GUINIGI, Lazzaro
Figlio maggiore di Francesco di Lazzaro, della nota famiglia lucchese, nacque intorno agli anni Quaranta del Trecento, presumibilmente dal matrimonio del padre con una figlia del conte Guglielmo Guidi di Modigliana. Qualificato come adultus in un documento del 1362, in quello stesso anno sposò Isabetta Rossiglioni che, morta nel 1380, lo lasciò erede di cospicui beni.
Fu attivamente impegnato nelle attività bancarie e commerciali e nella vita politica cittadina; la sua formazione avvenne nei fondaci della compagnia di famiglia, per conto della quale trascorse alcuni anni all'estero. Il suo nome figura nei registri della Corte dei mercanti nel 1380, anno in cui compare tra i consiglieri, e, nel bimestre maggio-giugno, tra i consoli; nel 1381 è documentato a Lucca tra i soci della compagnia facente capo al padre Francesco e allo zio Dino di Nicolao, attiva anche a Pisa, Roma, Londra e soprattutto a Bruges: è qui in particolare che egli risulta presente sulla base di numerose testimonianze, una delle quali, risalente al 1383, riferisce di un suo breve arresto in seguito a una lite. Nel 1389 era consigliere della Corte dei mercanti, ma è certo che l'attività prestata nell'ambito di questa istituzione fu ben più importante e continuativa di quanto lasci trapelare la documentazione, alquanto lacunosa per gli ultimi decenni del Trecento.
Nello stesso periodo il G. ricoprì importanti cariche nella vita pubblica di Lucca, dove assai rilevante fu la sua carriera politica. Fu anziano nei bimestri maggio-giugno 1376, luglio-agosto 1377, marzo-aprile 1379, gennaio-febbraio 1381, gennaio-febbraio 1384, luglio-agosto 1386, marzo-aprile 1388, marzo-aprile 1390, luglio-agosto 1392, marzo-aprile 1394, novembre-dicembre 1396, gennaio-febbraio 1399. Gonfaloniere nel 1386 e nel 1392, fu inoltre chiamato con grandissima frequenza a ricoprire incarichi di varia natura, nonché invitato o surrogato al Consiglio generale e a quello più ristretto dei Trentasei.
Dopo la morte, avvenuta nel 1384, del padre Francesco il peso politico della fazione avversa ai Guinigi, capeggiata dalla famiglia dei Forteguerra, crebbe notevolmente; un colpo particolarmente duro fu inferto alla fazione guinigiana nel 1385, quando Bartolomeo Forteguerra ottenne l'abolizione della magistratura dei Dodici conservatori della libertà, a suo tempo voluta da Francesco Guinigi per arginare la conflittualità cittadina, imponendo la creazione di un altro organismo, i Dodici commissari di palazzo, caratterizzato dalla consistente presenza di esponenti del partito forteguerriano.
La tensione politica divenne da quel momento più grave e cominciò a venire meno ogni possibilità di mediazione; lo scontro si fece frontale alla fine degli anni Ottanta: l'egemonia dei Forteguerra, e in particolare il prestigio di Bartolomeo, furono osteggiati dalla fazione guinigiana con il ricorso a una serie di iniziative che contravvenivano apertamente alle consuete regole del confronto politico; in particolare, il G. e i suoi seguaci intervennero nel meccanismo della selezione dei nominativi di coloro che avrebbero dovuto rivestire la carica di anziano nel biennio settembre 1390 - settembre 1392, in modo che ne venissero esclusi molti degli oppositori; così lo stesso Bartolomeo si vide escluso dalla rosa dei nominativi. La situazione, fattasi via via più tesa, raggiunse il suo punto di rottura il 12 maggio 1392: il dissenso tra le due fazioni degenerò in uno scontro armato di violenza inaudita, nel quale il G. e i suoi partigiani ebbero la meglio; seguito da uomini armati, egli si diresse al palazzo degli Anziani dove il gonfaloniere Forteguerra Forteguerra, cugino di Bartolomeo, fu sorpreso e barbaramente ucciso; il giorno dopo lo stesso Bartolomeo fu condannato a morte: era la sanzione della definitiva vittoria della parte guinigiana.
La narrazione particolareggiata di Giovanni Sercambi, fautore del G. e forse partecipante all'azione, mira a scinderne le responsabilità da quella dei più feroci protagonisti del fatto, ma appare evidente che il G. fu al corrente dei dettagli del piano, anche quando questo trascese nella più spietata vendetta. Il 15 maggio successivo gli Anziani convocarono un Consiglio generale affollato dai partigiani del G.; fu allora decisa la costituzione di una Balia di ventiquattro cittadini, della durata di tre mesi e mezzo, dotata di amplissimi poteri, della quale il G. entrò subito a far parte. Il fatto ebbe grandissima risonanza e suscitò preoccupazioni soprattutto a Firenze. Negli anni compresi tra il 1392 e il 1400 l'importanza politica della fazione crebbe al punto da fare scattare l'identificazione dei suoi interessi con quelli del governo della città: "et perché sii certo, ongni volta che udirai dire che la diliberatione sia col comsiglio, intendi sempre con deliberatione della casa de' Guinigi", afferma il Sercambi senza mezzi termini nella Nota indirizzata ai maggiorenti del casato intorno al 1392 (cfr. Sinicropi).
La posizione patrimoniale che il G. aveva raggiunto in quegli anni era consistente; la sua ricchezza non aveva basi esclusivamente legate alle fortune familiari in quanto, come già ricordato, alcune proprietà immobiliari gli erano pervenute dalla prima moglie. Nel marzo del 1394, dieci anni dopo la morte del padre Francesco, ebbe luogo la divisione dei beni tra il G. e i fratelli, Antonio, Bartolomeo e Paolo (un quinto fratello, Roberto, era morto): a ciascuno toccarono circa 4000 fiorini di beni stabili; in seguito a quell'evento, com'era tradizione consolidata tra i mercanti, il G. avviò la stesura di un libro di ricordi, perduto, in cui le registrazioni economiche si alternavano a scritture relative alla vita familiare. Particolarmente stretta, almeno sul piano economico, risulta la relazione tra il G. e lo zio Michele di Lazzaro Guinigi; con questo egli acquistò il 14 maggio 1388 una "possessione grande con palazzo, corte, giardino, frutti, capanne, vigne, selve, oliveti, prati, boschi" situata a Catureglio, nel contado lucchese, insieme con tutto il colle del Bargiglio e quello della Cuna: si trattava di un complesso di beni appartenuti a Francesco Castracani degli Antelminelli, che per lungo tempo aveva esercitato su quella zona una sorta di giurisdizione personale. Al G. e allo zio paterno fu possibile appropriarsene per effetto forse di vincoli di varia natura che da tempo si andavano stringendo tra i Guinigi e gli Antelminelli: basti pensare al matrimonio contratto, probabilmente grazie all'intermediazione del G., tra Maria Caterina di Giovanni Antelminelli e Paolo, che del G. era il fratello più giovane.
Sullo scorcio del secolo XIV la figura dominante nella vita politica lucchese fu quindi senz'altro quella del G.: fu lui a volere l'alleanza con Firenze nel 1395, e con i Fiorentini mantenne rapporti stretti fin quasi alla fine del Trecento, figurando di solito in prima persona all'atto di stringere gli accordi; direttamente con lui, per esempio, i cittadini di Firenze trattarono nel gennaio del 1398 per discutere la proposta fatta dai Pisani ai Lucchesi di stipulare una pace separata.
L'intensità della vita politica non gli impedì di curare gli interessi della compagnia all'estero: si trovava infatti a Bruges nel 1399. Proprio in quel periodo scelse di avvicinarsi politicamente ai Visconti; fino a quel momento il suo governo non era infatti venuto meno, come si è visto, a quella politica filofiorentina che aveva costituito uno dei punti fermi della politica lucchese anche al tempo di Francesco Guinigi. Con l'acquisto ducale di Pisa il governo si trovò nell'impossibilità di persistere in un atteggiamento di aperto favore verso le iniziative fiorentine rischiando di attirarsi l'inimicizia di Gian Galeazzo Visconti. Fu proprio quest'ultimo a chiedere di incontrare il G. alla fine del 1399 a Pavia; il tenore del colloquio, rimasto segreto nei dettagli, suscitò molte apprensioni a Firenze, ma se a Pavia qualcosa fu concluso non dovette trattarsi di un legame ufficiale, dato che alla morte del G. il fondaco genovese di Francesco Datini poteva considerarlo, comunicandone la notizia a Valenza, evento funesto. Come si evince da documenti più tardi, primo fra tutti una lettera indirizzata al duca da Paolo, fratello del G., la funzione di quest'ultimo prevedeva anche l'invio di informazioni riguardo soprattutto la precaria situazione di Pisa, su cui il Visconti desiderava mettere le mani nella sua manovra di accerchiamento ai danni di Firenze. Il vantaggio immediato della linea politica impostata dal G. consisteva nella possibilità di un allentamento, per Lucca, della rischiosa colleganza fiorentina; nello stesso tempo, trattando con il duca subito dopo il suo affacciarsi in Toscana, si poteva acquisire una posizione che, se certo non era di parità, garantiva almeno alla città del G. quella sicurezza che una politica apertamente filofiorentina non avrebbe assicurato.
Sono tutt'altro che chiari i motivi che indussero suo fratello Antonio a levare il pugnale contro di lui. La sera del 15 febbr. 1400 Antonio, insieme con il cognato Nicolao Sbarra (che, sebbene avesse sposato una sorella del G., era pur sempre nipote di Bartolomeo Forteguerra, ed era stato testimone dei tragici fatti del 1392), si recò a casa del G. e, sorpresolo intento a scrivere al tavolino, lo uccise a colpi di pugnale; i due cercarono quindi inutilmente di sollevare la città, ma furono catturati dalla brigata dei Guinigi e giustiziati il giorno seguente di fronte alla cittadinanza, che di quell'esecuzione avrebbe conservato a lungo il ricordo.
Secondo le ipotesi di Christine Meek Antonio avrebbe avuto un movente complesso, che comprendeva tanto il risentimento suscitato da non meglio identificate offese recategli dal G., quanto una situazione critica dal punto di vista finanziario: e possono forse ricondursi a quest'ultima ipotesi alcune registrazioni contabili più tarde, stando alle quali il G. sarebbe risultato creditore dei fratelli Bartolomeo e Antonio per la cifra di 998 fiorini; i due avrebbero riconosciuto il debito e ipotecato al G. tutti i propri beni. Sembra invece assolutamente da escludere un coinvolgimento nell'assassinio da parte del duca di Milano.
Onorevolmente celebrati i funerali nella chiesa di S. Francesco, in una città presidiata da uomini armati, il G. fu sepolto nella cappella di famiglia nel chiostro di S. Francesco.
Ebbe tre mogli: dalla già ricordata Isabetta Rossiglioni nacque Isabetta; dalla seconda moglie, la senese Sozzina di Ruffo di Naldino, nacquero Francesco, Niccolò, Lorenzo, Lagina, Gettina e Giovanna; dalla terza, Caterina di Bartolomeo Buzzolini, lucchese, ebbe Selvaggia. Il matrimonio con Caterina, avvenuto il 27 genn. 1398, è descritto da Giovanni Sercambi come un evento di grande risonanza. È noto anche un figlio naturale, Luciano.
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