VENTURA, Lattanzio
– Nacque a Urbino in pieno Cinquecento da Ventura e da tale Giulia, morta nel 1584 nominandolo unico erede (Lattanzio elesse procuratore il nipote Flaminio Serafini di Sogliano; Coltrinari, 2016a, anno 1584, n. 132).
Ritenuto «buon intagliatore di pietre» (Lazzari, 1801), «mastro Latanzio di ser Ventura da Urbino», presente a Piobbico a un atto del 14 settembre 1573 (Bischi, 1996, p. 146; incerta la trascrizione dei due discordi appellativi, il secondo dei quali da notaio), partecipò all’ammodernamento del castello Brancaleoni: suo possibile esordio da architetto. Essendo protettore della Santa Casa di Loreto il cardinale urbinate Giulio Feltrio Della Rovere (1564-78), Lattanzio fu attratto da quel perenne cantiere lauretano e dalla vivacità della vicina Ancona. Nel 1578 s’impegnò nella città portuale con Nicola Todini a dotare la cappella del Crocifisso in S. Francesco alle Scale di due nicchie per statue di stucco dei ss. Francesco e Antonio (Mastrosanti, 2011, p. 170). Nel 1581 «messer Lattantio da Urbino architetto» era forse coadiutore a Loreto di Battista Ghioldi da Como, quando fu interpellato il 29 marzo per una loggia da erigere in piazza a Macerata, promotore il cardinale legato Alessandro Sforza (per il «disegno», vitto e altro ebbe 26 scudi l’11 luglio; Fabriczy, 1905, p. 45, la equivocò con la sopraelevazione della loggia dei Mercanti maceratese). Appaltato alla fine del 1583 (Paci, 1971, pp. 83 s.), l’edificio, di asciutto classicismo, richiese una revisione del progetto, pagata il 29 aprile 1584 insieme al tracciamento della «strada di Santa Maria della Fonte» (Coltrinari, 2016a, anno 1584, n. 44).
Subentrato il 19 settembre 1582 al defunto Ghioldi (L’ornamento marmoreo..., 1999, p. 133) come architetto della Santa Casa, Ventura realizzò la facciata in pietra d’Istria della collegiata, promossa da Sisto V nel 1586 a cattedrale (e Loreto a città), la lanterna della cupola e varie cappelle, lavorò al palazzo apostolico e ne progettò il doppio loggiato occidentale.
Della fronte ideata da Giovanni Boccalini da Carpi fra il 1569 e il 1574 (Coltrinari, 2016a, anno 1569, n. 186; anno 1577, n. 88) toccò a Ventura la gran parte della costruzione (Russo, 2017, p. 59, ipotizza varianti al perduto modello dell’emiliano), scandita dalle iscrizioni con il nome di Gregorio XIII nella trabeazione del primo ordine di pilastri (1583) e con il nome di Sisto V in quella frontonale (1587).
Saggi decorativi risparmiati dai restauri ottocenteschi di Giuseppe Sacconi offrono la cappella dei duchi di Urbino e quella del governatore Vincenzo Casali, ornata fra il febbraio e il maggio del 1583 da cinque stuccatori (Coltrinari, 2016a, anno 1583, n. 39; il monsignore chiese all’architetto rilievi della «Santa Capella per mandarli a Bologna» al fratello senatore Mario: Ead., 2015, p. 556). Pagato Ventura fra l’aprile e il luglio del 1583 dal duca di Urbino «per finir la capella di Loreto» (Eiche, 1982, p. 400), iniziata nel 1568-69, il 2 luglio Federico Zuccari, dovendola affrescare, ragguagliò la corte che «hora mess. Lattantio fa quelli fogliami e stucchi» nell’«arco della volta sopra i pilastri» (Gaye, 1840, p. 458): tale lettera è fonte dell’antinomia tra un Ventura intagliatore dei rilievi marmorei (Russo, 2017, p. 192) – dovuti piuttosto ad anteriori interventi di scalpellini provenienti da Sant’Ippolito (Arcangeli, 1993, p. 344) –, e un Ventura riconosciuto nello stuccatore cui accennò Zuccari (p. 337), che al contrario in una lettera del 13 novembre 1584 definì «m. Latanzio nostro architetto» (Gronau, 1936, p. 216), riferendosi al direttore dei lavori Ventura, che l’anno precedente li «faceva», ossia li curava. Questi difatti diresse équipes di stuccatori, e talora singoli artefici: come Nicolò da Fano, che nel 1586 ornò «con vaghi fiori di stucco» (Briganti, 1589, p. 162) le volte a crociera sulla navata centrale (il 13 novembre 1589 l’architetto assunse un giovane per un triennio a lavorare di stucco per sé e il figlio Ventura; Coltrinari, 2016a, anno 1586, nn. 105 s., e anno 1589, n. 121). La riforma e gli stucchi del cappellone della Provincia accrebbero la nomea del suo «bello et giuditioso ingegno» (Briganti, 1589, pp. 174 s.).
In costruzione nel 1589, la lanterna con otto colonne ioniche, pensata come faro «de’ naviganti» e tenuta fra le più «belle e pretiose cose» di Loreto (pp. 209 s.; Coltrinari, 2016a, anno 1589, nn. 70, 81; due disegni nella collezione reale del castello di Windsor attribuiti da Russo, 2017, p. 28 e figg. 16 s.), fu mutata in brunelleschiana tre secoli dopo dalla sacconiana epurazione stilistica del tempio, secondata dalla svalutazione delle opere di Ventura sentenziata dall’avvocato Pietro Gianuizzi (1885, pp. 227 s., 240).
Lattanzio tarò i conti delle dipinture «del refettorio novo» (Coltrinari, 2016a, anno 1584, n. 46; anno 1585, nn. 106, 114; anno 1586, n. 22); il 27 luglio 1584 ebbe in dono 20 fiorini per avervi «fatta l’arme» di stucco del papa e del cardinale protettore (anno 1584, n. 82). Il figlio Ventura compare il 19 settembre 1586 per dieci fogli d’oro battuto comprati per la doratura dell’arme di Sisto V nel salone del «palazzo nuovo» (anno 1586, n. 88).
Primario referente per la Marca d’Ancona di opere pubbliche ed ecclesiali, nel 1582 Lattanzio diede a Macerata «consigli per il consolidamento della chiesa di S. Giovanni Battista ricostruita intorno al 1581, ed ebbe incarico dai deputati comunali» di sistemare in duomo la «cappella dei Cacciatori» (Paci, 1971, pp. 84 s.); il 6 luglio 1587 considerò il dissesto occorso alla «fabrica» del nuovo palazzo municipale (Coltrinari, 2016a, anno 1587, n. 60).
Negli ultimi mesi del 1582 fu di certo lui, a Macerata, a essere interpellato dalla comunità di Fermo, in difficoltà nell’eseguire all’imbocco del corso sulla piazza l’ingombrante «arco alla triunfale» disegnato dal pittore fermano Girolamo Morale in onore di Gregorio XIII e del governatore Giacomo Boncompagni (incarico già orientato nel 1580 verso l’architetto della Santa Casa); il 24 febbraio 1583 si optò per la sua proposta di un ponte fra il palazzo priorale e il Bargello (loggia aggiunta nel 1676; Marchegiani, 2008, p. 291).
Per la villeggiatura dei governatori lauretani Lattanzio realizzò la scomparsa villa nella tenuta della Santa Casa a San Girolamo (1583-85), sulla via per Recanati (Coltrinari, 2016b, p. 310 e fig. 51). Nel marzo del 1584 fu a Roma dal cardinale protettore Filippo Guastavillani (Ead., 2016a, anno 1584, nn. 32, 49), e in dicembre, dovendo «andare a Spoleto» per imprecisati motivi, fu riconvocato per mostrare «la pianta dello aggrandimento del castello» di Loreto (Grimaldi, 1991, p. 98). Per l’addizione urbana sistina studiata dal 1587 da Domenico Fontana e dal maceratese Pompeo Floriani, nel 1590 appaltò gli sbancamenti dei colli Ciotto e Reale e ne tarò i conti il 1° maggio, sistemando nel giugno del 1592 l’asse stradale (pp. 107-109; Coltrinari, 2016a, anno 1590, n. 9).
Ventura fu nel consiglio civico di Loreto istituito il 26 ottobre 1587 (Grimaldi, 2011, p. 35). Un anno dopo sua figlia Leonora sposò il maiolicaro urbinate Francesco Patanazzi (Negroni, 1998, p. 107). Il precedente 21 aprile aveva acquistato per la Santa Casa dal futuro genero 204 piatti, e altri 400 e 6 catini con brocche il 23 settembre 1589, per la visita a Loreto di Camilla Peretti, sorella del papa (Coltrinari, 2016a, anno 1588, n. 46, e anno 1589, n. 101); nel 1585 comprò in Urbino 2 bacili, 2 bigonce e 2 «tazzoni fatti a grotesca et istoriati» per la villa di San Girolamo (anno 1585, n. 79).
Il ruolo lauretano ne fece un’autorità. Di un perduto disegno di Martino Bassi per la ricostruenda cupola di S. Lorenzo a Milano Amico Ricci (1859, p. 504) lesse «l’approvazione degli architetti Domenico Fontana, Iacopo della Porta, Bartolomeo Ammannato e Lattanzio Ventura», riferibile al quinquennio sistino.
Il 2 giugno 1586 Ventura si impegnò in Ancona con il conte bergamasco Alessandro Camerata a rifare per 300 scudi la cappella di S. Anna e del beato Girolamo in cattedrale (poi del Sacramento, distrutta nel bombardamento del 1915), avvalendosi di «quattro buoni maestri di stucco» (quietanza del 27 aprile 1587; Posti, 1907, pp. 129-132). Il disegno contrattuale, oggi nel Museo civico di Urbania, è creduto un progetto lauretano (Cellini, 1999; Russo, 2017, p. 18), ma alla cappella «in onore di Dio e santi» disposta nel 1583 con testamento dal cavaliere Antonio Camerata (Mastrosanti, 2011, p. 171) rinviano la scala in piedi di Ancona, l’invocazione Deo vero nel fregio e la sottoscrizione dell’architetto e di «Sim[one Rota di Bergamo] procuratore» del conte.
Per la cappella del Sacramento nel duomo di Urbino (1589-1602) si adottò il 3 agosto 1586 una sua seconda idea, più «conveniente» del fastoso progetto dell’urbinate Ludovico Carducci, già scelto dal Consiglio civico, che nell’ottobre del 1584 aveva invitato entrambi a presentare proposte al duca; la volta di stucchi, ridisegnata nel 1589 dagli «architetti e scultori» locali Fabio Viviani e Marcello Sparzio, ridusse ancor di più la spesa (Negroni, 1993, pp. 98 s.). Non fu però Ventura a disegnare il ciborio.
Il 31 dicembre 1590 «ms. Latantio scarpelino fratello di ms. Francesco Papio» ebbe 10 fiorini «per haver fatto il disegnio del tabernacolo et per essere andato a Pesaro» a esibirlo al duca (p. 104). Non citando fonti, Franco Negroni sostiene che «si tratta proprio di Lattanzio Ventura, giacché Francesco Papi [...] portava quel cognome in quanto accolto diciottenne come figlio da ms. Bartolomeo Papi, ereditandone il cognome e le sostanze». Ma l’«architetto di Loreto» non può essere il lapicida, discendente, a quanto sembra, da Francesco di Bartolomeo Santi «alias Papa», locale scalpellino del secondo Quattrocento (Scatassa, 1905, pp. 194 s.). Lo «scarpelino» citato da Negroni nella sua difficile connessione è più probabilmente il «m.ro Lattantio scarpellino» che fece battezzare la figlia Lelia il 10 aprile 1576 (p. 196).
A Lattanzio va riferita a Sant’Elpidio a Mare la chiesa della Misericordia, ben più tarda del perduto «disegno» di progetto fornito dall’«architetto de Loreto» Boccalini nel 1575 (Curzi, 1992, pp. 173 s.): aula aperta al culto nel 1587, con tribuna di tono venturiano e fine facciata laterizia lumeggiata in pietra istriana. Allo scadere del decennio Lattanzio realizzò in Osimo la chiesa della Trinità per il cardinale Antonio Maria Gallo, protettore della Santa Casa (Coltrinari, 2016a, anno 1589, n. 34), e a Jesi il palazzo priorale (progettato nel 1586 circa; Cavalcoli, 1991, p. 166). Per la sede civica di Fermo disegnò il «monumento a Sisto V» (Mastrosanti, 2011, p. 172): scala doppia con loggia per il simulacro bronzeo papale, eseguita nel 1589 dal lapicida veneziano Giacomo di Stefano. A Grottammare eresse la collegiata sistina di S. Lucia, mutando un progetto di Domenico Fontana: affine a quella elpidiense per più aspetti, la facciata rettangolare tripartita da fasce differì da quella nella medaglia di fondazione (1590), propria di un’aula a cappelle, e un ottagono «padiglione [...] in luogo della cuppola» coronò la croce greca inscritta, ridefinita nel 1591 (Piacentini - Curcio, 1989, pp. 48-50).
Nelle critiche contingenze postsistine, il 1592 segnò una svolta nella carriera di Ventura. I canonici della cattedrale di Ascoli, demolita una pericolante torre delle due di facciata, pagarono il 28 febbraio 12 scudi «a messer Lattanzio» per un sopralluogo e «il disegno» della nuova, cui il vescovo cardinale Girolamo Berneri non diede seguito (Luzi, 1894, p. 43). In Ancona lo scalpellino Giacomo Bando da Venezia riconobbe Ventura come creditore di 30 scudi per «modelli e disegni» per il palazzo del cavaliere Tommaso Tommasi (poi Nembrini; Mastrosanti, 2011, p. 172). Nominato il 29 ottobre dal duca di Parma e Piacenza Ranuccio I commissario della condotta delle acque del Trebbia (Poli, 2004, pp. 167 s.), l’architetto mantenne il ruolo lauretano con mensile dimezzato a 7 fiorini e mezzo (Russo, 2017, p. 199).
Gli si attribuisce un progetto per il palazzo Farnese a Piacenza (Mambriani, 2003, pp. 375-377 e fig. a p. 375), comprendente una sintetista cappella ottagona costruita fra il 1597 e il 1602 (Russo, 2017, p. 195), forse derivato dallo «schizzo» annunciato al duca il 26 febbraio 1593 e da questi chiesto in visione il 2 marzo (p. 200). Per tale riforma del complesso della Cittadella piacentina, già intrapresa dal Vignola, il 15 ottobre 1594 il «sig. Lattanzio Ventura Papio ingegnero di detta fabbrica» ebbe 150 lire imperiali per il trimestre precedente e altre 300 semestrali l’8 marzo 1595 (al «sig. Lattanzio Ventura Papio architetto»; Archivio di Stato di Parma, Tesoreria e Computisteria Farnesiana e Borbonica, reg. 580, Giornale della fabbrica della Cittadella di Piacenza, II, 1594-98, cc. 4v, 9r; comunicazione di Carlo Mambriani allo scrivente): ciò ha indotto Mambriani a riconoscere Ventura nell’oscuro «ingegnere Papio» o Lattanzio Papi ricorrente nei registri contabili, cui Bruno Adorni (1982, pp. 239-242) attribuì il progetto. Si è poi supposto Ventura fratello di un Francesco Papio consigliere del padre di Ranuccio (Russo, 2017, p. 194) in virtù dell’erronea assimilazione tra l’architetto e il citato scalpellino urbinate (Negroni, 1993, p. 104). Il sospetto lapsus del computista associante i due cognomi, mai altrimenti rilevati nelle fonti venturiane, invita a verificare meglio la documentazione di incarichi ducali come l’imprecisata «riparatione del Piacentino e del Parmigiano» affidata nel settembre del 1594 all’«ingegnere Papio» e l’«aggionta del sig.r Papio» alla pianta della chiesa parmense della Steccata, sottoposta a Farnese il 28 febbraio 1595 (Russo, 2017, pp. 200 s.): pur avendo Ventura lasciato fama di aver servito il «duca di Parma in molte fabbriche» (Buccolini, 1789, p. 21).
Colto da «opilatione di milza» nei primi mesi del 1595, Lattanzio tornò con moglie e figlio a Loreto; il 3 aprile rassicurò il duca di Parma di aver lasciato un «sostituto all’ufficio delle acque [...], et alla fabrica ordinato quanto si deve», contando di tornare presto ristabilito (Russo, 2017, p. 202).
Morto di lì a poco, in giugno «Ventura figliolo del già commessario Lattanzio» consegnò a Piacenza «libri, scritture et disegni pertinenti all’ufficio» paterno (rilevandosi crediti per 520 lire); recò inoltre al duca a Parma «gli altri dissegni fatti da suo padre per la fabrica della Cittadella» (ibid.).
Durante il soggiorno padano del padre, il giovane operò in sua vece a Loreto. Il 1° luglio 1593 gli furono pagati lavori in una proprietà osimana della Santa Casa (pp. 199 s.). Fu verosimilmente lui l’«architetto della Madonna» recatosi nel 1593 (23 gennaio e 28 maggio) e nel 1594 (5 giugno) alla fabbrica della chiesa di S. Lucia a Grottammare, dovendosi erigere la pseudocupola (Piacentini - Curcio, 1989, pp. 50 s.). Il 10 ottobre 1596 s’impegnò a progettare la cappella del Sacramento nel duomo anconitano (Posti, 1907, p. 131, la ritiene inattuata). Raccomandato nel 1596 dal duca di Urbino al cardinale Gallo (Gronau, 1936, p. 216), fu architetto ufficiale della Santa Casa dal 1° luglio 1598 al 30 aprile 1602 (L’ornamento marmoreo, 1999, p. 133), probabile anno della morte. Stilò il capitolato dei lavori lapidei del braccio di ponente del palazzo apostolico (Grimaldi, 1991, p. 109) e fondò nel 1600 la sacrestia nuova, progettandone i «lavoreri di stucco» (p. 62). Occupatosi della chiesa di pellegrinaggio della Madonna dell’Ambro presso Montefortino, iniziò dalla tribuna, costruita entro l’ottobre del 1602, a sette anni dall’avvio dell’opera (Cicconi, 1910, p. 28).
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