Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel Quattrocento aristocrazie e borghesie devono essere declinate al plurale. Le aristocrazie comprendono sia la nobiltà feudale, ceto in profonda trasformazione nell’Europa settentrionale, ma diffuso e prevalente nelle campagne dell’Europa centro-orientale e dell’Europa mediterranea, sia i patriziati urbani, ceti dirigenti delle città. Le borghesie comprendono i grandi mercanti-banchieri, che dominano la “repubblica internazionale del denaro”, gli esponenti delle professioni civili, magistrati e avvocati, delle professioni sanitarie e i vertici delle corporazioni artigiane.
Il mondo feudale europeo
La società europea del Quattrocento appare assai articolata e differenziata. Le due categorie di aristocrazia e borghesia possono essere utilizzate per rappresentarla solo a patto di declinarle al plurale e di non considerarle come insiemi di stratificazioni sociali incomunicabili.
Al mondo della nobiltà appartengono famiglie non solo provenienti dall’aristocrazia di sangue di più antico lignaggio, ma anche di più recente nobilitazione. Si può definire la nobiltà come il gruppo sociale che possiede uno statuto giuridico particolare, che si perpetua per via biologica e rinnova i suoi ranghi in base a regole rigorosissime. Il rango e il titolo creano gerarchie interne al mondo nobiliare. Per esempio il rango di Grande imperiale all’interno del Sacro Romano Impero della Germania conferisce a chi lo possiede – elettori, grandi principi, conti imperiali ecc. – un concreto potere politico superiore a quello degli altri nobili. Lo stesso rango di Grande in Spagna è soprattutto un titolo onorifico.
Le nobiltà, nell’Europa del Quattrocento, godono di un potere di rappresentanza notevole. Nei Parlamenti, nelle Diete, in tutti gli istituti della rappresentanza politica cetuale, divisi, generalmente, tra clero, nobiltà e città, le aristocrazie costituiscono un potere forte capace di condizionare, soprattutto per quanto riguarda la materia fiscale, l’immunità, i privilegi, il governo dei sovrani.
Generalmente nel Quattrocento è il possesso feudale della terra che trasmette, all’atto dell’investitura del sovrano, il titolo nobiliare: principe, marchese, duca, conte. Dunque è al mondo feudale europeo del Quattrocento che bisogna guardare se si vuol comprendere questa parte dell’aristocrazia. Dividiamo l’Europa in tre grandi aree: l’area inglese e nord-europea, l’area centro-orientale, l’area mediterranea.
In Inghilterra l’aristocrazia feudale, durante il secolo XV, partecipa attivamente prima alla guerra dei Cent’anni (1337-1453), poi alla guerra delle Due Rose (1455-1485): nella seconda è protagonista della guerra di fazione che oppone la casa York alla casa Lancaster. Ma con Enrico VII, iniziatore della dinastia Tudor, l’opera di restaurazione dell’autorità regia e i nuovi processi economico-sociali che favoriscono una maggiore mobilità e l’opportunità per nuovi ceti di possedere terre, investono l’aristocrazia inglese, rendendone sempre più residuali i comportamenti propriamente feudali e accelerandone il processo di trasformazione. Nei Paesi scandinavi il feudalesimo si rivela incapace di liquidare le robuste istituzioni rurali e le tradizioni d’indipendenza legate alla piccola proprietà contadina: alla fine del Medioevo, malgrado l’intrusione di nobiltà, clero e corona, i contadini svedesi possiedono ancora la metà della superficie coltivata del Paese.
L’aristocrazia feudale ha invece un ruolo dominante nell’Europa centro-orientale. Nella Germania a est dell’Elba predominano gli Junker, proprietari feudali di vaste aziende agricole, che gestiscono in conduzione diretta col lavoro coatto e la servitù della gleba. La crisi agraria del XV secolo accelera l’ascesa degli Junker e amplia la loro giurisdizione feudale, quell’insieme cioè di poteri giudiziari, economici, finanziari, di pressione e controllo sulle popolazioni del feudo, riconosciuti per delega dal sovrano.
Interessante è il caso polacco. È stato scritto che la Polonia è l’area di sovranità assoluta della grande nobiltà. Il sistema giuridico e costituzionale garantisce a essa un potere enorme, creando vere e proprie dinastie familiari. È la dinastia sovrana degli Jagelloni a inaugurare, proprio nel Quattrocento, il sistema di amplissime concessioni alla nobiltà feudale polacca: l’immunità giuridica dagli arresti arbitrari, la riscossione di imposte e l’arruolamento di truppe da parte del sovrano solo col consenso della nobiltà, l’ampliamento delle prestazioni lavorative dei contadini e dello stato di servitù. Anche in Russia un fiorente sistema feudale e la servitù della gleba ampliano il potere della nobiltà durante il Quattrocento.
Per le aree dell’Europa mediterranea il legame tra territorio e giurisdizione rappresenta un elemento di identità della nobiltà assai forte. Tra Spagna, Francia e Italia le differenze di condizione dell’aristocrazia feudale sono enormi, anche all’interno di ognuno di questi Paesi: comune è comunque la tendenza, da parte delle nobiltà feudali di quei Paesi, a estendere la giurisdizione, attraverso soprattutto l’ampliamento dei poteri delegati di giustizia non solo civile, ma anche criminale, in alcuni casi fino all’ultima istanza di giudizio (merum et mixtum imperium).
Dunque l’aristocrazia feudale, nel corso del Quattrocento, continua, in buona parte dell’Europa, a costituire ancora uno dei ceti più importanti sia a livello economico, sia a livello sociale. Possiamo riconoscere un’Europa settentrionale in cui la funzione della nobiltà feudale è residuale, un’Europa centro-orientale in cui il feudalesimo rappresenta la cifra prevalente dei rapporti economici e sociali, un’Europa mediterranea in cui, sia pur tra molte differenziazioni, la giurisdizione feudale rappresenta il valore aggiunto del possesso della terra.
Dovunque, in ogni caso, la terra è ancora il fattore più importante per il conferimento di titoli nobiliari dotati di concreto potere e, in qualche caso, di potenza semisovrana. La condizione nobiliare, proveniente dal sangue, ha una forte accezione feudale.
I patriziati urbani
Scrive Marino Berengo: “La lunga permanenza di un gruppo di famiglie nella classe dirigente appare un tratto costitutivo essenziale perché in una città giunga a formarsi un patriziato”.
I patriziati sono dunque quel segmento delle nobiltà europee che, pur differenziato quanto all’origine e alle dinamiche di formazione, svolge, con una certa continuità e stabilità, la funzione di classe dirigente, rappresentando i componenti dei municipi e i titolari delle principali funzioni urbane.
Il processo è noto e documentato per alcune aree della Spagna come la Castiglia, in cui il sovrano, tra il XIV e il XV secolo, conferisce privilegi di nobiltà e sollecita la formazione degli hidalgos: questi nobili di origine cittadina occupano gran parte delle cariche municipali.
In Germania si distingue tra vera nobiltà rurale e nobiltà cittadina. Nella gerarchia nobiliare l’aristocrazia feudale occupa un posto superiore a quella urbana, che gode comunque della possibilità di accedere a cariche riservate, là dove nella città sussista la separazione di ceto.
In Italia la qualifica di nobile muta, da città a città, il suo significato. A Siena, “la città forse più congenitamente e diffusamente politicizzata dell’Italia quattro-cinquecentesca” (Berengo), la nobiltà è un partito più che un ceto: la sua organizzazione si basa cioè sulle tradizioni che le singole famiglie hanno accumulato nella loro secolare partecipazione alla vita pubblica. Anche a Genova la contrapposizione tra nobili e popolari non rappresenta un conflitto di classe, ma un conflitto tra due schieramenti politici. La cancelleria della Repubblica genovese designa il nobile come il “cittadino di governo, né ciò nasceva da antichità o vecchie ricchezze et splendore de’ maggiori”. A Venezia invece è assente la possibilità di un’alternativa di governo popolare: il suo sviluppo costituzionale nel Quattrocento è in senso aristocratico -oligarchico. Con la conquista della terraferma veneta nella prima metà del Quattrocento sono esclusi dal governo sia i forestieri giunti di recente a Venezia, sia la ricca e potente nobiltà che in età comunale e signorile ha avuto un peso predominante nelle città divenute suddite. A Napoli il reggimento cittadino vede la compartecipazione di nobili e popolari. Ma il governo urbano è saldamente nelle mani dell’aristocrazia rappresentata nei cinque seggi nobili di Capuana, Nido, Montagna, Porto, Portanova. Il popolo è rappresentato in un unico seggio.
Le borghesie
Una classificazione orientativa di chi può definirsi borghese nel Quattrocento europeo è problematica. Non perché alcune società europee non presentino un’articolazione ricca che autorizzi a identificare ceti borghesi al loro interno, quanto piuttosto per la difficoltà di attribuire un significato univoco al termine borghese.
Se identifichiamo l’origine sociale col ceto di appartenenza, sicuramente i grandi mercanti toscani e genovesi, che formano parte dell’élite internazionale del denaro durante il Quattrocento, non sono borghesi: essi appartengono tutti a famiglie della nobiltà, a volte di quella più antica e prestigiosa come nel caso genovese. Essi svolgono, tuttavia, una funzione che ha molto a che fare con il nuovo significato attribuito al denaro, – “il tempo è denaro”, si comincia a dire, – col commercio internazionale, con le tecniche e gli strumenti innovativi delle transazioni economiche e finanziarie, col dinamismo dei ceti urbani, con una mentalità speculativa e imprenditrice che ha assai poco a che fare con quella delle nobiltà. Per riguardo alla funzione che essi svolgono possono dunque essere considerati una componente delle borghesie quattrocentesche ed essere, quindi, collocati al vertice dei ceti borghesi.
Il secondo gruppo è costituito dal mondo delle professioni. I letrados, gli avvocati che, ormai, nella “civiltà della carta bollata” stanno assumendo molte competenze precedentemente appartenute ai notai, i ministeriali che ricoprono ruoli di spicco ai vertici delle nuove magistrature dello Stato moderno al suo stadio embrionale, sono borghesi? In questo caso possono essere anche esponenti di famiglie nobili a esercitare professioni forensi e a occupare i posti alti dell’amministrazione statale. Quando non sono nobili, aspirano comunque a diventarlo, alimentando così quel processo di formazione della nobiltà di toga, destinato a trasformare profondamente l’identità delle aristocrazie nei secoli successivi.
Sicuramente non nobili sono coloro che esercitano le professioni legate al mondo della medicina: un esercizio che, in molte parti dell’Europa, è considerato non confacente allo status aristocratico, perché pericolosamente contiguo a chi esercita “vili arti meccaniche”. E nella disputa tra arti superiori e arti inferiori l’esercizio della medicina è collocato largamente al di sotto dell’esercizio del diritto che attiene invece a quella che sta diventando una delle principali attività nell’Europa tra basso Medioevo e prima età moderna: l’arte del governo.
Ad un gradino più basso si collocano i vertici delle arti e delle corporazioni artigiane, mercantili: quei ceti borghesi che costituiscono la spina dorsale dell’Europa delle città.