LAURI, Lauro
Figlio del conte Camillo e di Teresa Ugolini dei marchesi di Colbuccaro, nacque a Macerata il 26 ott. 1808 (Arch. di Stato di Macerata, Prefettura del Dipartimento del Musone. Stato civile, 1808-1814, vol. 43, p. 14, n. 191), e fu battezzato il giorno seguente nella parrocchia del Ss. Salvatore. La vita del L., come quella del fratello Tommaso nato nel 1818, futuro senatore del Regno d'Italia, si svolse sotto l'egida dello zio paterno Giovanni.
Giovanni nacque a Sanseverino Marche (Macerata) il 28 ott. 1760 e morì a Grottammare (Ascoli Piceno), il 2 marzo 1847. Convinto giacobino, all'arrivo dei Francesi nel 1797 fu nominato presidente della Municipalità di Macerata, carica in cui fu confermato nel 1798 dopo il fallimento della reazione. Partigiano sincero del processo di democratizzazione dello Stato, nel 1808 fu per pochi mesi podestà di Macerata. Restaurato il potere papale, si stabilì a Firenze; rientrò in patria con la rivoluzione del 1831 che lo vide per breve tempo membro del governo provvisorio di Macerata e deputato. Fu anche tragediografo (Fedra, Firenze 1820) e studioso di matematica.
Giovanni, solo e senza discendenza diretta, prese con sé il L. e lo indirizzò negli studi, seguiti dapprima a Firenze, sotto la guida di mons. G. Ridolfi, e poi a Parma, dove si trasferì nel 1822; infine giunse al regio collegio di Lucca, dove completò la propria istruzione superiore umanistica. Una volta tornato a Macerata, lo zio lo designò suo erede e ne scelse la futura moglie nella persona di Lucrezia De Vico-Ubaldini, nata a Civitanova Marche il 7 ag. 1811, figlia del conte Ascanio e di Amalia Archinto, nobile milanese.
Dall'unione, celebrata nel 1829, nacquero tre figli: Giovanni (7 apr. 1833) e Teresa (7 genn. 1839); la terza figlia, Angioletta, morì giovanissima a Roma nel dicembre 1847 e il L. le dedicò eleganti versi pervasi di struggente dolore (il carme, inedito, in Giannini, pp. 11 s.).
Sollevato da problemi economici grazie allo zio, il L. si dedicò agli studi di fisica e chimica nell'ateneo di Macerata, dove nel 1838 conseguì la laurea in discipline filosofiche. Già nel 1840 il vescovo F. Ansaldo-Teloni, cancelliere dell'Università, lo chiamò a insegnare dapprima chimica e successivamente fisica nello stesso ateneo, come supplente del professor G. Montecchiari, di cui il L. era stato allievo. Nel 1842, alla scomparsa di Montecchiari, il L. divenne professore ordinario e fu accolto nel Collegio filosofico dell'Università; dal 15 al 30 sett. 1843 partecipò al V congresso degli scienziati italiani a Lucca.
Nel frattempo il L. si cimentò anche nelle lettere: compose un'ode in occasione del matrimonio dell'amico P. Azzolino (Per la letizia delle ben augurate nozze del marchese Pompeo Azzolino con la marchesa Emilia Rinuccini, Macerata 1836) e un saggio sulla poesia (Pensieri intorno all'indole ed alle vicende della poesia, Roma 1838). Carattere scientifico ebbe invece lo scritto Sulla elettricità che si sviluppa nell'urto di una vena fluida di mercurio contro dei corpi coibenti. Lettera del professore L. Lauri al professore barone Filippo Narducci (in Nuovi Annali delle scienze naturali [Bologna], 1844, luglio-agosto, pp. 1-14). Nell'ambiente letterario il L. riscosse un certo credito come autore di un'opera di poesia didascalica, La luce, carme in due canti di cui il primo fu pubblicato il 27 luglio 1844 a Macerata e il secondo comparve a Firenze nel 1855, per i tipi di Le Monnier; il L. fu membro dell'Accademia dei Catenati di Macerata.
Nel 1847, morto lo zio Giovanni, il L. ne ereditò il patrimonio e per meglio seguirne l'amministrazione rinunciò alla cattedra universitaria, prendendo però a occuparsi di politica. Di tendenze liberali moderate, dopo brevi ma apprezzate esperienze di amministratore municipale e provinciale, si trasferì a Roma perché nominato da Pio IX membro della Consulta di Stato, insediatasi a Roma il 15 nov. 1847, ma rinunciò alla carica allorché, nel marzo successivo, fu eletto al Consiglio dei deputati.
Il 6 ag. 1848 il L. entrò a far parte del governo guidato da Edoardo Fabbri, succeduto dal 2 agosto al dimissionario Terenzio Mamiani, e assunse il dicastero delle Finanze. Secondo Luigi C. Farini fu, nel suo incarico, "uomo di specchiata rettitudine, di temperate opinioni liberali, cultore delle scienze naturali più che delle economiche" (pp. 373 s.). Un simile giudizio, di lode all'uomo ma di implicito riconoscimento dei suoi limiti in politica, si poteva d'altronde estendere a tutto il governo Fabbri che, peraltro, era solo un governo di transizione, in attesa che si creassero condizioni politiche tali da permettere a Pio IX di assegnare il mandato a Pellegrino Rossi; a tale proposito Farini aggiungeva: "Il Ministero costituito d'uomini non usi al governo, […] era destituito d'autorità" e il L. "smarriva l'animo in mezzo a tante strettezze, a tanta confusione" (ibid., pp. 382 e 388).
Furono in ogni caso pochi gli atti compiuti dal governo nel breve lasso di tempo - sei settimane - in cui rimase in carica; in particolare, a opera del L. si ricordano un'ordinanza del 7 sett. 1848 sull'affrancazione dei canoni, con la quale si accordava una proroga di sei mesi, e l'emissione, il 12 settembre, delle serie di nuovi buoni del tesoro da scudi 50, 10, 5, 2, 1 per un totale di 250.000 scudi fruttiferi, con l'impegno di una prossima coniazione di monete da 1 e 2 baiocchi, per meglio sopperire alle esigenze delle minute contrattazioni.
Tuttavia, a seguito di una situazione politica sempre più difficile, a fronte della quale aveva svolto un'azione poco incisiva, il 16 settembre il governo si dimise e il L., considerando conclusa la parentesi politica romana, fece ritorno a Macerata. Qui riprese a seguire l'amministrazione del proprio patrimonio, di cui si avvalse per compiere anche opere filantropiche, e dal 1849 al 1854 tenne la presidenza della locale Cassa di risparmio di cui, il 19 giugno 1846, era stato uno dei fondatori.
Il L. morì a Macerata il 7 sett. 1855 e fu sepolto nel vicino comune di Monte Milone (oggi Pollenza), nella chiesa di S. Lucia in Sylvis di cui i Lauri erano patroni (Macerata, Arch. stor. diocesano, Atti parrocchiali di S. Giuliano, vol. O: Mortuorum ab anno 1849 usque ad annum 1871, p. 156). Il figlio Giovanni gli dedicò un busto con una lunga iscrizione encomiastica in latino, tuttora nell'atrio dell'Università di Macerata.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Macerata, Comune, 1051: P. Pagnanelli, Biografie degli uomini illustri di Macerata, pp. 118-120; Macerata, Biblioteca Mozzi-Borgetti, Mss., 1103: A. Ricci, L. L. (maggio 1959); D. Pantaleoni, Idillio di Gessner per le nozze di L. L., Macerata 1829; I. Cantù, L'Italia scientifica contemporanea: notizie sugli italiani ascritti ai cinque primi congressi, attinte alle fonti più autentiche…, Milano 1844, p. 267; C. Santini, Elogio funebre del conte L. L., Macerata 1856; L.C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850, a cura di A. Patuelli, Roma 1991, pp. 373 s., 382 s., 388; V. Giannini, Biografia del conte L. L. di Macerata, Lucca 1860; G. Spada, Storia della rivoluzione di Roma e della restaurazione del governo pontificio dal 1° giugno 1846 al 15 luglio 1849, Firenze 1868-69, I, pp. 393 s., 396; II, pp. 463 s.; Le Assemblee del Risorgimento, Roma 1911, Roma, I, pp. 584 ss., 716; Roma, II, pp. 476-480, 484 s.; G. Natali, introd. a L. Mascheroni, L'invito a Lesbia Cidonia e altre poesie, Torino 1918, p. XXXII; D. Spadoni, in Diz. del Risorgimento nazionale, III, Milano 1933, pp. 346 s. (v. anche Lauri Giovanni); alcuni cenni al L., in Studi maceratesi, XV (1982), p. 72; XXV (1991), pp. 397, 576; XXIX (1995), p. 527; V. Brocco, Diz. bio-bibliografico dei maceratesi illustri, in Storia di Macerata, a cura di A. Adversi - D. Cecchi - L. Paci, II, Macerata 1972, p. 203.
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