DIAZ, Lav (propr. Lavrente Indico)
Regista cinematografico filippino, nato a Datu Paglas il 30 dicembre1958. È una figura esemplare nel cinema del nuovo millennio per la radicalità del suo stile, per la capacità di coinvolgere il pubblico in un’esperienza filmica inusuale in quanto a durate (che raggiungono le dodici ore) e uso della macchina da presa (con un continuum di sequenze che rinunciano al montaggio), per la lucidità politica delle sue ‘parabole’, insieme immerse nel paesaggio e nella storia sociale delle Filippine e astratte in un’universalità quasi filosofica che diventa visionaria, nonché per l’insolito intreccio affabulatorio di luoghi e personaggi intrisi di umanità e mistero.
Nei film dei primi anni Duemila il cinema di D. è venuto dipanandosi e precisandosi in una forma inconfondibile e innovativa: piani-sequenza ‘fluviali’, lunghissimi silenzi, una luce a volte rarefatta a volte raggrumata in un bianco e nero materico e allucinato. Batang west side (2001) ha l’andamento di un’indagine poliziesca che va alla deriva nel tempo, tra documentarismo e trasfigurazione, dove emerge la condizione di un’intera comunità di inurbati in preda a oscure ossessioni. La visione allucinata della bruta e sinistra atmosfera del regime di Ferdinand Marcos, tema ricorrente in D., assume una connotazione militante in Hesus, rebolusyunaryo (2002, Hesus il rivoluzionario) e in una saga politica, con le cadenze epiche che raccontano le vicende di una famiglia, come Ebolusyon ng isang pamilyang Pilipino (2004, L’evoluzione di una famiglia filippina), dove la lotta per la sopravvivenza e la libertà assume tratti visionari. Ha fatto seguito un dittico composto da Heremias, Unang aklat - Angalamat ng prinsesang bayawak (2006, Heremias, Libro Uno -La leggenda della principessa lucertola) e Kagadanan sabanwaan ning mga engkanto (2007, Morte nella terra degli incanti), dove, nel primo, irrompono la forza e la furia della natura che si intersecano come una metaforica bufera con le avventure di un venditore ambulante e con l’esodo di tipo biblico di tutta una collettività, e, nel secondo (premio Orizzonti alla Mostra del cinema di Venezia), D. disegna tratti apocalittici, filmando tanto la natura lussureggiante travolta da un immane tifone, quanto i sentimenti di un poeta esule che torna in patria, dopo un lungo peregrinare.
I film di D. si dipanano in estenuanti temporalità, in intricati affastellamenti di vicende e di spazi, con accensioni pittoriche e tratti metalinguistici, e in essi si fa evidente una riflessione sulla condizione umana strettamente connessa con quella dell’artista e con la responsabilità di colui che filma, che fa cinema. Così accade sia in Melancholia (2008), anch’esso premiato nella sezione Orizzonti a Venezia, nel quale una sorta di terapia segna il destino di tre personaggi, il loro lento riconoscersi in un destino comune proprio nel momento in cui si perdono e si trasfigurano, sotto l’occhio implacabile della macchina da presa; sia in Siglo ng pagluluwal (2011, Centenario della nascita), dove l’interrogativo filosofico diventa preminente, in una specie di heideggeriana visione dell’‘esserci’ in cui l’addensarsi del tempo coincide, in forma autobiografica, con il ‘farsi’ dell’opera stessa, e, in forma di ‘ipnosi collettiva’, con il misticismo ambiguo degli adepti della setta di un santone e gli stati progressivi di alterazione sensoriale nella quale si immergono. Sempre nel 2011 D. ha girato un film di ‘sole’ due ore, rispetto alle sue durate usuali, Babae ng hangin (2011, Donna nel vento), in cui traccia un ritratto femminile che unisce carnalità e spiritualità. Così come una figura indimenticabile di donna, preda di una malattia degenerativa e martirizzata dal padre, è al centro di Florentina Hubaldo, CTE (2012), che trasfonde lo strazio di un’anima e di un corpo nel sogno a occhi aperti di sapore favolistico della ricerca di un tesoro nascosto e della presenza fantasmatica di mitici ‘giganti’. Un’indagine sul senso del crimine torna in Norte, hang ganan ng kasay sayan (2013, noto con il titolo Norte, the end of history), premio Un certain regard al Festival di Cannes, che segue tre personaggi faccia a faccia con il ‘male’ che si alligna tra le pieghe della Storia. La meditazione sul male della storia e la radiografia del potere sanguinario di Marcos ricorrono in Mula sa kung ano ang noon (2014, noto con il titolo From what is before), film labirintico avvolto da un mistero impenetrabile e insieme lucida metafora politica.