FLORIO, Lavinia
Nacque a Udine il 13 sett. 1752 dal conte Daniele, noto poeta friulano, e da Vittoria dei conti di Valvason-Maniago Arcoloniani, dama di notevole cultura e spiritualità. Il padre aveva sostenuto perfino in versi il dovere dei genitori di occuparsi personalmente dell'educazione dei figli, onde la F. ricevette in casa una formazione assai accurata e completa, che andava dai classici greci e latini al Canzoniere del Petrarca (che sapeva a memoria) e alle opere letterarie contemporanee (specie del Metastasio, amico personale di Daniele), dalla storia politica a quella naturale, dalla Bibbia alla teologia.
Nell'avito palazzo di Udine esisteva un'importante biblioteca, ricca anche di codici rari, raccolta da lui e dal fratello canonico Francesco, anch'egli dotto letterato. La famiglia passava gran parte dell'anno nella bella villa di Persereano, il "genial soggiorno dalle pampinose vigne e dai porniferi autunni", dove era stato ospitato C. Goldoni e dove conveniva la società friulana più illustre per nascita e per cultura. Fu dunque in quel contesto che la F. (specialmente dopo la morte della madre nel 1763, per cui dovette fungere ancora bambina da padrona di casa) apprese quelle consuetudini di signorile e impeccabile socievolezza che in seguito renderanno tanto rinomato e ambito il suo salotto di Udine.
Nel 1766 ella fu sposata al conte Antonio Dragoni di Lovaria, trasferendosi nel palazzo di quella famiglia, dove con graduale spontaneità cominciò ad aggregarsi intorno a lei un gruppo di persone distinte per cultura letteraria e scientifica, unitamente al fiore della società friulana: fra i primi frequentatori spiccano l'abate G. Greatti, bibliotecario dello Studio di Padova, prolifico poeta e brioso causeur, C. De Rubeis, autore di alcuni saggi filosofici e verseggiatore burlesco, A. Liruti, anch'egli letterato, i fratelli conti Bartolini, i Belgrado, i Valvasone, i Prampero, gli Antonini, insomma la parte più colta della nobiltà.
Anche nella nuova famiglia la F. ebbe il suo rifugio campagnolo, la villeggiatura di Lovaria, dove poté ricreare in qualche modo le arcadiche delizie agresti di Persereano, soddisfacendo il suo grande amore per la natura; fu forse proprio questa vocazione "contadina" che permise al suo salotto di conservare quella deliziosa aria di semplicità friulana che lo distinse tanto profondamente da quelli internazionali e famosi di altre dame venete, come Giustina Renier Michiel, Caterina Dolfin o Isabella Teotochi Albrizi, mantenendo una naturale schiettezza alla quale le notizie delle mode o delle novità letterarie rimbalzate da Venezia o da Padova aggiungevano una certa qual grazia provinciale, filtrate com'erano da una particolare forma d'ironia e da una ben maggiore spiritualità, in un clima che non potrebbe essere più simile a quello evocato da I. Nievo nelle Confessioni.
Assai significativa la collezione di ritratti di uomini illustri che ornavano le stanze della F., dove campeggiavano, tra gli altri, F. Algarotti, G. Washington, Federico II, mentre fu difficilissimo ottenere quello di J.-J. Rousseau, invano a lungo richiesto ai corrispondenti veneziani, perché "fuori moda". Le conversazioni, allietate da libagioni di Picolit e di Refosco, erano di livello elevato, ed i convenuti persone di vasta cultura: si discuteva animatamente delle novità librarie, e i nomi di M. Cesarotti, di S. Gessner, di Voltaire e di Rousseau si mescolavano a quelli di V. Alfieri, V. Monti e G. Parini. La F. aveva letto fra i primi Il mattino e Il mezzogiorno, e ne scriveva con entusiasmo, lontana com'era dal mondo milanese in essi satireggiato. Si discuteva spesso anche di scienze, specialmente di newtonismo, sulla scorta dell'opera dell'Algarottì indirizzata alle dame, e di enologia, essendo la contessa fierissima di un certo Refosco di sua produzione, di cui inviava ogni anno donativi agli amici, seguendo un'amabile tradizione friulana.
Certo non era assente la politica, specie quando gli avvenimenti cominciarono a minacciare quel piccolo mondo antico che inizialmente aveva accolto con simpatia molte delle nuove idee e l'enciclopedismo. Attraverso i carteggi della F. è possibile seguire l'evoluzione degli atteggiamenti sempre più preoccupati di quella società, nella quale dopo tutto le tradizioni aristocratiche erano profondamente radicate e la fedeltà alla Repubblica veneta indiscutibile. Si leggevano avidamente i "fogli" di Leida e di Lugano o il Corriere di Milano, e soprattutto si commentavano le lettere giunte da Venezia, Padova, Trieste. Tra gli amici il Greatti e il De Rubeis aderirono al nuovo regime, raggiungendo anche posizioni di rilievo; avevano naturalmente assunto il nuovo linguaggio, ma non osavano servirsene con la F., ed il De Rubeis, segretario generale della Municipalità di Padova, arrivo a scriverle con nostalgia: "Siora contessa parona, contessémose un poco fra noi altri!". Il 28 marzo 1797, quando già i Francesi erano in Udine, ella scrisse al Greatti una lettera che rivela il suo equilibrio, la sua assenza di animosità e la sua intelligenza: "... possano i presenti cangiamenti essere meno infelici di tutti i passati, ... possa una forza superiore ispirare nel cuore dei popoli le virtù necessarie alla forse troppo perfetta teoria del nuovo governo..., possa il linguaggio così detto democratico non essere una bigotteria politica ed un'impostura, ... possa l'Italia, che par prenda per generoso dono la più astuta tattica, rendersi rispettabile un giorno a quei vincitori che ora la deridono ...".
Quando il 23 giugno 1797 il generale J.B. Bernadotte, entrato in Udine, vi istituì un governo municipale centrale per reggere la provincia, che subito proclamò l'abolizione dei titoli nobiliari e la soppressione delle giurisdizioni feudali, la F. lasciò il suo palazzo di città con la figlia Teresa, e si ritirò nella villa di Lovaria, da dove seguì con ansiosa partecipazione tutte le fasi della trattativa fra gli Austriaci e Napoleone (che aveva luogo nella vicina villa Manin di Passariano), attraverso un fitto scambio di corrispondenze che e di grande interesse. La cessione del Veneto all'Austria, sancita dal trattato detto di Campoformido cadde inaspettata sulla società friulana, abituata da secoli a considerarsi la sentinella avanzata dello Stato veneziano, anche se la nobiltà accettò ben presto e di buon grado le nuove istituzioni.
Fin dal 1781 il Greatti, grande ammiratore di entrambi, aveva voluto mettere la F. in contatto con M. Cesarotti, che aveva manifestato il desiderio di intrattenere con lei una corrispondenza: dopo un'iniziale esitazione dovuta al suo naturale riserbo, la F. aveva aderito all'iniziativa, onde s'instaurò un carteggio prolungato su argomenti per lo più di letteratura che continuerà fino alla morte di lui. Nel 1808 ella fornì all'abate G. Barbieri, che raccoglieva l'epistolario cesarottiano, le lettere in suo possesso, poi pubblicate nell'edizione di Pisa, 1800-1813, delle opere complete di quello.
Nel periodo compreso tra il 1797 e il 1805 la corrispondenza della F. con gli amici letterati diviene molto meno frequente, intensificandosi invece quella con le figlie sposate (Teresa al conte G.B. Bartolini, e Giulia al conte Eusebio Caimo), tutta pervasa di teneri affetti familiari, e quella con le altre due, monache a S. Chiara (Agostina, badessa, e Teresa Margherita, al secolo Leonora) di elevata spiritualità. Il 1° maggio 1804 le morì il marito, e la perdita fu amarissima.
Tale avvenimento risultò anche occasione di un grosso equivoco letterario, che avvicinò senza alcun motivo il nome della F. a quello di U. Foscolo. L'abate Greatti le aveva indirizzato un poema di condoglianze, l'Epistola a Temira, Udine 1805, che fu recensito e lodato dal Giornale di Padova del febbraio 1805: Temira, nome arcadico di Fortunata Sulgher Fantastici, era venuto di moda fra gli eleganti colti, ed anche il Foscolo lo aveva adoperato per alludere alla Teotochi Albrizzi, onde si ritenne che il poema adespoto fosse opera del Foscolo.
Quando alla fine del 1805, con la pace di Presburgo, il Friuli venne a far parte del Regno Italico, l'atteggiamento della F. nei riguardi del nuovo regime fu di piena consonanza: ella fu in corrispondenza e in amicizia con alti personaggi della corte del viceré Eugenio, accordò la sua "protezione mondana" al prefetto del Dipartimento T. Somenzan, e quando il generale A. Marmont, futuro duca di Ragusa, nel marzo 1806 stabilì a Udine il suo quartier generale, ella lo ospitò a palazzo Dragoni e rimase in corrispondenza con lui dopo la sua partenza.
In quel periodo il salotto aveva ripreso con nuovo slancio la sua attività, frequentato da ospiti francesi e da funzionari governativi, mentre al posto del Greatti assente s'imponeva un nuovo astro, l'abate Q. Viviani, raccomandato dal Cesarotti, il quale per compiacerla il 19 ag. 1809, alla chiusura dell'anno scolastico dei liceo, pronunciò un Elogio di Daniele Florio udinese, che sarà poi pubblicato (Udine 1812).
Gli eventi bellici che nel 1809 riportarono gli Austriaci a Udine furono vissuti con distacco dalla F., la quale sempre più si rifugiava a contatto della natura nella villa di Lovaria. Nel 1812 cadde malata, e morì a Udine dopo breve infermità la sera del 13 settembre.
Pur avendo molto scritto per tutta la vita (oltre alle innumerevoli lettere esistono manoscritti suoi a commento di gran parte delle sue letture), ella diede alle stampe una sola cosa, che però merita di essere ricordata per la sua singolarità e per la curiosità suscitate. Nel 1806 da Trieste F.-R. de Chateaubriand aveva scritto ad un amico: "Cette Venise, si je ne me trompe, vous déplairait autant qu'à moi. C'est une ville contre nature"; tale dichiarazione fu pubblicata sul Mercure de France, XXV (1806), pp. 260-267, provocando vivacissime reazioni da parte di due dame venete, la contessa G. Renier Michiel e la marchesa O. Romagnoli Sacrati, con due pubblicazioni che ebbero un momento di celebrità e larga diffusione. Fu però stampata anche una terza confutazione, anonima, che solo una lettera del Cesarotti alla F. (s.l., s.d., in Opere dell'abate Melchior Cesarotti padovano, XXXIX, Pisa 1813, p. 55) rivela essere opera della F.: si tratta di un delizioso pamphlet in versi, A Mr.Chateaubriand. Sur ce qu'il a dit de Venise dans sa lettre imprimée..., di gran lunga il più garbato, ironico e piacevole dei tre, che rivela, nel suo francese impeccabile, un estro davvero notevole; è un opuscolo di 8 pagine in 8° pubblicato a Venezia s.d., presso F. Andreola, talmente raro che l'unico esemplare noto fu individuato (E. Malakis) nel 1935 nel British Museum di Londra (11840.i.44-4).
Fonti e Bibl.: La copiosa corrispondenza della F., appartenente all'archivio Caimo Dragoni, già affidato alla Bibl. com. V. Joppi di Udine, si trova ora depositata presso l'Arch. di Stato di quella città, come pure l'arch. Florio. Inoltre, una ricca documentazione che la concerne esiste nell'arch. della villa Florio (oggi Màseri) a Persereano di Pavia di Udine. Udine, Bibl. com. V. Joppi, Diario ms. del conte C. Caimo, passim (spec. t. VII, p. 208): mss. 80.13, 220, 279 f. 219v; 285 f. 127v; Q. Viviani, Versi in memoria della desideratissima donna L. F. Dragoni, Udine 1813 (cfr. Giorn. dell'ital. letter., XXXVIII, Padova 1814, pp. 117-120); G. Valentinelli, Bibliogr. del Friuli, Venezia 1961, pp. 244, 347, 413; G. Chiarini, Gli amori di Ugo Foscolo nelle sue lettere, I, Bologna 1892, pp. 158 s., 549 s.; Pagine friulane, 30 marzo 1902, p. 36 (scritto della F. pubblicato postumo, sulla traslazione delle suore dal soppresso convento francescano a quello di S. Chiara 25 sett. 1806); E. Barzilai Gentili, Salotti letterari, in Nuova Antologia, 1°ott. 1927, pp. 370-384; V. Della Torre, Il salotto della contessa L. Dragoni F., in Mem. stor. forogiuliesi, XXVII-XXIX (1931-33), pp. 1-54; E. Malakis, Another feminine answer to Chateaubriand's slighting remarks made about Venice in 1806, in Modern language notes, aprile 1935, pp. 243-248 (alle pagine 246 ss. è riportato per intero il poemetto della F.); I. Reale, Ritratto di un mecenate: Antonio Bartolini, in Ricerche di storia dell'arte, 1989, n. 37, pp. 65, 70 n. 9.