PALLAVICINO, Lazzaro
PALLAVICINO (Pallavicini), Lazzaro. – Nipote di Agostino Pallavicino, doge dal 1637 al 1639, nacque a Genova nel 1602 dal marchese Niccolò (m. 1653) e da Maria Lomellini (morta di pestilenza nel 1630), dal cui matrimonio nacquero 22 figli.
Non si hanno notizie relative alla sua infanzia e alla sua formazione. In data imprecisata si trasferì a Roma, dove intraprese la carriera ecclesiastica. Lo accompagnò il fratello Stefano, il quale dal 1671 al 1673 fu rappresentante della Repubblica di Genova presso la S. Sede. Divenuto referendario di Grazia e di giustizia, nel 1643 Lazzaro risulta essere chierico della Camera apostolica. Dal 1° agosto 1648 al 31 agosto 1663 fu prefetto dell’Annona e della grascia, nel 1656 governatore delle Terre Arnolfine e dal 1657 al 1668 prelato della Congregazione dei baroni e dei monti. Nel 1657 e nel 1667 divenne prefetto degli archivi e nel 1677 decano dei chierici della Camera apostolica.
Il 29 novembre 1669 Clemente IX, pochi giorni prima di morire, lo creò cardinale. Non avendo ancora gli ordini minori, gli fu dato l’indulto per ricevere tutti gli ordini sacri fuori dei tempi previsti e senza osservare gli intervalli contemplati dal diritto vigente. Poté partecipare al lungo conclave del 1669-70, dal quale risultò eletto Clemente X. Il 19 maggio 1670 il nuovo papa gli assegnò il titolo diaconale di S. Maria in Aquiro, che l’8 novembre 1677 avrebbe mutato con quello di S. Balbina. Nel concistoro del 1° settembre 1670 fu nominato legato a Bologna e rimase in carica fino al settembre 1673. Nel 1676 partecipò al conclave che elesse Innocenzo XI.
È noto soprattutto per la sua collezione d’arte, che costituisce il nucleo originario della raccolta oggi conservata nel palazzo Pallavicini Rospigliosi di Roma.
Suo padre Niccolò, appassionato collezionista, aveva conosciuto Pietro Paolo Rubens nel 1607 quando era stato ospite nel suo palazzo di Genova il duca di Mantova Vincenzo Gonzaga, che Rubens accompagnava come pittore di corte. Successivamente l’artista rimase in contatto con la famiglia e, su commissione di Niccolò, nel 1620 dipinse per la chiesa dei Ss. Ambrogio e Andrea di Genova la tela de I Miracoli di S. Ignazio.
Sulla base dell’eredità familiare, arricchita da dipinti di Rubens e Antoon van Dyck, Pallavicino costruì una ricca collezione artistica che fu incrementata mediante successivi acquisti, forse effettuati durante gli anni della sua legazione, di opere provenienti da diverse scuole e ambiti, con una particolare attenzione ai pittori operanti a Roma e nei territori emiliano e bolognese.
Prefiggendosi lo scopo di fondare un ramo della famiglia con sede a Roma, al quale affidare i suoi beni, il cardinale organizzò il matrimonio della nipote Maria Camilla (1643-1710), figlia di Stefano, con Giovanni Battista Rospigliosi, nipote di Clemente IX. Poiché il papa si mostrò contrario al progetto, desiderando che i suoi parenti dopo la sua morte ritornassero a Pistoia, il matrimonio fu celebrato nel 1670, scomparso il pontefice. Lo stesso anno il cardinale acquistò dalla famiglia Ludovisi il feudo di Gallicano, insieme con San Cesareo e Colonna. L’insieme fu elevato al rango di principato e assegnato in dote a Maria Camilla.
Il 12 febbraio 1674 Stefano Pallavicino acquistò per 50.000 scudi il Palazzo Vecchio dei Barberini al Monte di Pietà o ai Giubbonari, detto anche Casa Grande, con diritto di riscatto entro vent’anni per gli antichi proprietari, che lo avrebbero esercitato nel 1694. Stefano lo cedette a Lazzaro, che vi si traferì immediatamente con le sue raccolte artistiche e vi dimorò fino alla morte.
Nel 1679, allo scopo di far persistere il nome della famiglia e conservare l’eredità indivisa, il cardinale costituì un fedecommesso in favore del secondogenito maschio di Maria Camilla, Niccolò, che avrebbe portato il cognome Pallavicini ed ereditato i beni, in particolare le collezioni artistiche. Nello stesso anno redasse il suo testamento, donando al convento di S. Francesco a Ripa – sede del procuratore e del postulatore generale dei francescani riformati, nonché del ministro provinciale di Roma e dello studio generale di filosofia e teologia – una cospicua somma destinata al rifacimento della chiesa medievale, costruita in stile romanico, ormai bisognosa di restauri. Nella stessa chiesa istituì sei cappellanie, tre delle quali riservate a membri della sua famiglia, a carico di Giovanni Battista Rospigliosi. Alla confraternita della Ss. Trinità dei Pellegrini lasciò diversi censi per un ammontare di 25.000 scudi, da impiegare per i suoi scopi istituzionali.
Morì a Roma il 21 aprile 1680, prima del sorgere del sole. Le esequie furono celebrate il 23 aprile nella chiesa di S. Francesco a Ripa, dove il suo corpo trovò sepoltura.
Il fratello Stefano, in ossequio alle sue volontà testamentarie, affidò il progetto di rifacimento della chiesa all’architetto Mattia De Rossi, discepolo e continuatore di Gian Lorenzo Bernini. I lavori cominciarono nel 1682 e si protrassero fino al 1701, quando la chiesa venne di nuovo consacrata, il 2 ottobre, dal cardinale Sperello Sperelli di Assisi. La ristrutturazione comportò la distruzione del campanile romanico, il rifacimento della facciata, disegnata con prospetto a due ordini sovrapposti, e la costruzione delle cappelle sul lato destro della navata, oltre ad alcune modifiche all’edificio conventuale. Il 2 maggio 1707 Maria Camilla Pallavicini delegò i suoi eredi a realizzare entro tre anni il sepolcro per il padre e per lo zio cardinale. La cappella gentilizia, situata sul lato destro della chiesa, fu progettata dall’architetto romano Niccolò Michetti. I lavori iniziarono il 7 maggio 1710 per concludersi nel gennaio 1725. Il sepolcro dei fratelli Lazzaro e Stefano, posto sulla parete sinistra, fu completato dallo scultore Giuseppe Mazzuoli nel 1715, mentre quello dei coniugi Giovanni Battista e Maria Camilla, collocato nella parete di fronte, opera di Ercole Ferrata, venne terminato nel 1725.
Fonti e Bibl.: P. Litta, Famiglie celebri di Italia, s.l. [18...], Pallavicino, VII, tav. V; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma, Roma 1874 [I ed. 1867], IV, p. 427, n. 1050; 1876, VII, p. 218 n. 452, p. 239 n. 489; Hierarchia catholica medii et recentioris ævi, V: a pontificatu Clementis PP. IX (1667) usque ad pontificatum Benedicti PP. XIII (1730), a cura di R. Ritzler - P. Sefrin, Padova 1952, pp. 5, 44, 53; L. Lotti, Il Palazzo Pallavicini, Roma s. d., ad ind.; F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma. Catalogo dei dipinti, Firenze 1959, pp. 10-12, 19, 291-298 (elenco dei quadri lasciati dal cardinale al principe Niccolò Pallavicini); B. Pesci, San Francesco a Ripa (Le chiese di Roma illustrate, 49), Roma 1959; L. von Pastor, Storia dei papi, Roma 1961, XIV, I, p. 567; 1962, XIV, II, p. 4; A. Negro, Nuovi documenti per Giuseppe Mazzuoli e bottega nella cappella Pallavicini Rospigliosi a S. Francesco a Ripa (con una nota per Giuseppe Chiari e un dipinto inedito), in Bollettino d’arte, 44-45 (luglio-ottobre 1987), pp. 157-160; V. Reinhardt, Die Präfekten der römischen Annona im 17. und 18. Jahrhundert. Karrieremuster als Behördengeschichte, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, LXXXV (1990), pp. 98-115; Chr. Weber, Die ältesten päpstlichen Staatshandbücher. Elenchus Congregationum, Tribunalium et Colle-giorum Urbis 1629-1714, Rom-Freiburg-Wien 1991, ad ind.; Legati e governatori dello Stato Pontificio (1550-1809), a cura di Chr. Weber, Roma 1994, pp. 156, 817; Chr. Weber, Genealogien zur Papstgeschichte, II, Stuttgart 1999, p. 701; Il Palazzo Pallavicini Rospigliosi e la Galleria Pallavicini, testi di D. Di Castro - A. M. Pedrocchi - P. Waddy, fotografia di A. Santinelli, Roma 2000, ad ind.; Die päpstlichen Referendare 1566-1809. Chronologie und Prosopograhie, a cura di Chr. Weber, III, Stuttgart 2004, pp.785 s.; D. Di Castro, Storia e mecenatismo dei Pallavicini a Roma, in Capolavori da scoprire. Colonna, Doria Pamphilj, Pallavicini, a cura di G. Lepri, Milano 2005, pp. 141-151; A. Negro, La collezione Rospigliosi: la quadreria e la committenza artistica di una famiglia patrizia a Roma nel Sei e Settecento, Roma 2007, ad ind.