Kovács, László
Direttore della fotografia ungherese, naturalizzato statunitense, nato nei pressi di Budapest il 14 maggio 1933. Uno dei personaggi più rappresentativi della cosiddetta New Hollywood della fine degli anni Sessanta e dei primi Settanta, si affermò parallelamente alla generazione dei registi Dennis Hopper, Richard Rush, Bob Rafelson, Peter Bogdanovich, Robert Altman, Paul Mazursky. E insieme a loro è stato uno dei protagonisti dello svecchiamento degli stilemi luministici e fotografici della vecchia Hollywood, recuperando l'uso della luce naturale e degli spazi aperti e restituendo all'immagine un'identità più adeguata ai tempi, meno compromessa con il formalismo della fotografia di studio e più vicina alla realtà di un'America che stava ridisegnando la propria identità. Dagli anni Ottanta si è dedicato soprattutto al cinema commerciale di qualità. Sebbene non sia mai stato premiato con un Oscar, è considerato tra i maggiori operatori degli ultimi trent'anni e nel 2002 ha ricevuto un premio alla carriera dall'American Society of Cinematographers.
Crebbe in un piccolo villaggio nelle vicinanze di Budapest, dove i suoi genitori erano agricoltori. Compiuti gli studi liceali nella capitale, decise di dedicarsi al cinema e nel 1952 si iscrisse alla Filmművészeti főiskola színházművészeti (Accademia d'arte teatrale e cinematografica). Si era appena diplomato in fotografia quando il 23 ottobre del 1956 l'Ungheria si ribellò al Patto di Varsavia e il 4 novembre venne invasa dalle truppe sovietiche. Insieme all'amico e compagno di Accademia Vilmos Zsigmond, per cinque giorni K. filmò i carri armati sovietici che andavano occupando le vie di Budapest. Meno di due settimane dopo i due lasciarono il Paese e giunsero esuli a Vienna, dove vendettero il materiale filmato (circa diecimila metri di pellicola) che, montato dal regista Stefan Erdelyi, venne proiettato con il titolo Ungarn in flammen e poi trasmesso nel 1961 in televisione negli Stati Uniti con il titolo Revolt in Hungary. Nel marzo del 1957 K. e Zsigmond si spostarono a New York e poi a Hollywood. Trasferitosi a Seattle, K. tornò a Los Angeles e fece i più svariati mestieri (fotografo per bambini e per fototessere, stampatore di microfilm per una compagnia d'assicurazioni, tecnico di laboratorio per un'emittente televisiva ecc.). Nel 1963 riuscì a dirigere un western in bianco e nero, che non trovò un distributore, e, insieme a Zsigmond, due cortometraggi, Blue of the sky e Lullaby. Per cinque anni intraprese quindi, prima come assistente operatore e poi come direttore della fotografia, una doppia carriera: s'inserì nel giro delle produzioni televisive, filmando documentari di ogni genere, tra i quali spiccano quelli realizzati per la National Geographic Society (1964) e per il gruppo Time-Life (1965); e contemporaneamente fece parte della factory del produttore cinematografico indipendente Roger Corman, che realizzava opere a bassissimo costo fuori dal controllo delle unions di categoria. Qui collaborò a horror e b-movies (spesso firmati con il suo nome anglicizzato Leslie Kovacks o lo pseudonimo Art Radford), ma soprattutto divenne uno specialista di bike-movies (film sulle avventure di motociclisti ribelli), quasi tutti diretti da Rush, tra cui Hell's angels on wheels (1967; Angeli dell'inferno sulle ruote). Ripreso il suo nome, con Targets (1968; Bersagli) iniziò la collaborazione con Bogdanovich, per il quale avrebbe lavorato in sei importanti lungometraggi. Fu poi al fianco di Dennis Hopper per Easy rider (1969; Easy rider ‒ Libertà e paura), prototipo del road movie di nuova generazione, che lo rese celebre presso i giovani produttori indipendenti per la sua capacità di inserire i personaggi nei selvaggi scenari naturali di un'America fino ad allora ignorata dal cinema. In quegli anni, che rappresentano il periodo migliore della sua produzione, K. si guadagnò un posto di rilievo nella storia del nuovo cinema americano, anche per le immagini di That cold day in the park (1969; Quel freddo giorno nel parco) di Altman, in cui dimostrò di saper sfruttare le densità del colore in funzione espressiva, Alex in wonderland (1970; Il mondo di Alex) di Mazursky, Five easy pieces (1970; Cinque pezzi facili) e The king of Marvin gardens (1972; Il re dei giardini di Marvin) di Rafelson, e del road movie a sfondo sociale Paper Moon (1973) di Bogdanovich, uno dei primi film a recuperare il bianco e nero degli anni Quaranta e la pratica del panfocus, con l'uso di una forte illuminazione sul set per bilanciare la perdita di luce dovuta all'utilizzo di filtri rossi per il cielo e per la necessità di illuminare anche i personaggi sul fondo. Dopo New York, New York (1977) diretto da Martin Scorsese e alcune sequenze di Close encounters of the third kind (1977; Incontri ravvicinati del terzo tipo) di Steven Spielberg, sembrava che K. avesse esaurito le motivazioni che lo avevano spinto a sperimentare formule sempre nuove d'illuminazione. Soltanto in Ghostbusters (1984; Ghostbusters ‒ Acchiappafantasmi) di Ivan Reitman, dove ha lavorato a fianco di Herb Wagreitch, e in Mask (1985; Dietro la maschera) di Bogdanovich ha ritrovato la capacità di rinnovarsi, poi nuovamente smarrita nel periodo successivo, nel quale si è indirizzato verso una standardizzazione delle formule luministiche, anche nei casi migliori, come in Legal eagles (1986; Pericolosamente insieme) di Reitman, Shattered (1991; Prova schiacciante) di Wolfgang Petersen, Copycat (1995; Copycat ‒ Omicidi in serie) di Jon Amiel, My best friend's wedding (1997; Il matrimonio del mio migliore amico) di P.J. Hogan, Two weeks notice (2002; Two weeks notice ‒ Due settimane per innamorarsi) diretto da Marc Lawrence. Tra i registi con i quali ha lavorato sono da ricordare inoltre Hal Ashby, Norman Jewison, Stanley Kramer, Louis Malle, Peter Yates.
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New wave king: the cinematography of Laszlo Kovacs, ed. R. Zone, Los Angeles 2002.