MAINARDI, Lattanzio
Nacque a Bologna probabilmente nel 1563, stando a Baglione (1642, I, pp. 38 s.), che ne colloca la morte alla fine del pontificato di Sisto V, intorno al 1590, all'età di ventisette anni. Dopo aver frequentato a Bologna l'Accademia dei Carracci, secondo quanto riferiscono sia Mancini sia Baglione, il M. si trasferì a Perugia, dove le guide locali registrano la presenza di alcune sue opere. Una di queste, lo Sposalizio della Vergine, da identificarsi probabilmente con la tela oggi conservata nella collezione Cellini a Roma, sembra potersi datare al 1585 (Crispolti, pp. 167 s.).
La ricostruzione dell'attività umbra del M., di cui Baglione, suo unico biografo, non parla, attende ancora di essere ricostruita dalla critica; non è quindi facile stabilire la provenienza del dipinto della collezione Cellini. Crispolti, nella sua guida della città di Perugia (1597) rimasta manoscritta fino al 2001, segnalava in S. Maria degl'Aratri (chiesa demolita nel 1873) una "bellissima tavola di Lattanzio da Bologna, quale vi fece lo Sposalitio della Madonna pigliando l'inventione dal Parmigianino". Nel 1597 la Compagnia dei falegnami, che aveva la titolarità della cappella, si trasferì da S. Maria degl'Aratri in S. Giuseppe, dove nel 1683 Morelli registrava "un quadro con lo Sposalizio di Maria copiato da Lattanzio Mainardi Bolognese l'anno 1585 da uno di Francesco Mazzolini Parmigiano". Attingendo alle carte di A. Rossi, nel 1926 Bombe affermava che nella casa del conte G.B. Rossi Scotti si trovava una tela con lo Sposalizio della Vergine proveniente dalla cappella della villa di famiglia a Santa Petronilla, non lontano da Perugia, sul cui retro era annotata l'iscrizione "Franciscus Parmensis Inventor / Lactantius Mainard(us) Bonon(iensis) depinxit". Dall'asta della collezione Rossi Scotti del 1946 una tela con lo Sposalizio della Vergine, che presenta quella medesima iscrizione con l'aggiunta della data "MDLVIII" riportata in basso a destra del dipinto, è passata alla collezione Cellini di Roma. L'ipotesi che siano esistite due versioni dello stesso dipinto, una su tavola e l'altra su tela, non sembra molto verosimile. Probabilmente il medesimo Sposalizio della Vergine passò da S. Giuseppe alla villa di Santa Petronilla per arrivare infine in collezione Rossi Scotti, e solo in seguito l'iscrizione sul retro fu riportata sul davanti con l'errata, e inverosimile, data 1558.
La tela in collezione Cellini è esemplata sull'incisione che I. Caraglio trasse intorno al 1525 da un disegno (Chatsworth, Devonshire collection) del Parmigianino. La maniera emiliana del M. incontrò probabilmente il favore dei committenti e degli eruditi locali, e in particolare proprio di Crispolti, che nella cappella Giglioli in S. Domenico, dopo aver segnalato opere di Gentile da Fabriano e B. Buonfigli, affermava che "la tavola che supera l'altre di gratia, e di vaghezza nel colorito, è di mano di Lattantio da Bologna". Il dipinto, di cui neanche Morelli indica il soggetto, è andato perduto, così come alcuni affreschi già in S. Maria degl'Aratri e il dipinto nella parrocchiale di San Nicolò di Celle, nel contado perugino, in cui il M. "lavorò i Misterii del Rosario d'intorno ed altre figure di mastro Pietro Rancanelli, con il quale egli a quel tempo lavorava in Perugia" (Crispolti, p. 142).
Del Rancanelli menzionato da Crispolti si conoscono pochissime opere, tra cui una pala del Museo civico di Montefalco firmata e datata 1602. Il M. conosceva evidentemente di persona Crispolti, nella cui collezione, descritta sinteticamente in una lettera inviata a S. Borghese nel 1608, era "un Quadro a olio di Lattantio Bolognese che è morto, cioè una figura ignuda d'un giovane che suona un flauto in forma d'Angelo" (ibid., pp. 58 s.).
I primi affreschi romani del M. menzionati da Baglione sono quelli nella volta della scala pontificale nel palazzo Lateranense, dove eseguì coppie di suonatrici di tuba (secondo Baglione, Virtù) "che per le mani si tengono, et assai buone riuscirono". I pagamenti a G.P. Severi, coordinatore dell'équipe di pittori impegnati in questa decorazione (oltre al M., Baglione cita G.B. Pozzo, A. Lilio e G.B. Ricci), si scalano tra il maggio e il novembre del 1586 e sono contemporanei a quelli corrisposti a G. Guerra per i lavori, simili, alla scala che nei palazzi Vaticani conduce dalla cappella Sistina alla basilica di S. Pietro. Anche in quel cantiere sistino Baglione segnala la presenza del M., che già a partire dall'ottobre di quell'anno passò a lavorare in S. Maria Maggiore, nelle cappellette di S. Lucia e S. Girolamo e nella sacrestia della cappella Sistina, questa volta sotto la direzione di C. Nebbia e al fianco di Pozzo, Lilio e P. Nogari. Poiché solo per questi ultimi Baglione indica gli interventi di ciascuno, è possibile che il M. vi eseguisse solo decorazioni minori.
Il 14 marzo 1587 inizia la serie dei pagamenti a Nebbia per la decorazione della cappella Sistina, nella quale il M. eseguì due importanti affreschi, puntualmente segnalati da Baglione (1639, pp. 176 s.).
Si tratta di uno dei pennacchi della cupola, con le figure di Tamar e i figli Fare e Zara, e della semilunetta destra della parete del monumento funerario di Pio V, con le figure di Salmon, Booz e Rahab. In questi affreschi, e in parte anche in alcune figure delle volte delle scale in Laterano e in Vaticano, è possibile riconoscere la formazione carraccesca del Mainardi. Il classicismo già maturo di figure come la bellissima Tamar velata risalta ancora di più al confronto con alcune pesanti creazioni degli artisti più vicini a Nebbia, come Hendrick van den Broeck o Angelo da Orvieto.
Sebbene Baglione affermi che il M. era molto apprezzato dai "professori della pittura", non segnala la partecipazione del M. ai maggiori cantieri sistini che, a partire dall'inizio del 1588, furono diretti dalla coppia Guerra-Nebbia. Mentre Pozzo, Ricci, Lilio, Nogari e molti altri passavano a lavorare agli affreschi della loggia delle Benedizioni e del palazzo Laterano, a quelli del salone Sistino della Biblioteca Vaticana e a quelli della Scala Santa, sembra che il M. solo "nel Palagio Vaticano lavorò molte cose, alcune delle quali, per far la nuova fabbrica, sono state guaste". Spezzaferro ha ipotizzato una possibile avversione di Baglione nei confronti del M., che ricorda "disordinato non solo nel mangiare, ma ancora in altro", ma non sembra che abbia voluto tacere la partecipazione del M. ad altre imprese. Con la consueta precisione informa infatti che la figura della Religione "a man dritta della Porta Viminale" della villa Peretti Montalto di Termini fu affrescata dal Mainardi. Questi interventi furono retribuiti il 26 marzo 1589, e indicherebbero quindi la presenza del M. a Roma nel momento in cui era più frenetica l'attività nei cantieri sistini.
Secondo Baglione il M. eseguì l'affresco della Flagellazione di Cristo su una parete laterale della cappella Falconi, dedicata alla Pietà, in S. Maria dei Monti. I documenti rintracciati da M.B. Guerrieri Borsoi indicherebbero però solo in A. Viviani l'autore dell'intera decorazione della cappella, che secondo il contratto stipulato dal committente con l'artista si sarebbe dovuta concludere entro il maggio del 1585 (il conto fu però saldato il 23 sett. 1587). La Flagellazione è stilisticamente, e soprattutto qualitativamente, molto lontana dai lavori certi del M.; inspiegabile rimane quindi il riferimento a lui da parte di Baglione. Strinati ha proposto di attribuire al M. alcuni affreschi, peraltro di incerta datazione, nella cosiddetta sala del Caminetto in palazzo Ruspoli; ma anche in questo caso i caratteri stilistici non sembrano assimilabili a quelli del Mainardi.
Ammalatosi gravemente, il M. decise di tornare in patria, ma morì a Viterbo, probabilmente nel 1590.
Fonti e Bibl.: C. Crispolti, Raccolta delle cose segnalate (1597), a cura di L. Teza, Firenze 2001, ad ind.; G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-21), a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956, p. 215; G. Baglione, Le nove chiese di Roma (1639), a cura di L. Barroero, Roma 1990, pp. 135, 176 s.; Id., Le vite de' pittori scultori et architetti( (1642), a cura di H. Röttgen, Città del Vaticano 1995, I, pp. 38 s.; II, pp. 307-311; A. Masini, Bologna perlustrata, Bologna 1666, p. 631; G.F. Morelli, Brevi notizie delle pitture, e sculture che adornano l'augusta città di Perugia, Perugia 1683, pp. 61, 75; P.N. Ferri, Catalogo riassuntivo della raccolta di disegni antichi e moderni posseduta dalla R. Galleria degli Uffizi di Firenze, Roma 1890, p. 300; W. Bombe, Pittori non perugini nel Cinquecento a Perugia. Dagli spogli Rossi-Bombe conservati nell'Istituto di storia dell'arte a Firenze, in Boll. della Regia Deputazione di storia patria per l'Umbria, XXIX (1929), pp. 21 s.; L. Spezzaferro, Il recupero del Rinascimento, in Storia dell'arte italiana, III, Situazioni momenti indagini, 1, Inchieste sui centri minori, a cura di F. Zeri, Torino 1980, pp. 235 s.; G. Sapori, Artisti e committenti sul lago Trasimeno, in Paragone, XXXIII (1982), 393, pp. 37, 58 n. 32; S. Pepper, Guido Reni. L'opera completa, Novara 1988, pp. 25 s., 55; A. Zuccari, I pittori di Sisto V, Roma 1992, pp. 36-39, 46; C. Strinati, Jacopo Zucchi e la galleria Rucellai, in Palazzo Ruspoli, a cura di C. Pietrangeli, Roma 1992, p. 212; M.B. Guerrieri Borsoi - R. Torchetti, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura (catal.), a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, pp. 105, 153, 232, 536; E. Fumagalli, Precoci citazioni di opere del Caravaggio in alcuni documenti inediti, in Paragone, XLV (1994), 535-537, p. 114; S. Pierguidi, Il ruolo di Domenico Fontana nella scelta dei pittori sistini, in Studi sui Fontana. Una dinastia di architetti ticinesi a Roma, a cura di M. Fagiolo, in corso di stampa.