GAGLIARDO, Lazzaro Antonio
Nacque a Genova l'8 febbr. 1835 da Vincenzo, importante commerciante di granaglie, e da Adelaide Peirano. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell'Ateneo genovese, fu chiamato alle armi prima di aver terminato gli studi e frequentò la scuola militare di Ivrea uscendone col grado di tenente, in tempo per prendere parte alla guerra del 1859. Partita la spedizione dei Mille, fu tra gli ufficiali che seguirono il generale G. Medici quando questi organizzò la seconda spedizione garibaldina in Sicilia, ne divenne aiutante di campo e ai suoi ordini combatté a Milazzo e al Volturno, dove fu gravemente ferito a una gamba e si guadagnò una medaglia.
Tornato a Genova lavorò nella ditta del padre, ma nel 1866 si arruolò nuovamente nelle file garibaldine, prendendo parte, col grado di capitano, alla campagna del Trentino. Al comando della 3ª compagnia bersaglieri, il G. combatté a Monte Suello e vi ottenne un'altra decorazione. Poco dopo in una caduta si fratturò la gamba già ferita nel 1860, che rimase invalida. Congedatosi, si recò nella città danubiana di Galati, in Romania, dove aprì una filiale dell'azienda paterna per avere un collegamento diretto con quell'importante centro granario. Di nuovo a Genova nel 1868 per la morte del padre, vi fondò una casa di commissioni, la Gagliardo & Pasteur, impegnata in traffici col Levante, le Americhe e l'India.
Nel settembre 1877, poco dopo essere entrato nel consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Genova, fu eletto in Consiglio comunale, ma vi rimase solo fino al giugno seguente. Presentatosi candidato alle elezioni politiche del maggio 1880 con il sostegno dall'Associazione progressista, venne sconfitto dal moderato C. De Amezaga, la cui elezione fu però annullata a favore del G., che alla Camera si segnalò per i suoi numerosi interventi in questioni di marina mercantile (avversò in particolare la fusione della Rubattino e della Florio nella Navigazione generale italiana), di commercio internazionale e di ferrovie.
Rieletto in Parlamento nell'ottobre 1882, dal novembre di quell'anno fu chiamato a far parte della commissione per l'esecuzione della legge che aboliva il corso forzoso e vi fu riconfermato nel gennaio 1886. Avvicinatosi alla Sinistra antidepretisina di G. Zanardelli, s'impegnò a fondo, all'inizio del 1885, per combattere il disegno di legge sulle convenzioni ferroviarie che prevedeva l'esercizio privato delle grandi società. La sua opposizione a quel provvedimento (che avrebbe contribuito, molti anni dopo, a fare scegliere a G. Giolitti l'esercizio di Stato) lo indusse a rassegnare le dimissioni dalla Camera il 6 marzo 1885, giorno dell'approvazione della legge. I colleghi le respinsero all'unanimità, ma il G. chiese di rimettersi al giudizio degli elettori. Si formò allora a Genova un grande comitato per sostenerne la rielezione, che avvenne trionfalmente nel maggio seguente.
Altrettanto felice fu l'esito delle elezioni politiche del maggio '86, quando il G. risultò il primo tra gli eletti genovesi. Alla Camera fece parte, nel 1886-87, della commissione d'inchiesta per la revisione della tariffa doganale e sostenne invano posizioni liberoscambiste. D'accordo con G. Fortunato e L. Franchetti, di cui godeva la stima e l'amicizia, si oppose in particolare all'aumento del dazio sul grano voluto da A. Salandra che, a suo parere, non impediva l'emigrazione - cui peraltro il G. guardava con un certo favore, vedendovi una valvola di sfogo per un paese sovrappopolato e uno strumento per creare nuovi mercati nell'America Latina -, non risollevava l'agricoltura italiana e favoriva solo i gruppi oligarchici a danno delle classi lavoratrici, penalizzate per giunta da un eccessivo carico fiscale.
Su tali posizioni veniva sempre più avvicinandosi al Giolitti che, proprio in quegli anni, maturava il distacco da A. Depretis e dalla politica finanziaria di A. Magliani e che, chiamato a reggere il Tesoro (8 marzo 1889) nel secondo gabinetto Crispi, lo volle con sé come sottosegretario. Con lui il G. condivise le difficoltà di un'esperienza contraddittoria che mirava al pareggio del bilancio in un governo proteso verso una politica imperialistica e dispendiosa. E quando scoppiò il dissidio tra Giolitti e il ministro dei Lavori pubblici, G. Finali, che aveva chiesto un aumento di 12 milioni nel bilancio del suo dicastero, alle dimissioni presentate dal titolare del Tesoro (11 dic. 1890) seguirono subito quelle del suo sottosegretario.
Frattanto, nel gennaio 1888, il G. era stato rieletto in Consiglio comunale, dove tuttavia si era fatto vedere poco a causa dei numerosi impegni: oltre che parlamentare era infatti consigliere della Camera di commercio, della Scuola superiore di commercio (di cui sarebbe poi divenuto presidente) e della Cassa di risparmio. Proprio come "deputato speciale" del consiglio di amministrazione di quest'ultima il 24 maggio 1888 aveva riferito sull'andamento dell'istituto negli ultimi 40 anni e indicato le cause della sua crisi, insistendo sull'assurdità di voler "ridare alle Casse l'antico ed esclusivo carattere di serbatoi del denaro del povero", mentre ne andava ormai accentuato il ruolo di vere e proprie banche (Giacchero, p. 102). Il 1° febbr. 1889 aveva offerto al sindaco di Genova le proprie dimissioni. Il Consiglio le aveva respinte, ma il G. aveva pensato bene di non ricandidarsi alle successive elezioni municipali del novembre 1889.
Costretto successivamente a ridurre gli impegni anche a causa di quei problemi di salute che il 23 febbr. 1892 lo avrebbero spinto a dimettersi da deputato, teneva intanto un fitto carteggio con Giolitti (da lui più volte sollecitato a rimanere distante dal ministero Rudinì e ad aspettare l'occasione per tornare al governo da posizioni di forza) e si adoperava per ottenere una nomina al Senato, giunta effettivamente il 5 giugno 1892, con un decreto speciale firmato da Giolitti pochi giorni dopo il conferimento del primo incarico di governo. Quando si profilò lo scandalo della Banca romana, il G. - che si sentiva corresponsabile per essere stato sottosegretario proprio all'epoca dell'ispezione e del suo insabbiamento - cercò di confortare il presidente del Consiglio: "Il paese - gli scrisse il 25 febbr. 1893 - sa d'avere in te un uomo di forte tempra e di grande rettitudine morale, e ha bisogno d'esserne certo, quanto più melma vede" (Dalle carte di G. Giolitti, I, p. 130). Tanta solidarietà fu premiata non appena si dovette procedere a un rimpasto per il ministero delle Finanze, tenuto ad interim dal compromesso B. Grimaldi.
Incorso nel rifiuto del Finali - che aveva presieduto con rigore l'ispezione delle banche - Giolitti, cui serviva un uomo di peso per risanare il bilancio, il 24 maggio 1893 destinò alle Finanze il G., suo fedelissimo, sebbene di nomina troppo recente per poter contare su un vasto seguito al Senato. Già in settembre il governo era minato dalle opposizioni interne e il G. riteneva che non avesse più, di fronte al paese e al Parlamento, la forza per realizzare quel riordinamento finanziario che era un cardine del suo programma. Infatti, il 5 ottobre, consegnò a Giolitti una lettera di dimissioni e quattro giorni dopo Giolitti stesso, con un telegramma al re, rassegnò le proprie, motivandole appunto con l'abbandono del suo ministro delle Finanze. Convinto infine a recedere dalla decisione presa, il G. presentò il 23 novembre alla Camera un disegno di legge per l'imposta progressiva sul reddito che dava corpo a una fra le principali proposte contenute nel discorso di Dronero del 18 ottobre e che soprattutto consentiva al governo di cadere su una riforma democratica, cosa che poi avvenne quando Giolitti il 24 nov. 1893 annunciò alla Camera le dimissioni del ministero.
Il peggioramento del suo stato di salute costrinse per parecchio tempo il G. a una vita molto ritirata, amareggiata per giunta dalla caduta di quelle che chiamava "le mie belle illusioni giovanili" (Dalle carte di G. Giolitti, I, pp. 212 s.). Tra i suoi meriti maggiori rivendicava, accanto alle lontane imprese garibaldine, l'aver fatto un po' di pulizia - all'epoca del suo ministero - tra i corruttori e i corrotti della Banca romana. Si diceva inoltre disgustato dalla politica: in realtà era nauseato dal gabinetto Crispi, "un governo immorale come non ne ebbe altro l'Italia dal giorno del suo risorgimento politico" (ibid., p. 243); e del Crispi stesso, come di F. Martini, gli spiaceva in particolare la politica coloniale, che nel marzo 1896 tentò di combattere anche organizzando un meeting a Genova. Nell'estate del '96, ricuperata in parte la salute, accettò di presiedere una commissione d'inchiesta sulle condizioni dei dipendenti delle compagnie ferroviarie. Si impegnò a fondo nell'impresa, persuaso che "il trattamento fatto al personale delle ferrovie non rispondeva alle elementari norme di equità" e proponendo "una serie di provvedimenti che correggessero le ingiustizie più palesi e stridenti" (Giolitti, Memorie, p. 200).
Il G. morì a Genova il 25 marzo 1899, pochi giorni dopo aver presentato la relazione finale.
Fonti e Bibl.: Genova, Istituto mazziniano, Autografi, nn. 1267, 2296; Processi verbali del Consiglio comunale di Genova, 1878, Genova 1878, pp. 3, 366-368 e passim; …, 1888, ibid. 1888, p. 2 e passim; …, 1889, ibid. 1889, pp. 110 s.; …, 1899, ibid. 1899, pp. 175 s.; Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislature XIV-XVII, ad indices; T. Sarti, Il Parlamento ital. nel cinquantenario dello Statuto, Roma 1898, pp. 295 s.; G. Giolitti, Memorie della mia vita, Milano 1922, pp. 55, 199 s.; G. Natale, Giolitti e gli Italiani, Milano 1949, pp. 217 s., 257-259; G. Carocci, Giolitti e l'età giolittiana, Torino 1961, pp. 40, 91; G. Manacorda, Il primo ministero Giolitti, II, Dalle elezioni del 1892 alla caduta del ministero, in Studi storici, III (1962), pp. 100, 109, 116, 118; Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, I, L'Italia di fine secolo 1885-1900, a cura di P. D'Angiolini, Milano 1962, ad ind.; G. Giacchero, La Cassa di risparmio di Genova e Imperia, Genova 1970, pp. 78-80, 102; N. Valeri, Giovanni Giolitti, Torino 1972, ad ind.; Storia del Parlamento italiano, diretta da N. Rodolico, VIII-IX, Palermo 1975-76, ad indices; Il Parlamento italiano 1861-1988, Milano 1989, V, pp. 630, 636, 642; VI, p. 632; L'Archivio storico dell'Università di Genova, a cura di R. Savelli, Genova 1994, p. 695; R. Beccaria, I periodici genovesi dal 1473 al 1899, Genova 1994, pp. 165, 200, 233, 457, 475; Diz. del Risorgimento nazionale, s.v.; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia (1889-1896), VI, Roma 1976, pp. 51, 251, 255, 307-310.