dell’Archivio storico, la biblioteca centrale, il fondo arabo. Al piano terra i servizi rivolti al grande pubblico: l’emeroteca, la biblioteca ragazzi, l’archivio multimediale, la cineteca sarda, l’internet point-centro giovani. Tutti servizi che puntano a intercettare nuovi pubblici anche grazie alle belle poltrone colorate e agli spazi luminosi e ampi.
Interessante l’ X-MEM che non dipende direttamente dalla biblioteca, ma arricchisce la proposta della piazza: un punto di informazioni, pensato per favorire la massima diffusione degli avvenimenti culturali in città. Nello stesso spazio, l’Infopoint un’area libera dove i residenti e i turisti possono informarsi su cosa accade a Cagliari, prenotare o acquistare biglietti per mostre, teatro, cinema, concerti, libri, dischi, spartiti musicali, ma anche trovare una banca dati sui diversi settori, servizi e professionalità che operano in campo artistico e culturale nella città di Cagliari.
Che bilancio possiamo trarre da questo rapido viaggio nella situazione delle biblioteche italiane? Purtroppo, decenni di incuria, di routine, di ‘tirare a campare’ ci hanno consegnato alcune migliaia di istituzioni mal censite, mal distribuite sul territorio, invecchiate, demotivate. Le realtà più dinamiche, come Lombardia, Emilia e Piemonte, soffrono già da anni di una carenza di finanziamenti che sta strangolando i tentativi di offrire servizi di qualità ai cittadini. Delle altre, si è detto. Esempi positivi non mancano ma rimangono isolati, non coordinati, sottofinanziati. Basterebbe sostenere le mille iniziative dal basso fiorite in questi anni per migliorare di colpo la situazione.Oggi più che mai l’Italia avrebbe bisogno di investimenti nelle strutture che potrebbero allargare la platea dei lettori, aiutare i cittadini nella loro vita quotidiana, dare una seconda opportunità agli esclusi dalla scuola. Avremmo bisogno di biblioteche attraenti, innovative, capillarmente diffuse sul territorio, in particolare al Sud e nelle Isole. Avremmo bisogno di quegli investimenti, coordinati da un piano nazionale, che non sono mai stati fatti. Avremmo bisogno di standard per le costruzioni, per la gestione, per il personale delle biblioteche. Avremmo bisogno soprattutto di volontà politica.
P. Traniello, Storia delle biblioteche in Italia. Dall’Unità a oggi, Bologna 2002, 2014.
T. De Mauro, La cultura degli italiani, Roma-Bari 2004.
P. Traniello, Biblioteche e società, Bologna 2005.
A. Agnoli, Le piazze del sapere, Roma-Bari 2009, 20142.
G. Solimine, L’Italia che legge, Roma-Bari 2010.
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C. Caliandro, P.L. Sacco, Italia Reloaded. Ripartire con la cultura, Bologna 2011.
F. Tonello, L’Età dell’ignoranza, Milano 2012.
L’Italia sottosopra. I bambini e la crisi, a cura di G. Cederna, Roma 2013.
Associazione Forum del libro, Rapporto sulla promozione della lettura in Italia, Roma 2013.
CENSIS, I valori degli italiani nel 2013, Roma 2013.
ISTAT, Annuario statistico italiano 2013, Roma 2013.
Pratiche sociali di città pubblica, a cura di A. Mazzette, Roma-Bari 2013.
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https://www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?jppagecode=numeri_delle_biblioteche.wp
https://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/REPORT_ISBCC_2012.pdf
http://www.bibliotecasalaborsa.it/documenti/23269
http://www.comune.cavriago.re.it/canali-tematici/storia-progetto/multiplo_libri.aspx
Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 6 dicembre 2014.