LASTRE PIANE E CURVE
. Le lastre o piastre sono strutture resistenti che hanno due delle dimensioni molto prevalenti sulla terza, che è lo spessore; a differenza dalle travi, nelle quali è prevalente una sola delle tre dimensioni. Le lastre possono essere piane o curve. Ad es., nei solai s'impiegano spesso lastre piane, perché la lastra è più rigida ed economica di un'orditura di travi; e nei serbatoi si fa uso di lastre piane o curve, per lo stesso motivo e perché le pareti e il fondo devono essere delle superficie continue. Mentre nella voce membrane e lastre (XXII, p. 824) era prospettata la questione sotto l'aspetto della meccanica razionale, studieremo qui le lastre dal punto di vista pratico e applicativo, riassumendo anche, per le lastre curve, una serie di metodi molto semplici e rapidi per il calcolo sia di lastre isolate che di strutture costituite da più lastre.
Lastre Piane. - Sono di solito sostenute lungo l'intero contorno, ciò che conferisce loro una resistenza considerevole. Ad es., una lastra rettangolare sostenuta soltanto lungo due lati opposti e con gli altri due lati liberi (che con un carico ripartito funziona circa come una trave) acquista una resistenza notevolmente maggiore quando è sostenuta lungo tutti e quattro i lati, perché in questo caso i due lati che si erano incurvati rimangono rettilinei e fanno risollevare alquanto tutta la lastra, diminuendone le curvature e quindi anche le tensioni.
Il calcolo delle lastre piane si effettua determinando anzitutto l'equazione ζ = ζ (x, y) della superficie elastica (ossia della deformata del piano medio della lastra), che deve soddisfare. l'equazione alle derivate parziali di Lagrange:
dove ζ è lo spostamento elastico dei punti del piano medio, normalmente a questo, x e y sono le coordinate di tali punti, p = p (x, y) è il carico agente sulla lastra per unità di superficie e B = Es3/12 (i − v2) è il modulo di rigidezza a flessione per unità di larghezza della sezione (che corrisponde a EJ delle travi) (s = spessore e v = 1/m coefficiente di Poisson).
Le ipotesi che conducono alla [1] (e alle relazioni [2]) sono analoghe a quelle della flessione delle travi rettilinee, cioè si ammette: 1) che i segmenti rettilinei normali alle due facce si conservino rettilinei (ipotesi analoga a quella della conservazione delle sezioni piane); 2) che nel piano medio le dilatazioni siano trascurabili (ciò che è ammissibile quando gli spostamenti elastici ζ sono piccoli rispetto allo spessore s). La conseguenza di queste due ipotesi è che le dilatazioni ε nei piani paralleli al piano medio risultano proporzionali alla distanza z da questo; per cui, se vale la legge di Hooke, risultano tali anche le tensioni σ. Inoltre, come per le travi inflesse, si ammette che gli spostamenti ζ siano piccolissimi rispetto all'estensione della lastra; per cui le curvature 1/ρx e 1/ρy della superficie elastica ζ = ζ (x, y) si possono ritenere uguali a − ∂2ζ/∂x2 e a −∂2ζ/∂y2, e gli angoli d'inclinazione ϕx ϕy, di essa si possono considerare approssimativamente uguali alle loro tangenti, ossia ϕx ≅ tg ϕx = ∂ ζ/∂x, ϕy ≅ tg ϕy = ∂ζ/∂ y.. Infine, si ammette che le tensioni σz nella direzione z siano trascurabili.
Le sezioni della lastra fatte con piani normali all'asse x o all'asse y sono soggette in generale, per unità di larghezza, a momento flettente mx o my, a momento torcente mxy e a sforzo di taglio tx o ty (m e t si valutano ad es. in kgcm/m e in kg/m). Integrata la [1] e ottenuta la funzione ϕ (x, y), da questa si deducono le sollecitazioni suddette mediante le relazioni
Dai momenti mx, my, mxy si deducono poi i valori massimi delle tensioni σx, σy e τxy dividendoli per il modulo di resistenza unitario ω = 1•s2/6, per cui si ha ad es. max σx = 6mx/s2. Le tensioni τ dovute agli sforzi di taglio tx, ty sono analoghe a quelle che il taglio T provoca nelle travi di sezione rettangolare.
Noti nell'intorno di 'un punto i momenti mx, my, mxy agenti su due sezioni normali agli assi x e y, una sezione generica la cui normale n formi l'angolo α con l'asse x è soggetta a un momento flettente mn e a un momento torcente mnt, legati a mx, my, mxy dalle relazioni
Nell'intorno del punto considerato esistono due sezioni normali tra loro, individuate dagli angoli α e α + 90° tali che tg 2 α = 2 mxy: (mx − my), sulle quali è nullo il momento torcente, mentre i momenti flettenti cui sono soggette sono uno massimo e uno minimo rispetto a quelli agenti su tutte le altre sezioni passanti per il punto (momenti principali), e sono legati a mx, my, mxy dalla relazione
La reazione rn al contorno c, per u11ità di lunghezza, non è uguale al taglio tn (come nelle travi), ma contiene anche un termine addizionale dipendente dal momento torcente mnc, ed è data da
Ad es., se il contorno è normale all'asse x, si ha
Nei punti in cui il contorno presenta una brusca variazione di direzione si hanno ariche delle reazioni R concentrate, rivolte verso il basso, uguali alla differenza m2 − m1 dei momenti torcenti dopo e prima del punto. Così in un angolo di una lastra rettangolare coi lati normali agli assi e y tale reazione è data da
Il lavoro di deformazione di una lastra piana di spessore costante è espresso da
Nel caso delle lastre perfettamente incastrate al contorno e di forma qualsiasi, e nel caso delle lastre rettangolari anche appoggiate al contorno, il termine entro la parentesi quadra si annulla, e si ha più semplicemente
Oltre a soddisfare l'equazione [1], la soluzione ζ (x, y) deve anche soddisfare, nei punti del contorno, alle condizioni imposte dai vincoli; ciò che rende determinato l'integrale della [1]. Per i diversi tipi di vincolo le coudizioni suddette sono le seguenti (supposto per semplicità che il contoruo sia normale ad es. all'asse x): se il contorno è incastrato, nei punti di esso si deve avere ζ = 0 e ∂ ζ/∂x = 0; se è appoggiato, si deve avere ζ = 0 ed mx = 0, ossia ∂2 ζ/∂ x2 + ν ∂2 ζ/∂ y2 = 0, o anche ∂2 ζ/∂ x2 + ∂2 ζ/∂ y2 = 0, o più semplicemente ∂2 ζ/∂ x2 = 0; se è libero, si deve avere mx = 0, rx = 0, ossia ∂2 ζ/∂ x2 + ν ∂2 ζ/∂ y2 = 0, ∂3 ζ/∂ x3 + (2 − ν) ∂3 ζ/∂ x ∂ y2 = 0; se un angolo del contorno è libero di alzarsi, in esso dev'essere nulla la reazione concentrata R. Le condizioni sono più complesse quando al contorno la lastra è vincolata a delle travi, dovendosi tener conto della deformazione di queste.
Il calcolo delle lastre è molto più complesso di quello delle travi, perché l'equazione [1] è alle derivate parziali, ma soprattutto per la difficoltà di soddisfare alle condizioni di vincolo. Inoltre le sollecitazioni si possono ottenere solo mediante le [2]: infatti, considerata una sezione ad es. normale all'asse., non si possono dedurre le sollecitazioni mx e tx dalle forze esterne agenti da una parte della sezione (come si fa per le travi), anzitutto perché queste comprendono anche le reazioni del vincolo delle quali in generale non si conosce la distribuzione, poi perché dal momento totale Mz e dallo sforzo di taglio totale Tz agenti su tale sezione non si saprebbero dedurre i valori unitarî mx e tx in un punto generico della sezione, non sapendo come questi variano lungo la sezione. (Si noti che anche nelle travi si può calcolare M mediante la relazione M = EJ d2η/dx2, che non è altro che l'equazione della linea elastica e che è analoga alle prime due delle relazioni [2]. Però nelle travi è più semplice calcolare M considerando le forze esterne che agiscono da una parte della sezione).
Le lastre circolari caricate con simmetria radiale rispetto al centro, si studiano in modo abbastanza semplice, perché la deformazione è anch'essa simmetrica, e quindi ζ è funzione soltanto della distanza r dal centro; per cui risulta per la superficie elastica un'equazione differenziale ordinaria anziché alle derivate parziali. Se ϕ ≅ tg ζ = − d ζ/d r è l'angolo d'inclinazione della tangente alla superficie elastica in un piano radiale, e se lo spessore s è costante, si ha l'equazione differenziale del secondo ordine
dove tr, è il taglio unitario nelle sezioni cilindriche di raggio r. Ottenuta la funzione ϕ(r), si ha anche la funzione ζ(r) mediante un'ulteriore integrazione. Dalla funzione ϕ(r) si deducono poi i momenti mr, nelle sezioni normali ai raggi r ed mθ nelle sezioni contenenti un raggio r mediante le relazioni
Nel caso della lastra circolare di raggio R, soggetta a un carico uniforme p e a un carico P concentrato nel centro, si ha tr = pr/2 + P/2 π. Quindi l'integrale generale risulta
dal quale si deduce anche
Le costanti C1, C2, C3 si determinano tenendo conto delle condizioni al contorno e al centro.
Se la lastra circolare è incastrata al contorno, si ottiene
Il momento mr, all'incastro risulta p π R2 − Q,
Il momento nel centro dovuto a p risulta
Il momento nel centro dovuto a P risulterebbe teoricamente infinito; però in pratica acquista un valore grande ma finito, perché P non è mai concentrato in un punto, bensì agisce sopra un'area non nulla. La freccia elastica risulta
La soluzione della lastra circolare appoggiata al contorno si può dedurre dalla precedente, sopprimendo il momento d'incastro mri, ossia aggiungendo lungo il contorno un momento uguale e contrario. Questo fa aumentare dovunque i momenti mr, ed mθ di ∣mr∣, provoca al contorno la rotazione α = ∣mr∣ R: (i + v) B, e fa aumentare le ordinate ζ di ζ = ∣mr∣. (R2 − r2) : 2 (i + v) B. Il momento nel centro dovuto a p e la freccia dovuta a p e a P risultano
Quando il carico p(r) è variabile con r, si può determinare l'espressione di t2, e ripetere l'integrazione; ma è più semplice usare le espressioni delle varie quantità che interessano (momenti all'incastro e nel centro, freccia, rotazione al contorno) provocate da un carico Q ripartito lungo una circonferenza generica di raggio r; quindi si pone Q = p(r) 2 π n r dr e si sovrappongono gli effetti mediante un'integrazione.
Le lastre anulari (cioè a forma di corona circolare) si studiano in modo analogo alle lastre circolari, e si determinano le costanti d'integrazione tenendo conto delle condizioni di vincolo o di carico ai due contorni.
Più complesso è lo studio della lastra circolare appoggiata sopra un suolo elastico. Altri problemi complessi sono quelli della lastra di spessore variabile, o caricata in modo non simmetrico, oppure appoggiata in alcuni punti del contorno.
Le lastre non circolari si studiano integrando l'equazione [1]. Uno dei pochissimi casi nei quali ζ (x, y) è una funzione razionale è quello della lastra ellittica incastrata al contorno e soggetta a un carico p uniforme. Se a e b sono i semiassi, assumendo l'origine nel centro si ottiene
dove la freccia f è data da
I momenti nel centro, nelle direzioni dell'asse minore e dell'asse maggiore, risultano
Il momento massimo, in valore assoluto, si ha alle estremità dell'asse minore e vale
Molto più complesso è il problema della lastra ellittica appoggiata.
La lastra rettangolare appoggiata al contorno si può studiare mediante le serie doppie (Navier), le serie semplici (Lévy) e le differenze finite (Marcus).
Per la lastra rettangolare di lati a e b, caricata uniformemente, assumendo l'origine in un angolo e l'asse x coincidente col lato a, si ottiene l'equazione della superficie elastica
che soddisfa spontaneamente alle condizioni al contorno. La freccia risulta
Il calcolo di queste serie doppie non presenta difficoltà, tanto più che la convergenza è molto rapida, per cui basta tener conto di pochi termini. I momenti nel centro e la freccia si possono esprimere con
dove i coefficienti valgono, per diversi valori di b/a,
In particolare, per la lastra quadrata si ha
Rispetto alla lastra appoggiata soltanto lungo due lati opposti (che funziona come una trave), il momento nel centro è circa 3 volte minore e la freccia è 3,2 volte minore. In prossimità degli angoli si ha un momento negativo in direzione della diagonale
La reazione R negli angoli vale
Per altre condizioni di carico si ottengono espressioni di ζ poco diverse. Però le serie doppie non si prestano per studiare le lastre vincolate in modi diversi dall'appoggio.
La soluzione della [1] espressa mediante serie semplici si ottiene aggiungendo a un opportuno integrale particolare l'integrale generale dell'equazione omogenea ???4ζ = 0. Assunta l'origine nel punto di mezzo di uno dei lati b e l'asse x parallelo ai lati a, ad es. nel caso del carico p uniforme si usa l'integrale particolare
(n = 1, 3, 5...), che soddisfa alle condizioni di vincolo lungo i lati paralleli a y. L'integrale generale della ???4ζ = 0 si può scrivere
e soddisfa alle stesse condizioni. L'integrale generale ζ = ζ1 + ζ0 risulta così
da cui si ha anche
Quindi si determinano le costanti bn e cn in modo che le condizioni di vincolo siano soddisfatte anche lungo i lati paralleli a x. In tal modo si ottiene (ϕn = n π b/2 a)
In modo analogo si possono studiare altre distribuzioni di carico p(x) indipendente da y (cioè distribuito nello stesso modo lungo ogni retta parallela a x). Inoltre si possono considerare condizioni di vincolo diverse dall'appoggio lungo i lati paralleli a x.
Il calcolo mediante le differenze finite si effettua sostituendo l'equazione differenziale del quarto ordine [1] col sistema di due equazioni del secondo ordine
Divisa poi la lastra in due ordini di strisce di larghezza finita Δx = Δy = λ, e sostituite queste con le rette mediane che formano un reticolato, se k è un nodo generico di esso e a, b, c, d sono i quattro nodi che comprendon0 k, alle due equazioni differenziali suddette corrispondono le equazioni alle differenze finite
Scrivendo queste equazioni per tutti i nodi della rete e tenendo conto delle condizioni di vincolo che, se la lastra è ad es. appoggiata, annullano i valori di M e di ζ nei nodi posti sul contorno, risultano due sistemi di equazioni algebriche lineari con le incognite M e ζ. Risolvendole, si ottengono i valori di M e di ζ in tutti i nodi. Poi dalle g si deducono i valori di mx, my, tx, ty. Se la lastra è appoggiata, si risolve il primo sistema indipendentemente dal secondo, che si risolve in un secondo tempo quando sono già noti i valori di M. Se invece è vincolata in altri modi, si devono risolvere contemporaneamente entrambi i sistemi di equazioni. L'approssimazione dei risultati è tanto migliore quanto più numerose sono le maglie della rete.
Le lastre rettangolari con due lati opposti appoggiati e gli altri due vincolati in altri modi si studiano di solito partendo dall'espressione di 5 in serie semplice e determinando i coefficienti in modo che siano soddisfatte le condizioni di vincolo lungo questi lati. Più complesso è il caso della lastra incastrata lungo i quattro lati, che si risolve usando serie semplici delle quali si determinano soltanto i primi termini mediante un sistema di equazioni.
Altri problemi riguardano le lastre di altre forme, le lastre costituite da più scomparti continui su muri, e le lastre appoggiate su file di pilastri (solai a fungo).
Varî metodi approssimati (Grashof, Bach, Danusso, Guidi, Marcus, ecc.) furono proposti per il calcolo delle lastre. Uno dei più semplici è quello di Bach: come esempio, nel caso di una lastra circolare appoggiata e caricata uniformemente, il momento flettente totale in una sezione diametrale è dato dalla reazione di mezzo contorno e dal carico su mezza lastra, che valgono entrambi p π R2/2 e le cui risultanti distano 2R/π e 4R/3n dalla sezione. Perciò il momento totale M e il momento unitario medio risultano
Lo studio delle lastre molto sottili, nelle quali ζ non è piccolo rispetto a s, e quindi non è trascurabile la dilatazione nel piano medio, dipende da un'equazione differenziale più complessa della [1]. Lo studio delle lastre grosse si può affrontare solo mediante la teoria matematica dell'elasticità.
Lastre curve. - Sono definite quando si conosce la forma della superficie media, situata a metà dello spessore, ed è noto il valore di questo in ogni punto. La superficie media può essere a doppia o a semplice curvatura. Nel primo caso sono frequenti le superficie di rivoluzione, ottenute facendo ruotare una linea piana (meridiano) intorno a un asse, di solito verticale, contenuto nello stesso piano; ma talvolta si usano anche superficie non di rivoluzione. Al secondo caso appartengono le superficie cilindriche, a direttrice circolare (tubi, serbatoi) o di altre forme (vòlte sottili), e le superficie coniche. Lo spessore s può essere variabile o costante. Le lastre curve s'impiegano spesso come coperture di grandi ambienti, e sono di solito di cemento armato, oppure come pareti e fondi di recipienti (ad es. caldaie e serbatoi), e possono essere metalliche o di cemento armato.
Quando lo spessore è piccolissimo si chiamano membrane. Una membrana può anche essere floscia, ad es. quand'è costituita da tessuto (involucri di palloni), nel qual caso assume la sua forma ben definita solo quando è soggetta a forze che la mantengono distesa. La differenza sostanziale fra il comportamento delle lastre e quello delle membrane è che la parete delle prime si considera dotata di rigidezza a flessione, e la parete delle seconde si considera priva di tale rigidezza e quindi flessibilissima.
Ci limitiamo a considerare le lastre e le membrane curve di rivoluzione, nonché le strutture costituite da due o più lastre solidali tra loro, occupandoci principalmente del calcolo statico; per le vòlte sottili, che hanno un comportamento nettamente diverso, vedi la voce corrispondente in questa App.
Equazioni delle lastre di rivoluzione caricate simmetricamente rispetto all'asse. - In un punto generico della lastra (fig. 1) indichiamo con θ l'angolo d'inclinazione della tangente al meridiano, con R1 il raggio di curvatura del meridiano, con r il raggio del parallelo, e con R2 = r/sen θ il raggio di curvatura della sezione normale al meridiano (valori relativi alla superficie media).
Sulla parete agiscono delle forze esterne ugualmente disposte in tutti i punti di uno stesso parallelo e variabili generalmente da parallelo a parallelo. Esse possono avere una componente X secondo la tangente x al meridiano e una comptonente Z secondo la normale z alla superficie media, relative all'unità di area di questa; e tali componenti sono dunque funzioni soltanto della colatitudine θ del parallelo e non della longitudine del punto che si considera, cioè sono uguali per tutti i meridiani.
Le sollecitazioni sono le seguenti (fig. 2). Sulle sezioni normali ai meridiani agiscono uno sforzo normale N1, un momento flettente M1 e uno sforzo di taglio T; sulle sezioni fatte con piani meridiani agiscono uno sforzo normale N2 e un momento flettente M2. I loro valori sono relativi all'unità di lunghezza della sezione; per cui N1, N2, T si misurano ad es. in kg./cm. ed Mi, M2 in kgcm./cm. I versi assunti positivi sono quelli indicati nella figura.
Le deformazioni sono definite dalle dilatazioni ε1 ed ε2 nelle direzioni del meridiano e del parallelo, e dalle variazioni x1 e x2 delle due curvature principali 1/R1 e 1/R2. Come conseguenze di queste deformazioni, in un punto generico si hanno uno spostamento u nella direzione x, uno spostamento w nella direzione z, e una rotazione della tangente al meridiano, positiva se fa abbassare il centro di curvatura O2. È utile considerare anche lo spostamento ξ nella direzione del raggio r e lo spostamento verticale η.
Tutte le quantità N1, N2, M1, M2, T, ε1, ε2, x1, x2, u, w, ξ, η, ϕ sono funzioni soltanto di θ.
Le cinque sollecitazioni sono legate dalle tre equazioni di equilibrio (due alla traslazione e una alla rotazione).
Per la legge di Hooke, le deformazioni e le sollecitazioni sono legate dalle seguenti relazioni (v = 1/m, coefficiente di Poisson)
da cui
e analogamente (B = Es3/12 (1 − v2))
Le deformazioni sono legate a u, w, ϕ dalle relazioni cinematiche
Gli spostamenti ξ ed η sono legati a u e w dalle relazioni
Infine, la componente orizzontale H dello sforzo trasmesso dalla parte inferiore della lastra alla parte superiore attraverso una sezione normale al meridiano, positiva se rivolta in fuori, è legata a N1 e a T dalla relazione
Per eliminare l'indeterminazione statica del sistema di tre equazioni differenziali [1] contenenti cinque funzioni incognite, si esprimono N1, N2, M1, M2 in funzione di u e w, ciò che si ottiene introducendo le [4], [5] nelle [2], [3], e si sostituiscono nelle [1], che diventano così tre equazioni differenziali contenenti le tre funzioni incognite T, u, w. Infine, da queste si deduce un sistema di due equazioni differenziali del secondo ordine contenente le funzioni T e ϕ, che si integra più facilmente. Nel caso particolare della cupola sferica (R1 = R2 = R = costante) di spessore costante, tale sistema è
dove l'operatore L (..) di Meissner è
La soluzione generale di questo sistema di equazioni si ottiene aggiungendo a un integrale particolare l'integrale generale del sistema reso omogeneo (cioè relativo alla lastra non soggetta a forze esterne sulla superficie: X = Z = 0). Il primo, che tiene conto delle forze esterne X e Z, dipende dalla distribuzione di queste, e corrisponde al caso della lastra pensata estesa indefinitamente, cioè non limitata da uno o due bordi, e tutta caricata secondo la legge considerata. Il secondo tiene conto delle forze e delle coppie agenti lungo il bordo (o i due bordi), che possono essere le reazioni del vincolo cui questo è soggetto oppure forze applicate direttamente, e consente di soddisfare alle condizioni imposte al bordo stesso.
Gli integrali particolari sono noti per le principali condizioni di carico (peso proprio, neve, pressione idrostatica, ecc.), non solo per la lastra sferica, ma anche per quella conica e per qualche altra forma. Tuttavia essi differiscono pochissimo, per i motivi che vedremo, dalla soluzione che si ha nel caso delle membrane (s-i0), per cui si può utilizzare questa ultima, che si ottiene in modo molto più semplice, sia dal punto di vista concettuale che da quello pratico.
Per ottenere l'integrale generale del sistema omogeneo
si può usare il metodo proposto da Meissner. Si applica l'operatore L (..) alla prima equazione, si tiene conto della seconda, e si ottiene l'equazione differenziale del quarto ordine con la sola funzione T:
Quindi questa si scompone nelle due equazioni del secondo ordine
il cui integrale è espresso da serie ipergeometriche. La loro convergenza non è però soddisfacente, specie quando μ4, ossia R/s, ha valori elevati.
Una soluzione rapidamente convergente, ma molto laboriosa, si ottiene usando l'integrazione assintotica (Blumenthal, Schwerin).
Una soluzione approssimata molto semplice è quella di Geckeler che vedremo più avanti.
Considerazioni intuitive. - Nella soluzione particolare delle [9], che rappresenta gli effetti delle forze esterne agenti sulla lastra supposta illimitata, i momenti flettenti M1, M2, e quindi anche il taglio T, hanno valori irrilevanti, specie quando il rapporto R/s è grande, ossia quando la lastra si comporta quasi come una membrana (s → 0). Comunemente l'assenza dei momenti nelle membrane si giustifica dicendo che la parete, sottilissima, è priva di rigidezza a flessione; tuttavia è opportuno esaminare più attentamente questo fatto, anche per mettere in luce il comportamento statico delle membrane di rivoluzione, che gode di proprietà singolari e interessanti.
Anzitutto le varie strisce secondo i paralleli si deformano e modificano il loro raggio r, ma si conservano circolari; per cui la tensione σ2 si può ritenere costante nei varî punti dello spessore, poiché questo è molto piccolo rispetto a r. In conseguenza delle variazioni dei raggi r dei varî paralleli, le strisce secondo i meridiani possono deformarsi, e quindi la loro curvatura può modificarsi in ogni punto (in certi casi no); ciò che provoca delle tensioni σ1′ corrispondenti a un momento flettente, variabili linearmente nello spessore, da un massimo positivo a un massimo negativo di uguale valore assoluto. Le σ1′ si sovrappongono alle σ1 dovute allo sforzo normale N1, così che le tensioni totali non sono più uniformemente ripartite. Tuttavia le σ1′ sono molto piccole, perché sono piccole le variazioni di curvatura dei meridiani (che sono vincolati dai paralleli), e perché è piccolo lo spessore s (ossia è piccolo ymax = s/2); quindi sono trascurabili rispetto alle σ1, che perciò rimangono praticamente invariate, ossia uniformemente ripartite. In altri termini, il momento flettente M1 è trascurabile; ciò che pertanto equivale a ritenere trascurabile la deformazione della membrana, ossia a considerare questa come inestensibile (nel qual caso non varierebbero né il raggio r dei paralleli né la forma dei meridiani).
Come conseguenza della trascurabilità dei momenti, e quindi anche del taglio T, si ha che nelle lastre di rivoluzione le forze esterne sono equilibrate quasi esclusivamente dagli sforzi normali N1 ed N2, come accade in modo esatto nelle membrane. Perciò si conclude che nella lastra supposta illimitata, gli sforzi N1 ed N2 corrispondenti alla soluzione particolare delle [9] sono praticamente uguali a quelli che si hanno nel caso della membrana.
Vediamo ora un'altra conseguenza dell'azione delle strisce parallele, ossia del loro contributo alla resistenza della membrana. Nel caso di un filo infinitamente flessibile fissato alle estremità e soggetto a forze agenti in un piano che contiene le estremità stesse, sappiamo che queste forze sono equilibrate dal solo sforzo di trazione N agente nel filo, purché questo abbia la forma di una funicolare delle forze. Perciò il filo, che per la sua estrema flessibilità non ha una forma propria, si dispone appunto secondo una funicolare. Se invece il filo ha una certa rigidezza, risulta ancora soggetto a trazione semplice N soltanto nel caso che la sua forma propria, cioè di origine, coincida con una funicolare delle forze esterne. Se ha una forma propria diversa, si deforma in modo da tendere a una funicolare, avvicinandosi tanto più a questa, quanto più è fessibile; ma tale deformazione provoca momenti flettenti proporzionali alla variazione di curvatura e alla rigidezza EJ del filo. Una membrana, invece, ha sempre una forma propria anche se è infinitamente flessibile, perché un cambiamento sostanziale di forma richiederebbe delle dilatazioni ε1 ed ε2 enormemente maggiori di quelle elastiche. Perciò si potrebbe dubitare che se essa non ha una forma propria tale da essere compatibile con le forze esterne date, queste non possano essere equilibrate dai soli sforzi normali N1 ed N2. In altri termini, si potrebbe pensare che la membrana dovesse avere una forma speciale dipendente dalla distribuzione delle forze esterne; e che se non è tale, non si avesse l'equilibrio nel caso che la membrana sia infinitamente flessibile, o si avessero forti deformazioni accompagnate da momenti flettenti nel caso che abbia una certa rigidezza B a flessione. Ma in realtà il funzionamento di una membrana di rivoluzione è sostanzialmente diverso da quello di un filo. Essa è sempre in equilibrio qualunque sia la sua forma e quali che siano le forze esterne. Questo fatto è facilmente comprensibile nel caso di forze esterne simmetriche rispetto all'asse. Le strisce secondo i paralleli sono in grado di funzionare come funicolare di una forza radiale uniforme di qualunque intensità. Perciò queste strisce assumono una componente radiale delle forze esterne di valore tale da lasciare alle strisce meridiane, qualunque sia la forma del meridiano, quelle forze delle quali esse sono la funicolare. In altri termini, le strisce meridiane sono soggette alle forze esterne e alle risultanti radiali delle tensioni σ2 che a loro trasmettono le strisce parallele; e queste ultime hanno valori tali che i meridiani risultano soggetti complessivamente a forze delle quali essi sono la funicolare. Pertanto l'equilibrio è sempre possibile; e quindi la membrana è esente da momenti flettenti se è infinitamente flessibile, oppure, non essendolo, se si considera inestensibile (abbiamo visto che le variazioni del raggio dei paralleli può provocare nei meridiani dei momenti flettenti modesti). Ciò è anche confermato dal fatto che si hanno due sforzi incogniti N1 ed N2 e due equazioni di equilibrio (mentre in un filo si ha un solo sforzo incognito Ae due equazioni di equilibrio). Si può quindi concludere che, per ciò che riguarda i soli sforzi di membrana, in una cupola non è necessario studiare la forma più conveniente del meridiano in relazione con le date forze esterne (come invece si fa negli archi).
Il regime statico suddetto, coi soli sforzi di membrana N1 ed N2, si verifica soltanto nel caso della membrana (o della lastra sottile) estesa indefinitamente (cioè non limitata da uno o due bordi), e caricata sulla superficie con forze non discontinue. Chiameremo questo regime, insieme con quello delle deformazioni corrispondenti, regime di membrana. Esso si verifica anche nel caso di una membrana limitata, purché il vincolo al bordo sia tale da non alterare il regime degli sforzi N1 ed N2: ad es. nel caso della membrana col bordo liberamente appoggiato sopra una superficie conica normale ai meridiani, che reagisce con delle forze R normali a essa, e quindi coincidenti con gli sforzi N1. Quando invece il bordo è scorrevole su un piano orizzontale, e l'inclinazione θc al bordo è diversa da 90°, la reazione V, verticale, si può sostituire con una componente N1 secondo la tangente al meridiano, che coincide con lo sforzo Ni di membrana, e con una componente orizzontale H′, che è in più della componente uguale e contraria posseduta da N1. Una componente Hc′ analoga si ha anche quando il contorno è rinforzato da una trave ad anello di cintura, e soprattutto quando il contorno è vincolato al suolo con un'articolazione, che si oppone alla libera dilatazione o contrazione dei paralleli prossimi al contorno. Se il contorno è incastrato, oltre alla Hc′ si ha anche un momento d'incastro Mc. Come vedremo, le reazioni Hc′ ed Mc si determinano in modo molto semplice. Reazioni analoghe si hanno anche per effetto di discontinuità della forma del meridiano, dello spessore s, della distribuzione delle forze esterne (soprattutto se agiscono forze concentrate lungo un parallelo), nonché di ogni causa che ostacoli o alteri le deformazioni di membrana.
Le reazioni Hc′ ed Mc agenti lungo il contorno provocano una alterazione del regime di membrana, ossia generano anche delle sollecitazioni di flessione e taglio che non sono trascurabili. Però queste sollecitazioni, e le corrispondenti deformazioni, si smorzano rapidamente al crescere della distanza dal bordo lungo il quale agiscono Hc′ ed Mc per cui sono delle azioni pressoché locali. Questo rapido smorzamento è dovuto anch'esso all'azione frenante che le strisce parallele esercitano sulla deformazione delle strisce meridiane, le quali, per effetto delle reazioni che ricevono dalle prime, sono in condizioni analoghe a quelle di una trave su suolo elastico caricata a un'estremità; e lo smorzamento avviene in modo oscillante come in queste travi. Molti autori spiegano tale rapido smorzamento come una conseguenza del principio di Saint-Venant. Però questa spiegazione non è attendibile, perché il bordo, lungo il quale sono applicate le forze esterne Hc′ ed Mc equilibrate fra loro, non ha dimensioni piccolissime rispetto a quelle della lastra, come richiede il principio suddetto. Tanto è vero che nelle lastre circolari piane gli effetti provocati da un sistema di forze H o di coppie M uniformemente distribuite lungo il contorno non si smorzano, ma si mantengono costanti in tutti i punti della lastra; ciò che smentisce la spiegazione suddetta. Ed è naturale che sia così, perché la deformazione delle strisce radiali non fa variare sensibilmente il raggio delle strisce disposte secondo le circonferenze, per cui queste non reagiscono come fanno le strisce parallele delle lastre di rivoluzione. L'esistenza di questi momenti locali, anche intensi, non è in contrasto con quanto si è detto prima sulla trascurabilità dei momenti relativi alla soluzione particolare, perché essi sono invece provocati dalle forze Hc′ ed Mc agenti al contorno, che possono avere valori rilevanti, e in prossimità di questo diventano uguali a Mc
Studiando le deformazioni delle membrane vedremo altre conseguenze dell'azione frenante esercitata dai paralleli.
Gli sforzi e le deformazioni delle membrane di rivoluzione caricate con simmetria radiale. - In esse si hanno soltanto gli sforzi N1 ed N2, che sono staticamente determinati, perché devono soddisfare due equazioni di equilibrio. Se Q è la risultante, verticale, delle forze esterne agenti al disopra del parallelo generico di coordinata θ, lo sforzo N1 nei punti di questo è dato dalla relazione
che esprime l'equilibrio in direzione verticale fra Q e l'insieme degli sforzi N1 lungo il parallelo. Noto N1, si ricava N2 dalla relazione
che è l'estensione della N/R = p che vale per i tubi. Ridotta al suo significato più semplice, essa esprime che della forza Z agente nell'intorno di un punto, una parte Z′ = N1/R1 è equilibrata dallo sforzo Ni agente lungo la striscia meridiana, e la parte rimanente Z″ N2/R2 è equilibrata dallo sforzo N2 agente lungo la striscia normale alla prima.
Ad es., nel caso della cupola sferica di spessore costante e soggetta al peso proprio (γm, peso specifico) risulta
Ottenute le espressioni degli sforzi N1 ed N2, si possono calcolare immediatamente gli spostamenti u, w, ξ, η e la rotazione in un punto qualunque. Posto
tali spostamenti si ottengono mediante le relazioni
La costante C rappresenta un possibile spostamento verticale rigido della membrana, il cui valore è determinato dalle condizioni di vincolo. L'abbassamento di un parallelo generico θ0 rispetto a un parallelo θ0 si ottiene come differenza delle η calcolate per θ e per θ0; ciò che evita la determinazione del valore di C.
Nel caso delle membrane coniche, essendo R1 = ∞, è necessario trasformare tali relazioni, ad eccezione della [16] che resta invariata. Indicando con dl1 l'elemento di generatrice e con dr e dh le sue componenti, si ha
Nel caso delle membrane concave verso l'alto (cupola o cono rovesci), le espressioni di η e di ϕ cambiano di segno.
Gli sforzi N1 ed N2 e le deformazioni suddette costituiscono il regime di membrana. I loro valori differiscono pochissimo da quelli che si ottengono come soluzione particolare delle equazioni [9] delle lastre. Le deformazioni ξ ed η sono sempre molto modeste (decimi di millimetro), essendo dovute agli sforzi normali N1 ed N2, che generano deformazioni di gran lunga minori di quelle generate dalla flessione. Si tenga presente che l'abbassamento del vertice non si può calcolare usando i lavori virtuali.
Osserviamo che mentre in una trave AB libera in A e incastrata in B gli spostamenti di A (o di una sezione generica C) secondo l'asse della trave o normalmente a questo sono dovuti all'accumularsi degli allungamenti Δdx o degli incurvamenti dϕ di ogni tronco dx della trave, e sono generalmente diversi da zero anche se in A si annullano N o M, invece in una membrana lo spostamento ξ = Δr in un punto A dipende esclusivamente dalla dilatazione ε2 del parallelo per A, ossia dai valori di N2 ed N1, cioè da (N2 − v N1), in A, e non dall'accumularsi delle dilatazioni degli altri paralleli. Anche la rotazione ϕ dipende soltanto dai valori della derivata di ξ/sen θ e della funzione f(θ) in A, ossia da N2 ed N2 in A e nel suo intorno. Anche questo fatto singolare è dovuto all'azione frenante esercitata dai paralleli. Le conseguenze di ciò sono che le deformazioni ξ e ϕ del contorno, e quindi anche le reazioni Hc′ ed Mc al contorno stesso (v. più avanti), sono praticamente indipendenti dal modo in cui sono ripartiti i carichi abbastanza lontani dal contorno e dipendono soltanto dal valore della risultante Q di questi.
È facile calcolare gli sforzi anche nel caso della membrana soggetta a forze antisimmetriche (ad es. il vento).
La soluzione approssimata di Geckeler. - Come si è detto, gli effetti provocati da forze H e coppie M applicate lungo il contorno si smorzano molto rapidamente, e in modo oscillatorio, al crescere della distanza dal contorno. Questo fa sì che tali effetti si possano rappresentare mediante espressioni che contengono un prodotto del tipo e−γω sen γω o e−γω cos γω(e−γω fattore di smorzamento, sen γω fattore di oscillazione), essendo ω = θc − θ la distanza angolare dal contorno; ciò che risulta anche dalla soluzione mediante serie asintotiche. Il parametro γ, che è definito da
ha valori abbastanza grandi, essendo grande il rapporto R/s. Quando si derivano rispetto a θ o a ω le espressioni di tali effetti, la derivata prima risulta moltiplicata per γ e la derivata seconda per γ2; per cui la derivata seconda è maggiore della prima e questa è maggiore della funzione.
Se ora, nel caso della lastra sferica, si considera ad es. la prima delle [10]:
essendo grande γ, si ha che, se θ non è molto piccolo, il primo termine è notevolmente maggiore del secondo e del terzo, per cui questi si possono trascurare. Lo stesso dicasi della seconda delle [10]. Quindi il sistema [10] diventa
Derivando due volte la prima ed eliminando d2ϕ/dθ2 mediante la seconda, si ottiene l'equazione del quarto ordine
dove γ ha l'espressione [19]. L'integrale della [201], semplificato opportunamente e limitato al caso delle cupole chiuse (cioè non aperte in corrispondenza di un parallelo di lanterna), diventa
Poi dall'espressione di T si ricavano le altre sollecitazioni e le deformazioni usando le relazioni generali già indicate. Si ottiene così:
In tutte queste espressioni le costanti C e ψ hanno gli stessi valori. Quando siano date le condizioni al contorno, cioè siano noti per ω = 0 i valori di due qualunque delle quantità espresse dalle [21], si ricavano i valori di C e ψ, e quindi si possono calcolare le [21] in ogni punto.
La soluzione [21] riguarda la lastra sferica; tuttavia, per studiare le deformazioni al contorno, si può usare, come vedremo, per lastre di rivoluzione di qualunque forma.
Le [21] valgono anche nel caso della lastra cilindrica, sostituendo γω con αx (α è dato dalla [23], e x è la distanza dal bordo); e sono esatte se la lastra è di lunghezza infinita.
I coefficienti elastici. - Lo studio delle lastre curve vincolate in modo qualunque, e delle strutture complesse costituite da più lastre curve solidali tra loro (ad es. i serbatoi), si semplifica in modo notevolissimo, e si riconduce ai metodi usuali nello studio delle travi, se si fa uso di coefficienti elastici che si ottengono facilmente mediante le [21]. Essi rappresentano lo spostamento e la rotazione del contorno della lastra provocati da un sistema di forze H agenti secondo i raggi r o di coppie M agenti nei piani meridiani, uniformemente distribuite lungo il contorno e di intensità H = i o M = 1 per unità di lunghezza del contorno stesso; e si indicano con ξh, ϕh, ξm, ϕm. I primi due si ottengono ponendo nelle [21] M1 = 0, H = 1 e ricavando i valori di ψ e C, che poi si sostituiscono nelle espressioni di ξ e ϕ; e in modo analogo gli altri due. Le loro espressioni, molto semplici, sono le seguenti:
dove
Pur essendo dedotti dalle [21] che valgono per la lastra sferica, questi coefficienti elastici si possono usare con ottima approssimazione anche per lastre di rivoluzione di forma qualsiasi (paraboliche, coniche, cilindriche, ecc.), sostituendo a queste la lastra sferica equivalente, tangente alla lastra data in corrispondenza del contorno, e quindi di raggio R uguale al raggio R2 al contorno della lastra data, e dello stesso spessore. Infatti, per una breve zona prossima al contorno le due lastre si confondono, e quindi tale zona si deforma circa nello stesso modo in entrambe le lastre sotto l'azione delle forze H o delle coppie M agenti lungo il contorno, ma tale zona è soggetta anche alla reazione che oppone la zona di lastra che la segue, la quale, essendo già un po' diverse le due lastre, si comporta, e quindi reagisce, in modo diverso; tuttavia, per lo smorzamento rapido, la zona più lontana è poco sollecitata, e perciò reagisce in misura insignificante sulla zona prossima al contorno, e influisce in misura ancora minore sulle deformazioni ξ e ϕ del contorno stesso. In particolare, per θc = 90° (semisfera) i coefficienti coincidono con quelli che si trovano studiando la lastra cilindrica, per la quale sono esatti se la lunghezza è infinita.
L'approssimazione dei coefficienti elastici [22] è ottima per qualunque tipo di lastra, purché l'angolo θc non sia molto piccolo. Confrontati coi valori che si ottengono mediante le soluzioni esatte (nei pochi casi nei quali sono note), si riconosce che nei casi pratici l'errore è compreso fra l'i‰ e l'i %. Nel caso di lastre aventi due bordi (tubi, cupole aperte superiormente) essi sono praticamente indipendenti dalle condizioni di vincolo dell'altro bordo.
Cupole vincolate in varî modi. - Le reazioni del vincolo si ottengono facilmente tenendo conto delle condizioni imposte dal vincolo e facendo uso delle deformazioni ξp e ϕp provocate dalle forze esterne nel regime di membrana, che si calcolano mediante le [16], [18], e dei coefficienti elastici [22]. Ad es., nel caso della lastra perfettamente incastrata al contorno e soggetta a carichi simmetrici qualsiansi, le condizioni sono ξc = 0 e ϕc = 0; per cui le reazioni incognite Hc′ ed Mc sono determinate dalle equazioni
che risolte danno (ξh ϕm = 2ϕ²h)
Come si è detto, le deformazioni ξp e ϕp sono dovute soltanto ai valori locali di N2 ed N1, che dipendono dalla risultante Q delle forze esterne e non dalla loro distribuzione (escluse quelle molto vicine al bordo vincolato); per cui anche le reazioni del vincolo dipendono praticamente solo da Q.
La freccia elastica. - Ottenute le reazioni Hc′ ed Mc′ del vincolo, è facile calcolare la freccia elastica f, cioè l'abbassamento del vertice. Basta aggiungere alla freccia fp che si ha nel regime di membrana (che si ottiene come differenza delle η calcolate mediante la [17] per θ = 0 e per θ = θc) le frecce provocate da Hc′ e da Mc. Mediante il teorema di Betti, si trova che le forze Hc′ = 1 e le coppie Mc = 1 provocano abbassamenti del vertice che sono dati da
dove ξ0 e ϕ0 sono le deformazioni per θ = θc nel regime di membrana provocate da P =- 1 • 2π rc agente nel vertice. Ad es., nei casi della lastra sferica e della lastra conica si ha rispettivamente
Quindi la freccia è data da
I risultati che si ottengono differiscono pochissimo (dall'1‰ all'i %) da quelli forniti dalle soluzioni esatte, molto più laboriose.
La rigidezza del bordo di una lastra di rivoluzione. - Quando il bordo sia impedito di spostarsi (ξ = 0), è utile, come vedremo, considerare la rigidezza del bordo, che rappresenta il momento Mc che si deve applicare al bordo per ottenere, in tale condizione, la rotazione ϕc = 1. Per determinarla, si applica al bordo un momento Mc e si sostituisce il vincolo che impedisce lo spostamento con la reazione incognita Hc, che si determina mediante la condizione ξc = 0 e che è data da Hc = − Mc ξ/ξh = − α Mc/sen ηc; quindi si calcola la rotazione ϕc provocata da Mc e da Hc. Ponendo poi ϕc = 1, si ricava Mc, ossia la rigidezza, che risulta
La lastra circolare piana e la trave ad anello entrano spesso a far parte delle strutture complesse costituite da più lastre curve; per cui è utile considerare i loro coefficienti elastici e le loro rigidezze.
Nel caso della lastra circolare, di raggio R e di rigidezza B, i coefficienti elastici e la rigidezza del contorno sono espressi da
Nel caso della trave ad anello circolare, se R è il raggio dell'asse geometrico e se A e J sono l'area della sezione e il suo momento d'inerzia rispetto all'asse baricentrico contenuto nel piano dell'asse geometrico, si ha
Questi risultati non sembrano in armonia con l'espressione 2/ϕm data dalla [27]; ma il contrasto scompare osservando che qui è ϕh = 0, per cui la prima espressione [27] diventa appunto 1/ϕm.
Due lastre curve collegate in parallelo. - È facile ottenere anche i coefficienti elastici del bordo comune a due lastre di rivoluzione collegate tra loro in parallelo, che sono utili per semplificare lo studio di strutture più complesse. Indicando con gli indici 1 e 2 i coefficienti delle due lastre singole, i coefficienti dell'insieme sono dati da
dove
Se le due lastre sono al disopra del bordo comune (cupole), tutti i coefficienti parziali sono positivi. Se invece una delle lastre (o entrambe) è al disotto (cupola rovescia), per essa è negativo il coefficiente parziale misto, ossia ϕh2 = ξm2. Se una delle due parti è una lastra circolare piana o una trave ad anello, per essa si ha naturalmente ϕh2 = ξm2 = 0.
Nel caso in cui i coefficienti parziali siano uguali per le due lastre, le [32] si riducono alle
Nel caso in cui la seconda lastra sia al disotto del bordo comune e i coefficienti parziali siano uguali per le due lastre (salvo i segni di ϕh1 e ϕh2), le (32] dànno
In particolare, le [34] dànno i coefficienti elastici di un parallelo generico di una lastra di rivoluzione o di un tubo cilindrico, purché esso non sia molto vicino al bordo della lastra. Si noti che ϕh = ξm = 0, per cui la forza H non provoca rotazione ϕ e il momento M non provoca spostamento ξ (nell'ambito delle approssimazioni relative ai metodi in questione; esattamente nei tubi molto lunghi).
Le strutture complesse. - Sono frequenti le strutture costituite da più lastre di rivoluzione (eventualmente anche con lastre piane e con travi ad anello di cintura), due o più delle quali sono solidali tra loro lungo un bordo comune. Ad es., nei serbatoi Intze la parete cilindrica è solidale in basso col controfondo conico e con una trave ad anello, e in alto è solidale con l'eventuale cupola di copertura; mentre il fondo sferico e il controfondo conico sono solidali tra loro e con una seconda trave ad anello. Lo studio di queste strutture riesce molto semplice usando i coefficienti elastici, e ancora più semplice quando lo spostamento di un bordo è nullo e perciò si possono usare le rigidezze.
Il procedimento mediante i coefficienti elastici è ovvio: rese indipendenti tra loro le varie lastre che hanno un bordo comune e sostituita la solidarietà con forze Vc, Hc e coppie incognite distribuite lungo il bordo di ciascuna lastra, si ottengono le equazioni determinatrici delle incognite esprimendo che i bordi delle varie lastre subiscono lo stesso spostamento ξc e la stessa rotazione ϕc in virtù della solidarietà che prima esisteva. Le deformazioni ξc e ϕc si scrivono sovrapponendo quelle di membrana ξp e ϕp dovute alle forze esterne agenti sulla superficie della lastra e quelle dovute alle sollecitazioni incognite agenti lungo il bordo, che si esprimono mediante i coefficienti elastici. Si deve però tenere ben presente che per le lastre che hanno θc ??? 90°, la seconda parte delle deformazioni, cioè quella dovuta alle sollecitazioni al contorno e che va aggiunta alle ξp e ϕp, non è dovuta soltanto alla Hc. e a Mc, ma che ad Hc va aggiunta la componente orizzontale dello sforzo di membrana N1 cambiata di segno, cioè H′ = −N1 cos θc; così che si deve tener conto di Hc′= Hc + H′ e di Mc. Infatti, quando si svincola una lastra dal bordo comune all'altra o alle altre, essa è soggetta alla reazione verticale Vc (uguale al carico Q diviso per 2π rc) e alle reazioni incognite Hc ed Mc; ma poiché le deformazioni di membrana sono relative allo sforzo N1, si deve sostituire la Vc con N1 (che ha appunto come componente verticale la V1) e con H′ = N1 cos θc. Allora al bordo agiscono N1, che non provoca nuove deformazioni (perché il suo effetto è già compreso nelle ξp e ϕp), il momento Mc e la forza orizzontale Hc + H′, che provocano la seconda parte delle deformazioni del bordo. In altri termini, la Hc è la componente orizzontale totale della reazione mutua che agisce sulla lastra in esame, mentre Hc + H′ è la forza orizzontale in più del regime di membrana. Se le lastre in parallelo sono n, si hanno 2 (n -1) incognite e altrettante equazioni.
Quando le lastre in parallelo siano tre, si può procedere con due sole incognite invece di quattro, considerando una delle lastre e l'insieme delle altre due, per il quale si usano i coefficienti [32].
Quando esistono più di due lastre (o lastre e trave ad anello) collegate tra loro in parallelo lungo un bordo comune, si può ancora procedere con due sole incognite se si usa il metodo delle deformazioni invece di quello delle forze, assumendo come incognite lo spostamento ξc e la rotazione ϕc del bordo. Basta esprimere H ed M in funzione di ξc, ϕc, delle reazioni È ed M??? d'incastro perfetto e di H′; e quindi usare le equazioni di equilibrio del bordo ΣH = 0, ΣM = 0.
Infine, quando il bordo comune a più lastre sia impedito di spostarsi (ξc = 0), ad es. perché a esso fa capo anche una lastra circolare piana per la quale si ha ξc = ~ 0 (esattamente ξc = 0 se essa fa capo a un parallelo intermedio di una lastra cilindrica o di rivoluzione), il procedimento diventa estremamente semplice con l'uso delle rigidezze, poiché si riduce a ripartire la somma algebrica dei momenti d'incastro perfetto cambiata di segno, cioè − ΣM???, proporzionalmente alle singole rigidezze (come si fa per le travi in parallelo). Quindi le parti così ottenute si aggiungono ai momenti d'incastro perfetto M???.
Qualunque sia il metodo che si usa, il calcolo è molto più semplice di quello delle strutture costituite da travi, perché, come si è detto, le deformazioni di un bordo di una lastra non dipendono dalle condizioni di vincolo dell'eventuale altro bordo; ciò che consente di studiare ciascun bordo comune a due o più lastre (con o senza trave ad anello) indipendentemente dagli altri bordi. Inoltre, in virtù dello smorzamento, è anche evitata la trasmissione di momenti da un bordo all'altro. Così ad es. in un serbatoio Intze si studiano separatamente il bordo comune alla parete cilindrica, al controfondo conico e alla trave ad anello; quello comune al controfondo conico, al fondo sferico e alla seconda trave ad anello; ed eventualmente quello comune alla parete cilindrica e alla cupola di copertura di questa.
Questi procedimenti richiedono un tempo incomparabilmente minore di quello richiesto dall'impiego delle soluzioni esatte.
Cenni costruttivi. - Rispetto alle cupole costruite nei tempi passati, che avevano spessori fortissimi, le moderne cupole di cemento armato hanno spessori esigui nonostante le dimensioni talvolta grandiose. Così le cupole semisferiche dei principali planetarî, con diametri di circa 25 m., hanno lo spessore di soli 6 cm. La cupola sopra la Absprengerei di Jena, a forma di calotta sferica di 40 m di diametro e 7,87 m di freccia (θc = 45°, R = 28,28 m.), ha lo spessore di 6 cm. La cupola dell'officina elettrica di Francoforte, di 26 m. di diametro e di 3,50 m. di freccia (R = 25 m.), ha lo spessore di soli 4 cm. Spessori così ridotti sono resi possibili dal fatto che le tensioni di membrana σ1 e σ2 provocate dal peso proprio sono molto modeste (e indipendenti dallo spessore), e pure modeste sono quelle provocate dalla neve e dal vento; mentre i momenti flettenti sono pressoché nulli. La grande rigidezza dovuta all'azione delle strisce parallele rende tali cupole pochissimo deformabili, e anche molto resistenti contro i fenomeni di instabilità.
L'armatura metallica può essere costituita da un reticolato ad ampie maglie triangolari, come nel sistema Zeiss, oppure da ferri disposti secondo i paralleli e i meridiani, situati in prossimità delle superficie di estradosso e di intradosso. Il bordo è cinto di solito da una trave ad anello, spesso impostata su pilastri facilmente deformabili nella direzione radiale per consentire lo spostamento ξc in tale direzione. In sommità la cupola è comunemente aperta e sormontata da un lucernario.
Bibl.: Per le lastre piane: J. G. Boobnov, Theory of structure of ships, Pietroburgo 1914; H. Marcus, Die Theorie elast. Gewebe, ecc., Berlino 1924; A. Nadai, Die elast. Platten, Berlino 1925; V. Lewe, Pilzdecken, ivi 1926; B. G. Galerkin, Elastic thin plates, Mosca 1933; S. Timoshenko, Theory of plates and shells, New York 1940; O. Belluzzi, Scienza delle costruzioni, III, Bologna 1947. - Per le lastre curve: La teoria generale delle lastre di rivoluzione, impostata da A. E. H. Love, in T. Pöschl, Berechnung von Behältern, Berlino 1926; W. Flügge, Statik und Dynamik der Schalen, Berlino 1934; S. Timoshenko, op. cit., ecc. I principali metodi d'integrazione in H. Reissner, in Müller-Breslau-Festschrift, Lipsia 1912; E. Meissner, in Phys. Zs., XIV, 1913; O. Blumenhtal, in Zs. Math. Phys., 1914; E. Schwerin, in Arm. Beton, 1919; E. Orabona, Calcolo delle piastre a doppia curvatura, Bari 1929. Cfr. O. Belluzzi, in Ann. Lav. Pubbl., 1929, 1931, 1933. La soluzione semplificata di J. W. Geckeler nei Forsch. Geb. Ingenieurw., fasc. 276, Berino 1926. I metodi per lo studio semplificato in O. Belluzzi, Scienza delle costruzioni, cit., 1949. Indicazioni costruttive sulle cupole si trovano ad es. nel cap. di F. Dischinger, in Hand. f. Eisenbetonbau, 3ª ed., Berlino 1928, XII, ii; sui serbatoi, in E. Casati, Grandi serbatoi d'acqua, Torino 1913.