latifondo
Grande estensione di terreno appartenente a un unico proprietario, generalmente coltivato con sistemi non intensivi. Non si parla quindi di l. nel caso di proprietà terriere di grandi dimensioni, ma altamente produttive, né per le imprese capitalistiche che utilizzano razionalmente e intensivamente le risorse.
In età romana era latifundium la concentrazione proprietaria di terra eccedente quanto una famiglia contadina potesse coltivare. La moltiplicazione di queste proprietà fu considerata un pericolo e alimentò una serie di leggi tendenti a ostacolarne lo sviluppo. Dal 1° sec. d.C. vari elementi mutarono questa situazione, tra di essi l’emigrazione verso la città dei contadini liberi, l’acquisizione delle terre da parte di capitalisti urbani, il diffondersi della manodopera servile, moltiplicata dalle conquiste. Mentre attorno al 2° sec. l’estensione del l. diveniva prevalente rispetto a quella di altre forme di proprietà della terra, le invasioni barbariche e la generale insicurezza che esse generarono indussero anche un cambiamento della funzione sociale delle proprietà terriere, col trasferimento ai loro titolari di molte funzioni pubbliche che il potere centrale non era più in grado di svolgere direttamente. Iniziava così l’insediamento nelle campagne delle strutture feudali che avrebbero caratterizzato in Europa l’Età medievale: i grandi proprietari suddividevano le terre in modeste tenute familiari in cambio di parte del raccolto o di corvées, mentre i piccoli rinunciavano al pieno possesso in cambio di un inalienabile e insopprimibile diritto al lavoro (jus laborandi) del l. e ponendo sé stessi e i propri beni sotto la tutela del grande proprietario. Era un sistema quindi in grado di provvedere alla sussistenza dei coloni (divenuti vassalli durante il Medioevo) e al versamento delle rendite al latifondista (divenuto signore feudale nel Medioevo).
In età tardomedievale e moderna il progressivo aumento della popolazione e del fabbisogno di derrate alimentari rese sempre più pressante il problema dell’incremento della produttività delle terre e quindi spinse a porre progressivamente in discussione tutte le forme di utilizzazione estensiva del suolo, in primis del sistema latifondistico, la cui abolizione o ridimensionamento fu avvertito, in Europa come altrove, come esigenza primaria da parte dei gruppi riformatori. La persistenza del l. fino al 19° e, localmente, al 20° sec. riguardò dunque società caratterizzate dal perpetuarsi dell’economia di sussistenza e dalla delega, più o meno formale, ai proprietari di una parte delle funzioni politiche e sociali che nei Paesi sviluppati sono invece demandate allo Stato. In Europa occidentale il l. regredì di pari passo con l’erosione del regime feudale e delle grandi estensioni dei campi aperti delle comunità di villaggio, a opera di proprietari terrieri per lo più medi e grandi e dell’azienda capitalistica, che in Inghilterra furono alla base della rivoluzione della produttività agricola iniziata nel 18° secolo. Le leggi eversive della feudalità introdotte dalla Rivoluzione francese e poi esportate nell’Europa napoleonica portarono in Francia all’espropriazione completa della nobiltà ex feudale e alla formazione di una proprietà contadina su base familiare. Negli Stati napoleonici si ebbero invece, con l’eversione del feudalesimo, forme compromissorie di liquidazione del l. feudale, che videro il mantenimento in capo agli antichi proprietari di parti di esso largamente maggioritarie rispetto a quelle assegnate agli ex vassalli (due terzi contro un terzo), e che fecero quindi sopravvivere una proprietà che per estensione era ancora di tipo latifondistico, anche se priva di ogni annesso diritto di giurisdizione feudale o di funzioni pubbliche, ma anche di ogni vincolo e obbligo del proprietario, ora divenuto borghese, nei confronti dei contadini in tema di diritti di uso collettivo delle terre del l. esistenti prima dell’eversione e della suddivisione. Nasceva dunque soprattutto in Italia meridionale, in alcune aree di quella centrale e in Spagna un l. borghese, che in Italia è scomparso definitivamente solo con le riforme degli anni Cinquanta del Novecento. In Europa orientale e centrale grandi tenute permanevano ancora all’inizio del 20° secolo. In Russia la soppressione del servaggio da parte di Alessandro II (1861) era stata accompagnata da una riforma agraria che attribuiva la proprietà della terra ai servi emancipati in forma comunitaria (mir); ma nel 1913 le grandi tenute occupavano ancora circa il 60% della terra e scomparvero solo quando la rivoluzione bolscevica restrinse drasticamente l’ambito dello sfruttamento individuale della terra. Dopo la Seconda guerra mondiale riforme agrarie parziali ridussero le grandi proprietà in Polonia, Ungheria, Finlandia, Cecoslovacchia, Iugoslavia; i regimi comunisti tesero a eliminare le grandi proprietà introducendo lo sfruttamento collettivo delle terre e promuovendo la piccola proprietà familiare (Polonia e Iugoslavia).
In Africa le grandi proprietà coloniali (peraltro produttive) non sono sopravvissute alla decolonizzazione, mentre le sopravvivenze feudali dell’Africa araba sono state oggetto di riforma a partire dagli anni Cinquanta e non hanno lasciato tracce rilevanti. A sud del Sahara, dove sono sopravvissute strutture comunitarie, il principale problema agrario è il decollo dell’economia indigena dal livello di sussistenza e dal tradizionale immobilismo. Ancora attorno al 1950 in Asia il l., con annesse strutture feudali, era presente nel Vicino e Medio Oriente (Siria, Iraq e, localmente, Libano, Turchia, Iran). In Iran, dove le strutture feudali si erano conservate quasi intatte (per cui l’amministrazione di villaggi era affidata a grandi proprietari), intervenne negli anni Sessanta una riforma promossa dallo scià. In Estremo Oriente i problemi agrari derivano in generale più che dall’esistenza di grandi proprietà dalla forte pressione demografica sull’agricoltura, che permette ai proprietari d’imporre condizioni vessatorie ai fittavoli. Mentre le nazionalizzazioni operate nei Paesi comunisti hanno eliminato ogni traccia di l., in India e in Pakistan le riforme non hanno teso tanto al frazionamento del l. quanto a moderare le esigenze dei proprietari o degli intermediari e reprimere le pratiche usurarie di cui sono vittime i fittavoli più poveri. Il l. è a tutt’oggi particolarmente diffuso in America Latina dove, dal 16° sec., la colonizzazione ispano-portoghese aveva stabilito strutture tipicamente feudali con il sistema dell’. Nel 19° sec. proprietà di dimensioni molto vaste furono concesse nelle regioni ancora non sfruttate, mentre si intensificavano le usurpazioni sulle proprietà comunitarie, rendendo il l. universale e generalizzato, nonostante l’emancipazione degli indigeni e, dopo l’indipendenza, degli schiavi. Del resto, l’autosufficienza economica del l., il persistere di un’economia di sussistenza, lo scarso popolamento, la fragilità della struttura statale che lasciava al proprietario compiti di amministrazione e di signoria, la scarsa pressione delle coltivazioni intensive pur qua e là presenti (zucchero, caffè, frutta, talora l’allevamento), specie in America Centrale, conferivano al sistema latifondistico una «razionalità» economica e sociale che in altre parti del mondo e soprattutto in Europa era al tramonto. I processi di riforma agraria si svilupparono dunque solo a partire dalla Rivoluzione messicana (1910), e fu soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta che in diversi Paesi (e con finalità ed esiti differenti, talora al fine di contenere l’esempio della Rivoluzione cubana) furono intraprese politiche incisive di redistribuzione della proprietà del suolo, che comunque nella generalità dei casi rimasero abbastanza parziali e lasciarono aperti alcuni problemi di fondo, quali la larga preponderanza di una dimensione troppo ridotta della piccola proprietà per un’agricoltura redditizia (è un problema che, per es., si ritrova in Messico, Bolivia e, in grado minore, in Brasile, Perù, Colombia, Venezuela, Ecuador) oppure la penuria di capitali da parte dei proprietari latifondisti, che sono più interessati al potere politico assicurato dalla clientela dei molti fittavoli che non allo sviluppo della produttività delle terre. L’utilizzazione del sistema salariale e dell’affitto, considerati indicatori di modernizzazione, non sono diffusi se non in Uruguay e in Argentina, che sono peraltro i due Paesi più urbanizzati, dove più scarsa è la pressione demografica sull’agricoltura e meno problematica la presenza del latifondo.