LAVY (Lavi, Lavie, Lavì)
Famiglia originaria, con ogni probabilità, della Savoia stabilitasi a Torino nella seconda metà del XVII secolo, dalla quale discesero due generazioni di incisori di monete e medaglie attivi presso la Zecca torinese (Baudi di Vesme, p. 610).
Lorenzo (Carlo Domenico Lorenzo), secondogenito di Carlo Domenico e di Paola Margherita Mo, nacque a Torino l'11 ag. 1720 (Cultura figurativa…, III, p. 1456). Dopo un periodo di apprendistato presso Andrea Boucheron, fu inviato a perfezionarsi a Parigi (1740) presso Thomas Germain, orefice del re al Louvre. Lì rimase fino al 1745, ottenendo già nel 1741 un sussidio di 30 lire mensili, aumentato in più occasioni nel corso degli anni successivi, da re Carlo Emanuele III (Assandria, p. 213).
A Parigi si dedicò allo studio del disegno e del modellato, cui aggiunse, dal 1743, la pratica dell'incisione di monete e medaglie (Cultura figurativa…, III, p. 1456). A consigliarlo in tal senso, con l'obiettivo di fargli guadagnare una professionalità meglio spendibile e più redditizia, fu proprio Andrea Boucheron, con il quale Lorenzo intrattenne una fitta corrispondenza e cui inviò tutti i suoi lavori perché fossero mostrati a corte (Assandria, pp. 214 s.). Il 16 giugno 1745 rientrò a Torino; ma già nell'ottobre successivo raggiunse Roma, provvisto di una pensione mensile di 60 lire, per continuare a perfezionarsi nell'arte dell'incisione (Baudi di Vesme, p. 620). Su interessamento del cardinale Alessandro Albani fu introdotto nella bottega degli Hamerani, incisori presso la Zecca pontificia (ibid.). A Roma si applicò allo studio della medaglistica antica, colmando quel vuoto che la formazione parigina aveva reso inevitabile.
Richiamato a Torino nel giugno del 1749 (ibid., p. 622), il 12 novembre dell'anno successivo fu nominato intagliatore di monete e medaglie della Zecca reale con lo stipendio provvisorio di 1000 lire annue, aumentato a lire 1200 nel 1763, quando sostituì completamente il defunto Giovan Battista Donò (ibid., p. 622).
Ebbe sei figli, quattro maschi e due femmine, nati dal matrimonio (30 apr. 1764) con Giacinta, detta Maria Maddalena, Bénard, figlia di Michele, direttore del giardino reale (Assandria, p. 218). Nel 1778 fu nominato professore dell'Accademia di pittura e scultura, istituita quell'anno (Baudi di Vesme, p. 622).
Morì nella città natale il 29 genn. 1789, dopo trentotto anni di attività continuata alla Zecca reale (Assandria, p. 225).
Sono opera di Lorenzo tutti i coni delle monete emesse dalla Zecca a partire dal 1750, nonché i sigilli delle varie amministrazioni del Regno. Delle numerosissime medaglie se ne ricordano in particolare alcune, tutte conservate a Torino, Museo civico di numismatica: quella recante sul rovescio il motto "Et bello et pace" del 1749, coniata per celebrare la pace dopo i congressi di Nizza (Fava, p. 36); quella del 1750 per le nozze del futuro Vittorio Amedeo III con Maria Antonia di Borbone (ibid., p. 37); le due medaglie del 1778 per l'istituzione dell'Accademia di belle arti di Torino (Cultura figurativa…, III, pp. 964 s.); e quella del 1783 per la fondazione dell'Accademia delle scienze con "Veritas et Utilitas" sul rovescio (ibid., pp. 966 s.; Pennestrì, 1999, pp. 407-410). Un discorso a sé merita la serie di settantasette medaglie della Storia metallica di casa Savoia (Torino, Museo civico di numismatica), iniziata nel 1757 per volere di Carlo Emanuele III e terminata solo quindici anni dopo. Per le invenzioni dei soggetti e delle leggende dei rovesci, Lorenzo fu affiancato dall'abate Francesco Berta, bibliotecario dell'Università. I coni, pagatigli solo 118 lire l'uno, rimasero sconosciuti fino a quando Carlo Felice li fece disegnare da Angelo Boucheron e incidere in rame da Pietro Palmieri per illustrare il volume curato da Giovan Francesco Galeani Napione, Storia metallica della Real Casa Savoia (Torino 1828). La serie fu completata e incisa su interessamento di Luigi Torelli, allora ministro dell'Agricoltura, industria e commercio, in visita alla Zecca nel 1864 (Uomini libri medaglieri, pp. 45-51; Popoff). A Lorenzo, attivo pure come argentiere, si attribuiscono anche un bellissimo calice del duomo di Vercelli, una "paiola" in stile rococò dell'Österreichisches Museum für angewandte Kunst di Vienna (Mallé, pp. 127, 197 s.), il raggio dell'ostensorio della parrocchiale di Settimo Vittone e l'ostensorio dell'abbazia di S. Benigno (Cultura figurativa…, I, pp. 154, 157).
Giuseppe (Giuseppe Brunone), fratello di Lorenzo, nacque a Torino il 6 ott. 1723 (Assandria, p. 225). A servizio per la corte di Savoia dal 1744, fu spinto dalla sua passione per la pittura ad abbandonare l'impiego per dedicarsi alle belle arti. Fu così che il 7 sett. 1747 venne inviato a Roma per volere del re affinché si specializzasse nella miniatura (ibid.). In città lo attendeva il fratello Lorenzo; con lui frequentò il cardinale Albani che, recandosi a Torino verso la fine del 1747, portò con sé i lavori di Giuseppe e di Lorenzo per mostrarli al re (ibid.). Verso la fine del 1749 Giuseppe fu richiamato a corte per eseguire i ritratti in miniatura della famiglia reale, ottenendo in cambio il diritto di tornare a Roma per continuare a perfezionarsi e probabilmente la possibilità di visitare altre città d'Italia (ibid.). Tra il 1751 e il 1755 soggiornò infatti a Firenze, Bologna e Venezia, rientrando quindi nella capitale sabauda (Baudi di Vesme, pp. 618 s.).
Nel 1756 fu nominato priore della Compagnia di S. Luca a Torino, di cui fu anche socio nel 1759 (ibid., p. 619). Per "li riscontri avuti dell'abilità e perizia particolari" Carlo Emanuele III lo elevò alla dignità di pittore in miniatura di corte nel gennaio del 1757, con lo stipendio annuo di 400 lire (ibid.). L'anno successivo il sovrano gli commissionò la serie di settantasette ritratti in miniatura dei regnanti di casa Savoia compiuta nel 1767 e destinata a decorare il gabinetto delle miniature dell'appartamento d'estate del re in Palazzo reale (Torino, Palazzo reale, gabinetto Lavy; Uomini libri medaglieri, pp. 36-41).
Nel 1760 sposò Teresa Garrone e, dal loro matrimonio, il 23 ott. 1761 nacque Severino, pittore come il padre. Rimasto vedovo nello stesso anno, Giuseppe si risposò nel 1762 con Rosa Lapiena (Assandria, p. 227). Nel 1769 risiedeva con la moglie a Parigi; si recò quindi in Inghilterra, dove pare si trattenesse fino al 1771, per far ritorno in Francia - prima in Normandia e poi a Parigi - l'anno seguente (ibid., pp. 227 s.). Rientrò forse a Torino nel 1778, quando fu nominato professore di miniatura all'Accademia di belle arti, ma risiedeva ancora a Parigi tra il 1783 e il 1787 (ibid., p. 228; Baudi di Vesme, p. 619).
Nel 1796 possedeva con il fratello Anacleto la "vigna Lavi", situata nella valle di San Martino nei pressi di Pecetto Torinese, dove morì l'8 nov. 1803 (ibid.).
Carlo Michele nacque a Torino da Lorenzo e Giacinta Bénard nei primi giorni d'aprile del 1765 (Assandria, p. 230). Si potrebbe identificarlo con il "Lavy", iscritto alla Reale Accademia di belle arti di Torino nel 1780, che l'anno seguente ottenne il terzo premio per il modellato (Baudi di Vesme, p. 617). Frequentava certamente l'Accademia nel 1784, quando fu inviato a Parigi per perfezionarsi.
Qui conobbe l'incisore della Zecca, Benjamin Duvivier, che lo indirizzò allo scultore Étienne Gois il quale, a sua volta, lo introdusse negli ambienti dell'Académie e gli fece frequentare la scuola di nudo (Cultura figurativa…, III, p. 1456). Nel corso del viaggio di ritorno verso Torino intrapreso per ordine del sovrano nel 1788, si trattenne a Ginevra, Friburgo e Losanna (Assandria, pp. 232 s.).
A pochi mesi dal suo rientro a Torino, il padre Lorenzo morì; ed egli ne ereditò la carica presso la Zecca reale con la nomina del 17 febbr. 1789 (ibid., p. 233).
Lo stipendio era fissato a 1000 lire annue, più l'aggio di battitura e il diritto di godere dell'alloggio di servizio (ibid.). Il 24 marzo 1803 fu proclamato accademico straordinario dell'Accademia Subalpina di storia e belle arti, come si era deciso nella seduta del 27 febbraio dello stesso anno (ibid. p. 237). Ormai sostituito nell'incarico in Zecca dal fratello Amedeo, divenne sottocontrollore all'ufficio di garanzia per la soppressione della Zecca (14 ott. 1809) con lo stipendio di 1500 lire annue (ibid., p. 238). Il 16 dic. 1812 fu nominato socio onorario dell'Accademia degli Indefessi di Alessandria. Nel testamento, compilato il 9 maggio 1812, lasciava ad Amedeo gli utensili e tutto quanto era nella sua bottega e all'altro fratello Filippo, futuro direttore della Zecca, la collezione monete e medaglie, i libri di numismatica e le carte di famiglia.
Morì a Torino il 6 dic. 1813 (ibid.).
Delle sue opere si ricordano le quattro medaglie della famosa "serie delle cinque battaglie" realizzata su disegno di Andrea Appiani (1797. Bonaparte a Verona); la quinta, con il Passaggio dell'Adda, Po e Mincio, fu coniata da Joseph Salwirck. Esse raffigurano in ordine di esecuzione: la Battaglia di Millesimo e il combattimento di Dego (15 apr. 1796: Verona, collezione privata); la Battaglia di Castiglione e il combattimento di Peschiera (6 ag. 1796: Ibid., collezione privata); la Capitolazione di Mantova (27 febbr. 1797: Ibid., Museo di Castelvecchio) e il Passaggio del Tagliamento e la presa di Trieste (23 marzo 1797: Ibid., collezione privata). Infine, si deve ricordare la medaglia eseguita insieme con il fratello Amedeo (rovescio su disegno di Andrea Appiani) per la restaurazione della Repubblica Cisalpina, all'indomani della battaglia di Marengo (16 giu. 1800: Ibid., Museo di Castelvecchio).
Amedeo (Amedeo Domenico Sotero), fratello di Carlo Michele, fu incisore di metalli, ma anche scultore in marmo, creta e gesso e nacque a Torino il 22 apr. 1777 (Baudi di Vesme, p. 610). L'autobiografia (trascritta, in gran parte, ibid., pp. 610-614), quasi una cronaca ad annum fino al 1845, costituisce la fonte principale di informazioni sull'artista, anche se molte delle opere di cui si dà conto sono andate perdute o non sono più identificabili (Cultura figurativa…, III, p. 1455). Iscritto ai corsi di nudo dell'Accademia di Torino dal 1792, nel 1794 affiancò il fratello Carlo Michele in Zecca (Baudi di Vesme, p. 610). Nel 1805 si recò a Roma per un periodo di perfezionamento presso la bottega di Antonio Canova; ma tanto grave fu "l'assiduo lavoro" che si ammalò di tubercolosi (ibid., p. 611). Rientrato a Torino nel 1807, l'anno seguente si ritrovò "a forza di raggiri" a lavorare nella bottega di Giacomo Spalla (ibid.), per cui realizzò i due bozzetti raffiguranti la Pace di Presburgo e l'Incoronazione di Giuseppina (Torino, Galleria civica d'arte moderna: Cultura figurativa…, I, p. 212), modelli per due delle lastre marmoree della galleria del Beaumont, ora a Stupinigi (Pescarmona, pp. 45, 49). Le sue doti di ritrattista furono talmente apprezzate dai contemporanei che nel 1812 il conte Prospero Balbo, presidente dell'Accademia delle scienze, lo inviò a Parigi per realizzare il busto del matematico Giuseppe Luigi Lagrange (Torino, Accademia delle scienze: Baudi di Vesme, p. 612; Cultura figurativa…, I, p. 211). Pur avendo prestato servizio per il governo napoleonico con il fratello Carlo Michele, coniando i tipi di monete per il passaggio al sistema decimale francese (ibid., III, p. 945: si ricorda a tal proposito il famoso marengo), quando nel 1814 i Savoia fecero ritorno in Piemonte, Amedeo riacquistò il suo impiego di incisore di coni alla Zecca, da cui si dimise, per "dispiaceri e contrarietà" nel 1826, continuando tuttavia a ricevere commissioni di ogni sorta (Baudi di Vesme, pp. 612 s.).
Già da tempo membro dell'Accademia Subalpina (1801), nel 1822 venne nominato professore di conio della ripristinata Accademia di belle arti di Torino e nel 1823, in occasione del secondo soggiorno romano, divenne accademico di S. Luca (ibid., pp. 611, 613; Cultura figurativa…, III, p. 1455).
Protagonista della scultura piemontese del suo tempo con Spalla e Giovan Battista Comolli, Amedeo non riuscì mai a guadagnarsi commissioni di prestigio in qualità di scultore, se si eccettuano la Madonna col Bambino (1828) su commissione di Carlo Felice per il santuario della Consolata (rubata) e il Busto del marchese Tancredi Falletti di Barolo (1829) per la cappella del cimitero generale (ibid., II, pp. 564 s.). Le sue opere pubbliche furono per lo più oggetto di donazioni: si vedano i rilievi raffiguranti la Madonna con Bambino e i ss. Luigi e Giacinto (1810) e l'Immacolata (1818) per la chiesa parrocchiale di Castagnole Piemonte, la statua di S. Luigi presso l'ospedale omonimo di Torino (1833: distrutta e sostituita da una copia) o i ritratti dell'Abate A.M. Vassalli-Eandi e dell'Abate G. Beccaria (1830) custoditi all'Accademia delle scienze, insieme con i busti del Conte Giuseppe Angelo Saluzzo (1810) e dell'Abate Carlo Denina (1812) (ibid., I, pp. 210 s.; III, p. 1455). Amedeo immortalò i volti degli uomini più importanti del suo tempo in una serie di medaglioni in gesso, oggi al Museo civico di arte antica di Torino: da Napoleone a Massimiliano Giuseppe di Baviera, da Vittorio Emanuele I a Carlo Felice; dal maestro Antonio Canova, al pittore Lorenzo Pécheux e agli scultori Spalla e Comolli, Ignazio e Filippo Collino (ibid., I, pp. 215-217; II, p. 563). Tra le medaglie si ricordano in particolare quelle, tutte del Museo civico di Torino (ibid., III, pp. 969, 972, 974), per il ritorno dei Savoia (1814), l'altra per le nozze della principessa Maria Teresa di Savoia con Carlo Ludovico di Borbone (1820), quella per il restauro dell'Accademia di belle arti (1823) e infine la medaglia coniata per essere collocata sotto la pietra fondamentale del nuovo alveo dell'Isère (1824). Ancora opera di Amedeo sono il gesso raffigurante l'Autoritratto con la famiglia (Torino, Galleria d'arte moderna, 1836: ibid., II, p. 580) da cui fu tratto un esemplare in marmo attualmente non rintracciabile; e il medaglione con i profili affiancati del fratello Filippo e della consorte Matilde Miglioretti (Pino Torinese, proprietà Miglioretti, 1844: ibid.).
Nominato ufficiale dei Ss. Maurizio e Lazzaro il 1° genn. 1862, morì a Torino il 10 ott. 1864 e fu sepolto nel cimitero monumentale (Assandria, pp. 263 s.).
Fonti e Bibl.: G. Assandria, Una famiglia torinese di artisti. I L., in Atti della Società piemontese di archeologia e belle arti, VII (1916), pp. 209-274; A.S. Fava, Monete e medaglie, in Mostra del barocco piemontese (catal.), a cura di V. Viale, II, Torino 1963, pp. 7, 36-38; A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L'arte piemontese dal XVI al XVIII secolo, II, Torino 1966, pp. 610-623 (con bibl.); L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte dal secolo XVII al secolo XIX, Torino 1973, pp. 127, 197 s.; D. Pescarmona, Giacomo Spalla: i due monumenti equestri a Vittorio Emanuele I e i suoi rapporti con Ferdinando Bonsignore ed Amedeo L., in Bollettino d'arte, LXI (1976), pp. 45-52; Cultura figurativa e architettonica negli Stati del re di Sardegna 1773-1861 (catal.), a cura di E. Castelnuovo - M. Rosci, Torino 1980, I, pp. 154 s., 157, 210-217; II, pp. 563-565, 580; III, pp. 944-974, 1013, 1455 s.; L. Gallamini, Una rara medaglia di Pio VII, in Medaglia, XI (1983), 18, pp. 114-117; V. Natale, in Galleria civica di arte moderna e contemporanea. Torino. L'Ottocento. Catalogo delle opere esposte, a cura di R. Maggio Serra, Torino 1993, pp. 41, 70, 412 (con bibl.); Uomini libri medaglieri. Dalla Storia metallica di casa Savoia alle raccolte numismatiche torinesi, in Bollettino di numismatica, XII (1995), 24, pp. 20 s., 33 s., 36-41, 45-51; 1797. Bonaparte a Verona, a cura di G.P. Marchi - P. Marini (catal., Verona), Venezia 1997, pp. 277-280; S. Pennestrì, Il medagliere di casa Giulio e la storia di Torino tra Ancien Régime e Regno d'Italia, in Studi piemontesi, XXVII (1998), 2, pp. 395, 398-400, 406 s.; Id., Lux Veritatis, Tenebra Incertitudinis: le due medaglie della Reale Accademia delle scienze di Torino e l'uso allegorico antico ed esoterico nel Settecento, ibid., XXVIII (1999), 2, pp. 405-417; M. Popoff, Histoire métallique de la Maison de Savoie. Célébration d'un lignage et ascension d'une dinastie (catal.), Paris 2001, p. 3; L. Forrer, Biographical Dictionary of medaillists…, III, pp. 347-350; VII, pp. 538 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 480; The Dictionary of art, XVIII, pp. 885 s.