Laser e fotonica
SOMMARIO: 1. Introduzione. □ 2. Sviluppo storico. □ 3. Le sorgenti laser: a) principî di funzionamento; b) laser a semiconduttore; c) laser a stato solido. □ 4. Lettura e registrazione dell'informazione: a) lettori di dischi ottici; b) memorie a dischi ottici; c) stampanti laser. □ 5. Trasmissione dell'informazione: a) sistemi di comunicazione ottica; b) fibre ottiche; c) amplificatori ottici; d) diramatori, modulatori e commutatori; e) dispositivi fotonici integrati. □ 6. Elaborazione dell'informazione: a) elaborazione ottica analogica dell'informazione; b) calcolatori ottici digitali. □ Bibliografia.
1. Introduzione
In analogia con una possibile definizione di elettronica basata sulle sue finalità applicative (v. elettronica, vol. II), la fotonica è definibile come quella disciplina che riguarda lo studio e lo sviluppo di tecniche, dispositivi e sistemi per la trasmissione, il trattamento, la registrazione e l'elaborazione dell'informazione, in cui la luce, e quindi il fotone, svolge un ruolo fondamentale o prevalente. La fotonica è nata a seguito dell'invenzione del laser e si è potuta sviluppare grazie all'eccezionale evoluzione che questi dispositivi e le tecnologie ottiche a essi associate hanno avuto da allora.
Il laser (v. ottica quantistica, vol. V) è un dispositivo optoelettronico in grado di generare radiazione coerente in un ampio intervallo dello spettro elettromagnetico che si estende, allo stato attuale, dalle onde submillimetriche alla regione dei raggi X molli. Esso utilizza un processo di amplificazione basato sul fenomeno dell'emissione stimolata, possibile in sistemi atomici o molecolari eccitati, portati cioè fuori dall'equilibrio termodinamico. La parola LASER è un acronimo derivante dall'espressione inglese Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation che ne sintetizza il principio di funzionamento, modificazione di MASER, Microwave Amplification by Stimulated Emission of Radiation, che designa un analogo dispositivo sviluppato in precedenza e funzionante secondo lo stesso principio nel campo delle microonde. I laser costituiscono un insieme numeroso e diversificato di dispositivi con caratteristiche differenti in termini di materiali utilizzati, tecniche di eccitazione, dimensioni fisiche, efficienza, potenza ottica generata, lunghezza d'onda e coerenza della radiazione emessa. Una particolare classe di laser, quella dei laser a semiconduttore, ha assunto, nel corso degli anni, un'importanza sempre crescente, soprattutto nel campo della fotonica.
Il termine ‛fotonica', derivante da ‛fotone' - il quanto elementare di radiazione elettromagnetica -, designa una tecnologia relativamente giovane e un insieme di conoscenze operative in cui i fotoni compiono le operazioni tipiche della scienza dell'informazione. Questo pone immediatamente in evidenza come la fotonica, al pari dell'elettronica, debba essere considerata una disciplina di base di tipo trasversale, che può trovare applicazione in svariati settori. Le potenzialità della fotonica derivano in particolare dalle capacità trasmissive molto elevate delle sorgenti laser (che arrivano fino a centinaia di gigabit al secondo), dalle larghissime bande disponibili nei materiali utilizzati sia per la trasmissione della luce che per la sua amplificazione (decine di terahertz nei vetri ultrapuri con i quali sono realizzate le fibre ottiche e gli amplificatori ottici in fibra), dalle ridottissime dimensioni a cui è possibile focalizzare un fascio laser (che nei lettori a dischi ottici, ad esempio, è dell'ordine del micrometro) e dalle elevate intensità che consente di ottenere nel fuoco di una lente (proprietà usata, ad esempio, nelle stampanti laser e nelle memorie ottiche). Inizialmente il termine ‛fotonica' è stato adoperato solo in senso stretto: per indicare quei componenti, come gli amplificatori ottici, o quelle applicazioni, in cui i flussi di fotoni sono controllati e modificati esclusivamente con segnali ottici. Più recentemente esso ha assunto un significato più ampio, comprendendo tutti quei componenti e sistemi che funzionano con segnali a frequenze ottiche e in cui, peraltro, vengono utilizzati anche segnali e comandi elettrici, come, ad esempio, nei modulatori elettro-ottici e negli stessi laser a semiconduttore.
2. Sviluppo storico
Si può far risalire l'inizio dello sviluppo dei laser al famoso lavoro di A. L. Schawlow e C. H. Townes (v., 1958), in cui venivano poste molte delle basi teoriche necessarie per la loro realizzazione. Il primo laser, un laser a rubino, fu costruito e fatto funzionare da T. H. Maiman (v., 1960) circa due anni più tardi. La successiva realizzazione di altri laser a stato solido e dei primi laser a gas stimolò, sin da allora, una serie di studi teorici e sperimentali per esplorarne le potenzialità nel settore delle comunicazioni. Il notevole interesse derivava dall'elevata capacità d'informazione che, in linea di principio, era possibile trasmettere su una portante a frequenza così elevata (≈ 5 × 1014 Hz). Tuttavia, la mancanza di sorgenti laser e di mezzi trasmissivi con caratteristiche adeguate raffreddò presto l'entusiasmo dei primi ricercatori. Da un lato, infatti, i laser a semiconduttore ad arseniuro di gallio (GaAs), realizzati contemporaneamente da due gruppi di ricercatori americani alla fine del 1962 (v. Hall e altri, 1962; v. Nathan e altri, 1962) e potenzialmente interessanti per le loro proprietà, potevano funzionare in regime continuo solo alla temperatura dell'azoto liquido (77 K). Dall'altro, l'uso di una fibra ottica come mezzo trasmissivo non appariva, a quel tempo, promettente, poiché le fibre disponibili, principalmente usate per trasmettere immagini nei ‛fibroscopi', presentavano attenuazioni molto elevate, dell'ordine di migliaia di decibel (dB) per chilometro di lunghezza.
Verso la fine degli anni sessanta, tuttavia, una serie di risultati teorici e, soprattutto, sperimentali cambiò completamente la situazione. In un articolo del 1966 fu dimostrato, infatti, che l'elevata attenuazione misurata nei vetri fino ad allora usati per le fibre ottiche non derivava da una proprietà di base del materiale, ma era dovuta alla presenza di impurezze, in particolare di ioni metallici (v. Kao e Hockam, 1966). Quasi contemporaneamente venne realizzato il laser a semiconduttore a doppia eterostruttura, rivelatosi in grado di funzionare a temperatura ambiente (v. Hayashi e altri, 1970): fu subito evidente che questo dispositivo rappresentava il miglior candidato per l'applicazione in esame. Nello stesso anno, la Corning Glass Works riuscì, riducendo il livello di impurezze, a fabbricare fibre a singolo modo con perdite inferiori a 20 dB/km (v. Kapron e altri, 1970). Iniziò da allora un poderoso sviluppo industriale, sia nel campo dei laser a semiconduttore sia in quello delle fibre ottiche, che, nell'arco di un decennio, portò a risolvere la maggior parte dei problemi tecnologici che ostacolavano l'effettiva diffusione commerciale delle comunicazioni ottiche. Lungo questa strada, l'introduzione dei laser a semiconduttore a pozzi quantici (v. Chang e altri, 1974) ha costituito uno degli sviluppi più importanti degli ultimi anni, consentendo un notevole miglioramento di tutte le caratteristiche del dispositivo.
Particolare menzione meritano l'invenzione e lo sviluppo degli amplificatori a fibra ottica, di estrema rilevanza per l'introduzione su larga scala della fotonica nel campo delle comunicazioni. Sorprendentemente, l'idea dell'amplificazione e dell'azione laser in una fibra ottica drogata con terre rare fu dimostrata ben prima dello sviluppo delle comunicazioni ottiche (v. Koester e Snitzer, 1964). Questa idea, tuttavia, era così rivoluzionaria e in anticipo sui tempi che le sue potenzialità non furono comprese per parecchi anni. L'effettivo interesse per le fibre a singolo modo drogate con terre rare si sviluppò infatti circa vent'anni dopo, quando un gruppo di ricercatori dell'Università di Southampton (Inghilterra) dimostrò la possibilità di ottenere guadagno e azione laser in una fibra a singolo modo drogata con neodimio come materiale attivo ed eccitata da laser opportuni (v. Mears e altri, 1986 e 1987). Da allora, in pochissimi anni, gli amplificatori ottici in fibra drogata con terre rare, e in particolare con erbio, sono stati commercializzati e la loro diffusione ha rivoluzionato il campo delle comunicazioni ottiche, svolgendovi un ruolo sempre più rilevante.
Lo sviluppo dei dischi ottici, una pietra miliare per l'introduzione della fotonica nel campo dell'informatica e delle comunicazioni multimediali, ha luogo quasi interamente in campo industriale, per merito, inizialmente, di poche società, in particolare della Philips. Le prime ricerche, avviate verso la fine degli anni sessanta, culminarono con la produzione, nel 1972, del sistema Laservision basato su un videodisco del diametro di circa 30 cm, in cui l'informazione era codificata in forma analogica (v. Compmaan e Kramer, 1973). Questo prodotto ebbe, tuttavia, un limitato successo commerciale a causa della contemporanea diffusione dei videoregistratori magnetici che, a differenza del videodisco, usano cassette cancellabili e scrivibili da parte dell'utilizzatore. Il pieno successo arriva invece solo dieci anni dopo (1983), quando la Philips presenta il primo Compact Disc (CD) audio, in cui, su un dischetto di 12 cm di diametro, sono registrate in forma digitale informazioni musicali ad altissima fedeltà. L'enorme impatto del CD audio nel campo dell'elettronica di largo consumo ha a sua volta stimolato un'intensa attività di ricerca industriale da parte di numerose altre società, soprattutto giapponesi, che ha portato all'odierna diffusione dei CD-ROM (Compact Disc-Read Only Memory), destinati a memorizzare testo e dati, ad esempio per personal computer, all'introduzione dei dischi ottici scrivibili una sola volta dall'utilizzatore e dei dischi cancellabili e, ancor più recentemente, alla commercializzazione dei videodischi digitali DVD (Digital Video Disc), in sostituzione delle videocassette a nastro magnetico preregistrate.
3. Le sorgenti laser
In questo capitolo, dopo aver brevemente richiamato i principî fisici di funzionamento del laser, descriveremo e analizzeremo le principali caratteristiche di quei tipi di laser che hanno reso possibile lo sviluppo della fotonica, cioè i laser a semiconduttore e alcuni tipi di laser a stato solido. (Per una descrizione più dettagliata del funzionamento del laser e delle proprietà della radiazione coerente generata, v. ottica quantistica, vol. V; v. Louisell, 1973; v. Sargent e altri, 1974; v. Siegman, 1986; v. Svelto, 19984; v. Yariv, 19893).
a) Principî di funzionamento.
Si consideri l'interazione di un campo elettromagnetico (e.m.) monocromatico a frequenza ν con un materiale rappresentabile come un sistema a due livelli: il livello 1, inferiore, con energia E1 e densità di popolazione atomica N1, e il livello 2, superiore, con energia E2 e densità di popolazione atomica N2. Se la frequenza ν coincide all'incirca con la frequenza ν0 = (E2 - E1)/h della transizione, possono avvenire i seguenti due fenomeni: 1) assorbimento di radiazione (v. fig. 1A), in cui un fotone del campo e.m. si annichila cedendo la sua energia all'atomo e inducendo una transizione elettronica dal livello 1 al livello 2; il numero dei fotoni assorbiti per unità di volume e di tempo è pari al numero degli atomi che passano, per unità di volume e di tempo, dal livello 1 al livello 2, ed è dato da
dnf/dt = - dN1/dt = W12N1, (1)
dove il coefficiente W12 è detto ‛tasso - o probabilità - di assorbimento'; 2) emissione stimolata (v. fig. 1B), in cui un fotone del campo e.m. interagisce con il sistema atomico inducendo la transizione di un elettrone dal livello 2 al livello 1 e la simultanea emissione di un altro fotone; la corrispondente radiazione generata risulta coerente con l'onda e.m. incidente e cioè si somma a essa con uguale fase e nella stessa direzione. Il numero dei fotoni generati per unità di tempo e di volume è uguale al numero degli atomi che, nell'unità di tempo e di volume, passano dal livello 2 al livello 1 ed è dato da
dnf/dt = - dN2/dt = W21N2, (2)
dove il coefficiente W21 è detto ‛tasso - o probabilità - di emissione stimolata'. Per livelli non degeneri o con la stessa degenerazione e considerando, ad esempio, un'onda e.m. piana, si può mostrare che W12 = W21 = σF, dove F è il flusso fotonico e il parametro σ, caratteristico del materiale, è detto ‛sezione d'urto della transizione'. Oltre a questi fenomeni stimolati da una radiazione incidente, se l'atomo si trova inizialmente eccitato sul livello 2, possono anche verificarsi i seguenti altri due fenomeni: 3) emissione spontanea (v. fig. 1C), in cui un atomo decade dal livello superiore a quello inferiore emettendo un fotone di energia hν0; il numero dei fotoni emessi per unità di volume e di tempo è pari a
dnf/dt = - dN2/dt = AN2, (3)
dove il coefficiente A è detto ‛tasso - o probabilità - di emissione spontanea, o radiativa'; 4) decadimento non radiativo (v. fig. 1D), in cui il decadimento dal livello 2 al livello 1 avviene cedendo la corrispondente energia (E2 - E1), sotto forma di energia traslazionale, rotazionale, vibrazionale o di eccitazione elettronica, alle specie atomiche o molecolari circostanti. Il corrispondente tasso di decadimento della popolazione N2 può scriversi
dN2/dt = - N2/τnr, (4)
dove τnr è detto ‛tempo di decadimento non radiativo'.
Si consideri ora un'onda piana di frequenza ν ≅ ν0 che si propaga nella direzione z del materiale in esame. Per effetto dell'assorbimento e dell'emissione stimolata, il flusso fotonico F dell'onda, nell'attraversare il tratto dz di materiale, subisce una variazione dF che in base alla (1) e alla (2), risulta
dF = σF(N2 - N1) dz. (5)
D'altra parte le popolazioni atomiche N1e ed N2e, presenti sui due livelli energetici all'equilibrio termodinamico, sono governate dalla statistica di Boltzmann e il loro rapporto è quindi dato da
N1e/N2e = exp [- (E2 - E1)/kT], (6)
dove k= 1,38 × 10-23 J/K è la costante di Boltzmann e T è la temperatura assoluta. È immediato verificare, tramite la (6), che si ha sempre N2e〈N1e, per cui dalla (5) deriva dF 〈 0: qualsiasi materiale, all'equilibrio termodinamico, risulta dunque assorbente. È tuttavia possibile, fornendo dall'esterno energia, realizzare artificialmente una situazione di non equilibrio, tale che sia N2>N1. In tal caso si ha dF >0 e il materiale amplifica la radiazione incidente. Tale condizione va sotto il nome di ‛inversione di popolazione' e il materiale in cui essa si realizza è detto ‛attivo' o ‛invertito'. Il processo mediante il quale si determina l'inversione di popolazione fornendo energia al sistema di atomi è detto ‛pompaggio'. Di solito questo processo si realizza fornendo energia all'atomo sotto forma di radiazione e.m. (pompaggio ottico nei laser a stato solido e liquido), per collisione con elettroni accelerati in una scarica elettrica (pompaggio elettrico nei gas), a seguito di passaggio di corrente in una giunzione p-n (pompaggio per iniezione di portatori nei semiconduttori), o mediante una reazione esotermica (pompaggio chimico).
Un materiale attivo è pertanto un amplificatore alla frequenza ν0 della transizione. Se il materiale è posto in un'opportuna cavità risonante, è possibile trasformare tale amplificatore in un oscillatore. Nel caso in cui la frequenza ν della radiazione sia compresa nell'intervallo che va dall'infrarosso ai raggi X, l'oscillatore è detto ‛laser'. In questo caso il mezzo attivo è posto di solito tra due specchi, ad esempio piani e paralleli, a elevata riflettività (v. fig. 2). La radiazione e.m., propagandosi avanti e indietro tra i due specchi che formano la cavità risonante, viene amplificata dal mezzo attivo a ogni passaggio. Se uno dei due specchi è reso parzialmente trasparente, è possibile estrarre attraverso di esso parte del campo e.m., ottenendo un fascio di radiazione coerente. Affinché il dispositivo possa funzionare in regime stazionario è necessario che il guadagno fornito per ogni passaggio dal mezzo attivo compensi le perdite della cavità, comprese le perdite per la parziale trasmissione verso l'esterno. Questo comporta che, per avere azione laser, l'inversione (N2 - N1) deve raggiungere un valore critico o di soglia, (N2 - N1)c, dato da
(N2 - N1)c = - ln (R1R2)/σl, (7)
dove R1 e R2 sono le riflettività dei due specchi e l è la lunghezza del mezzo attivo (le perdite del risonatore, a esclusione di quelle prodotte dallo specchio d'uscita, si sono assunte trascurabili).
b) Laser a semiconduttore.
Il principio di funzionamento di un laser a semiconduttore si basa sulla realizzazione di un'inversione di popolazione tra banda di conduzione e banda di valenza (v. semiconduttori, vol. XI; v. solidi, fisica dei, vol. VI). Si consideri per semplicità un semiconduttore a temperatura prossima a 0 K, la cui banda di valenza sia totalmente occupata da elettroni, mentre quella di conduzione sia completamente spopolata (v. fig. 3A). Innalzando, in maniera opportuna, alcuni elettroni in banda di conduzione, questi vanno a occupare gli stati disponibili sul fondo della banda stessa. Corrispondentemente, si liberano altrettanti stati alla sommità della banda di valenza (creando delle lacune) e si produce quindi un'inversione di popolazione fra il fondo della banda di conduzione e la sommità della banda di valenza (v. fig. 3B). L'emissione spontanea avviene a seguito delle transizioni elettroniche dai livelli occupati in banda di conduzione a quelli vuoti in banda di valenza (radiazione di ricombinazione elettrone-lacuna). Il laser a semiconduttore sfrutta quindi l'emissione stimolata di radiazione di ricombinazione. Per generare la condizione di non equilibrio sopra descritta, si utilizza la regione di giunzione p-n fra semiconduttori degeneri (in cui, cioè, i quasi livelli di Fermi sono situati all'interno delle bande di conduzione e di valenza per drogaggio n e p, rispettivamente) in polarizzazione diretta e in condizione di elevata iniezione di portatori attraverso la giunzione.
I dispositivi moderni (v. Agrawal e Dutta, 1986) utilizzano una doppia eterogiunzione, cioè due giunzioni tra materiali semiconduttori con diversa energia di banda proibita, ad esempio AlGaAs-GaAs oppure InGaAsP-InP, come illustrato nella fig. 4A. Il sottile strato di materiale attivo (~ 0,1 µm), costituito da GaAs (o da InGaAsP), è interposto tra due strati di AlGaAs (o di InP), a indice di rifrazione minore e con banda di energia proibita maggiore, l'uno con drogaggio n e l'altro con drogaggio p. In questo modo si realizza un elevato confinamento sia dei portatori di carica, a causa delle barriere di potenziale che si creano alle interfacce fra le due eterostrutture (v. fig. 4B), sia della radiazione laser, a causa del salto di indice di rifrazione fra le due eterostrutture (v. fig. 4). In queste condizioni, la densità di corrente di soglia risulta abbastanza contenuta (J ≅ 103 A/cm2) da rendere possibile l'azione laser in regime di onda continua a temperatura ambiente.
Più recentemente sono stati realizzati laser a semiconduttore a pozzo quantico (v. Zory, 1993), in cui lo spessore dello strato attivo è inferiore a 10 nm, dimensione confrontabile con la lunghezza d'onda di de Broglie dell'elettrone. A causa del conseguente effetto di confinamento quantomeccanico dei portatori, si produce una considerevole diminuzione (di circa un fattore 10) della densità di corrente di soglia. Laser a pozzi quantici multipli, costituiti dall'alternarsi di strati, ad esempio, di GaAs e di AlGaAs, tutti di dimensioni confrontabili con la lunghezza d'onda di de Broglie, presentano, ad alte densità di corrente, un coefficiente di guadagno ottico anche superiore a quelli a pozzo singolo. Sono anche stati realizzati laser a filo quantico e punto quantico, con confinamento quantomeccanico bidimensionale e tridimensionale, con densità di corrente di soglia ancora inferiore.
Da un punto di vista costruttivo, per ridurre la corrente totale di iniezione, si utilizza la cosiddetta ‛geometria a striscia', in cui la corrente iniettata dall'elettrodo positivo è confinata entro una sottile striscia di larghezza s ≅ 5 µm e di lunghezza L uguale a quella del semiconduttore, pari a circa 250 µm (v. fig. 5). Le facce terminali del semiconduttore, ottenute per sfaldatura del cristallo, costituiscono i due specchi del risonatore ottico e l'emissione laser avviene perpendicolarmente a tali facce. Nel caso della fig. 5A, la dimensione del fascio laser, nella direzione parallela alla giunzione, risulta confinata dalla zona s, in cui si produce l'inversione (laser a guida di guadagno). Si ottiene così un fascio d'uscita tipicamente di dimensioni ~ 1 × 5 µm2. Per ottenere un miglior confinamento laterale della radiazione laser, si utilizzano i laser a guida d'indice, in cui si produce una diminuzione dell'indice di rifrazione ai due lati del materiale attivo (mediante InP drogato p nel caso della fig. 5B), la cui estensione W risulta così limitata. Il sottile strato di materiale attivo risulta quindi completamente circondato da materiale (InP, nella fig. 5B) a indice di rifrazione minore e, a causa del forte salto d'indice (Δν = 0,2-0,3), il modo laser risulta confinato in una guida bidimensionale sepolta e ha tipicamente dimensioni ~ 1 × 3 µm2. Questo è attualmente il tipo di dispositivo maggiormente usato.
I laser a semiconduttore impiegati nelle applicazioni fotoniche emettono nel visibile o nel vicino infrarosso. Nel visibile è generalmente usata, come materiale attivo, la lega Ga1-xInxP con pozzi quantici multipli del tipo GaInP/InP. Per x = 0,5, la radiazione laser è emessa alla lunghezza d'onda λ ≅ 670 nm ed è utile per la lettura dei dischi ottici. Nel vicino infrarosso si usano principalmente leghe ternarie e quaternarie. Particolarmente importanti sono le leghe ternarie InxGa1-xAs con pozzi quantici del tipo InGaAs/Al0,2Ga0,8As (840 nm〈λ〈1.330 nm per ≤ x ≤ 0,5), usate nei laser impiegati per il pompaggio degli amplificatori ottici, e le leghe quaternarie InxGa1-xAsyP1-y con pozzi quantici del tipo InGaAsP/InP (1.100 nm〈λ〈1.600 nm), usate per la fabbricazione dei laser per comunicazioni ottiche in seconda (λ ≈ 1.300 nm) e terza finestra (λ ≈ 1.550 nm).
I laser schematizzati nella fig. 5, A e B, che utilizzano le due facce terminali come elementi per produrre la necessaria retroazione positiva, sono indicati come laser del tipo Fabry-Perot. La larga banda di guadagno di un laser a semiconduttore, tuttavia, fa sì che questi dispositivi emettano radiazione con una larghezza spettrale dell'ordine del nanometro, corrispondente all'oscillazione di molti modi longitudinali adiacenti. Per ottenere dispositivi a singola frequenza, si utilizzano strutture a retroazione distribuita (DFB, Distributed FeedBack laser) o a riflettore di Bragg distribuito (DBR, Distributed Bragg Reflector). Nei laser DFB, una corrugazione periodica, nella direzione longitudinale, di uno strato adiacente alla regione attiva provoca una corrispondente variazione periodica dell'indice di rifrazione efficace vista dal fascio laser (v. fig. 6A). Si crea così un reticolo di diffrazione che accoppia le due onde che si propagano in verso opposto nel laser solo a una ben determinata lunghezza d'onda, detta ‛lunghezza d'onda di Bragg', data da λ = 2nΔL, dove ΔL è il periodo della variazione di indice e n è l'indice di rifrazione efficace visto dal fascio laser. Nei laser DBR (v. fig. 6B), la modulazione dell'indice di rifrazione è realizzata in due zone terminali, al di fuori della regione attiva, che svolgono il ruolo di riflettori a banda strettissima, selezionando il singolo modo longitudinale.
Per aumentare le potenze di uscita vengono anche realizzate strutture lineari di laser a diodi (laser diode arrays) composte da centinaia o migliaia di emettitori, con dimensioni lineari variabili dal centinaio di micrometri fino al centimetro e potenze di uscita che raggiungono le decine di watt. Strutture bidimensionali composte da schiere lineari (da qualche unità ad alcune decine) sono in grado di emettere potenze in regime quasi continuo fino ad alcune centinaia di watt. Tali dispositivi, realizzati prevalentemente con AlGaAs, sono utilizzati sia per lavorazioni meccaniche e applicazioni medicali, sia per il pompaggio di laser a stato solido (v. Koechner, 19964).
c) Laser a stato solido.
Sono detti ‛laser a stato solido' quei laser che utilizzano come mezzo attivo un cristallo (o un vetro) drogato con ioni di metalli di transizione (ad esempio Cr3+, Ti3+) o di terre rare (ad esempio Nd3+, Er3+, Ho3+), che, presenti sotto forma di impurezze, costituiscono la specie attiva (v. Koechner, 19964). Nel seguito si illustreranno solo alcuni laser di specifico interesse per le applicazioni fotoniche, sia di tipo convenzionale (in cui il materiale attivo ha forma di barretta o di disco) sia in fibra ottica. La caratteristica comune di questi dispositivi, per il resto notevolmente diversi come struttura, è il pompaggio ottico mediante laser a semiconduttore.
Il laser a Nd:YAG (dall'inglese Yttrium Aluminum Garnet) utilizza una matrice costituita da un granato di ittrio e alluminio in cui lo ione Nd3+ (~ 1% in percentuale atomica) sostituisce lo ione Y3+; esso ha la transizione più intensa nel vicino infrarosso a 1,06 µm (potenze di uscita fino a centinaia di watt) ma, nell'ambito delle comunicazioni ottiche guidate, è specificamente utilizzato per un'altra sua riga di emissione a 1,32 µm, lunghezza d'onda a cui le fibre ottiche presentano il minimo di dispersione. Il pompaggio avviene longitudinalmente, utilizzando la radiazione emessa da un laser a AlGaAs a 0,808 µm (v. fig. 7) e la potenza d'uscita risulta dell'ordine delle decine di mW.
Il laser in fibra è un dispositivo a onda guidata, in cui una fibra ottica in vetro, con il nucleo opportunamente drogato, costituisce sia il mezzo guidante che il materiale attivo (v. Digonnet, 1993). La struttura di base è molto semplice: la fibra ottica attiva, lunga alcuni metri, è posizionata tra due specchi, che possono essere anche costituiti da reticoli di Bragg (v. sopra, § b) riflettenti alla lunghezza d'onda desiderata. Il pompaggio avviene longitudinalmente lanciando nella fibra la radiazione emessa da un diodo laser o attraverso uno dei due riflettori della cavità, trasparente alla lunghezza d'onda del laser di pompa, oppure mediante un accoppiatore direzionale in fibra ottica, come nel caso dell'amplificatore ottico in fibra (v. fig. 17). Tra i laser in fibra, un ruolo particolarmente importante è rivestito dal laser a Er3+, che emette nella regione spettrale intorno a 1.500 nm, di grande importanza per le comunicazioni in fibra ottica. Esso può essere pompato da laser a semiconduttore, con emissione sia a 1.480 nm (InGaAsP) che a 980 nm (InGaAs), e può funzionare in regime continuo (potenze di alcune decine di mW) o impulsato (mode-locking sia attivo che passivo con impulsi anche di tipo solitonico).
4. Lettura e registrazione dell'informazione
Nella categoria degli strumenti per la lettura delle informazioni rientrano, in linea di principio, tutti i dispositivi e i sistemi ottici atti a ricavare informazioni dal mondo fisico che ci circonda. In questa categoria vanno quindi anche inclusi, ad esempio: a) i misuratori di distanza, sia con tecniche simili a quelle dei radar che con tecniche interferometriche; b) i misuratori di parametri dinamici di oggetti in movimento, quali la velocità lineare (i velocimetri Doppler), la velocità angolare (i giroscopi laser), lo stato di vibrazione (ad esempio mediante tecniche olografiche); c) i misuratori di parametri ambientali, quali la temperatura, la pressione e la composizione chimica (ad esempio mediante sensori a fibra ottica o tecniche LIDAR, Light Detection And Ranging). Si tratta di una categoria molto vasta di sensori ottici, che, per ragioni di spazio, non è possibile trattare in questo articolo: ci si limiterà a considerare solo il caso, di maggior interesse per la scienza dell'informazione, della lettura ottica dell'informazione codificata. I due sistemi più diffusi sono i lettori di dischi ottici e i lettori di codici a barre: di essi si illustrerà nel seguito solo il primo.
Nel campo della registrazione dell'informazione rientrano i dispositivi di registrazione digitale, cioè l'intera categoria dei dischi ottici, i dispositivi di registrazione olografica, le stampanti e le fotocopiatrici laser; tratteremo soltanto le memorie a dischi ottici e le stampanti laser, facendo tuttavia presente che i dispositivi di registrazione olografica potranno, in futuro, rivestire un ruolo ancora più importante degli attuali dischi ottici.
a) Lettori di dischi ottici.
L'informazione contenuta in un disco ottico è di solito codificata in forma digitale mediante una serie di microscopiche areole circolari o di forma oblunga, di dimensioni dell'ordine del micrometro e disposte lungo un tracciato a spirale (v. sotto, § b). Queste areole presentano, indipendentemente dalle specifiche caratteristiche realizzative, una riflettività differente, di solito inferiore, rispetto a quella della superficie adiacente. Per la lettura di questa informazione si utilizza il fascio di un laser a semiconduttore, focalizzato, sul disco in rotazione, a un diametro che risulta anch'esso di circa un micrometro (v. fig. 8). Mediante opportuni servomeccanismi, questo fascio è indotto a seguire il tracciato a spirale del disco ottico; la luce riflessa dal disco presenterà variazioni di intensità dovute alla presenza (bassa riflettività, bit 0) o assenza (elevata riflettività, bit 1) di una areola. Il fascio riflesso viene quindi raccolto dalla stessa lente di focalizzazione, separato dal fascio incidente mediante, ad esempio, una lamina a quarto d'onda e un polarizzatore, e infine inviato su un fotorivelatore che converte il segnale ottico digitale in segnale elettrico. Il sistema di lettura originariamente realizzato dalla Philips è mostrato nella fig. 9, in cui la testina, contenente la lente di focalizzazione, il divisore di fascio e il fotodiodo, risulta mobile nella direzione radiale del disco (v. Compmaan e Kramer, 1973). Nei primi sistemi il fascio di lettura era derivato da un laser a He-Ne, mentre attualmente, come già detto, si usano laser ad AlGaAs. Si noti che, durante la rotazione, la posizione del disco fluttua in verticale con una escursione variabile da ± 250 µm a ± 1 mm; occorre pertanto un opportuno servomeccanismo che sposti la posizione della lente in modo che la distanza lente-disco rimanga entro la profondità di campo (± 1 µm) dell'obiettivo usato per la focalizzazione.
b) Memorie a dischi ottici.
Esistono tre tipi di memorie basate su dischi ottici: 1) i dischi a sola lettura, che arrivano già incisi all'utilizzatore; in questa categoria, attualmente la più comune, rientrano i CD audio, i CD-ROM e i DVD; 2) i dischi scrivibili una sola volta dall'utilizzatore e leggibili un numero indeterminato di volte; 3) i dischi ottici cancellabili (v. Isailovic, 1987).
Il principio di funzionamento e il formato dei dischi ottici a sola lettura sono gli stessi per tutti e tre i tipi di dischi considerati. In un dischetto di 12 cm di diametro risultano incise, secondo un tracciato a spirale, delle canaline tipicamente lunghe 1,2 µm e larghe 0,5 µm (v. fig. 10). Il fondo delle canaline e la superficie sovrastante non incisa sono uniformemente ricoperti di un sottilissimo strato metallico a elevata riflettività (alluminio). La profondità di ciascuna canalina è pari a λ/4n, dove λ è la lunghezza d'onda, nel vuoto, del fascio laser ed n è l'indice di rifrazione del materiale plastico protettivo che ricopre la canalina. Il fascio laser è focalizzato a un diametro tale per cui metà di esso è riflesso dal fondo e metà dalla superficie esterna della canalina. A causa della profondità della canalina, i campi elettrici del fascio riflesso dal fondo e di quello riflesso dalla superficie risultano in opposizione di fase. La riflettività complessiva del fascio, quando esso passa sulla canalina, risulta pertanto nulla. Quindi, in un codice binario di modulazione di posizione, la presenza o l'assenza di una canalina rappresenta la presenza di un bit di tipo 0 o di tipo 1.
Per la produzione di massa di un disco ottico di questo tipo, si parte da una matrice di nichel che contiene, in rilievo, le canaline da formare. Contro questa matrice, in una camera portata a elevata pressione (6-9 atmosfere) e alta temperatura (~ 138 °C), viene compresso un disco di PVC (polivinilcloruro). Mediante questa tecnica, detta di embossing o di stampaggio in rilievo, si producono nel PVC le canaline nelle posizioni desiderate. Il disco così prodotto viene poi ricoperto di un sottile strato di alluminio e di un successivo strato protettivo di plastica trasparente. La matrice originale di nichel è, a sua volta, ottenuta a partire da uno strato, di spessore pari a λ/4 n, di una resina fotoindurente, steso su un disco piatto di vetro; su di esso, per creare le canaline in rilievo, viene focalizzato il fascio ultravioletto di un laser a elio-cadmio. Dopo lo sviluppo, la resina rimane pertanto depositata sul vetro solo in corrispondenza delle canaline. Su questa resina fotoindurita, viene quindi depositato, per via inizialmente chimica e successivamente galvanica, uno strato di nichel dello spessore di 0,2-0,3 mm, che, una volta staccato, costituisce la matrice desiderata.
Nel caso delle memorie ottiche scrivibili una sola volta dall'utente, il processo di scrittura è realizzato mediante un laser a semiconduttore impulsato con potenza di picco sufficientemente elevata (ad esempio 20 mW). Questo fascio viene focalizzato sul disco vergine mediante un sistema simile a quello illustrato nella fig. 8 e produce, attraverso un cambiamento fisico irreversibile di un film di materiale opportuno, deposto sulla superficie del disco, areole circolari con riflettività differente da quella del disco di partenza. Durante la fase di lettura, lo stesso laser, fatto funzionare in continua e con potenza più contenuta (ad esempio 2 mW), legge le variazioni di riflettività prodotte dal processo di incisione descritto in precedenza. I materiali in cui produrre un cambiamento fisico irreversibile possono essere diversi. A titolo di esempio, la fig. 11 mostra l'uso di un sottile (~ 10 nm) strato di tellurio in una struttura a tre strati (Te-SiO2-Al). L'impulso laser produce, nell'areola di interazione, l'evaporazione dello strato di Te, con conseguente aumento della riflettività della struttura a tre strati.
I dischi ottici cancellabili sono principalmente di due tipi: 1) a trasformazione di fase amorfo-cristallino reversibile; 2) a effetto magneto-ottico. Per ragioni di spazio, saranno descritti solo i dischi magneto-ottici (v. fig. 12). In essi il materiale magnetico dello strato attivo del disco si trova inizialmente magnetizzato uniformemente nella stessa direzione (ad esempio dal basso verso l'alto). In fase di scrittura, il campo prodotto da un elettromagnete è orientato in direzione opposta a quella di magnetizzazione, ma avendo un'intensità inferiore alla forza coercitiva non è in grado, da solo, di invertire la magnetizzazione. Un laser a semiconduttore, focalizzato sul disco mediante un sistema ottico simile a quello mostrato nella fig. 8, viene quindi impulsato con potenza di picco e durata dell'impulso tali che, nel punto di incidenza dell'impulso, a causa dell'aumento della temperatura dello strato e della corrispondente riduzione della forza coercitiva, il campo dell'elettromagnete riesce a invertire la magnetizzazione (v. fig. 12A). In fase di lettura, si usa lo stesso sistema di focalizzazione e lo stesso laser: quest'ultimo funzionante ora in continua e con potenza limitata, legge lo stato di magnetizzazione del disco sfruttando l'effetto Faraday. Per via di questo effetto, quando il fascio passa sull'areola in cui, a seguito dell'operazione di scrittura, la magnetizzazione è orientata verso il basso, la polarizzazione del fascio riflesso risulterà ruotata di un angolo α, in un certo verso, rispetto a quella del fascio incidente (v. fig. 12B). Viceversa, quando il fascio passa su di un'areola non incisa e quindi con magnetizzazione orientata verso l'alto, la rotazione della polarizzazione del fascio riflesso risulterà pari a - α. Un sensore di polarizzazione, inserito sul fascio riflesso, permette quindi di distinguere le areole in cui è avvenuta l'inversione di magnetizzazione dalle rimanenti parti del disco. Per effettuare la cancellazione, si inverte la direzione del campo magnetico dell'elettromagnete e si ripassa sulle stesse areole col laser di scrittura, riportando la magnetizzazione nella direzione originaria (v. fig. 12C). Tali dischi possono sostituire, con capacità di immagazzinamento superiori (alcuni Gbyte) le memorie magnetiche (hard discs) dei calcolatori con prestazioni più avanzate.
c) Stampanti laser.
Lo schema di principio di una stampante laser consiste in un emettitore laser, il cui fascio, modulato in ampiezza dal segnale da stampare, incide su uno specchio poligonale ruotante a elevata velocità (v. fig. 13). Mediante un'opportuna lente sferica, il fascio viene focalizzato su un tamburo ruotante, ricoperto di un materiale fotoconduttore (generalmente Se), su cui si produce, quindi, una linea di scansione. Inizialmente il tamburo è uniformemente caricato di carica negativa. Il fascio modulato del laser, durante la sua scansione del tamburo, ne scarica la superficie, rendendo conduttivo il materiale là dove il fascio risulta avere un'intensità elevata, mentre lascia inalterata la carica nelle zone spaziali in cui l'intensità è nulla. Sul tamburo si produrrà, pertanto, un'immagine di carica corrispondente al segnale impresso al modulatore. Successivamente intorno al tamburo si avvolge un foglio di carta sul quale viene quindi trasferita questa immagine di carica. Il foglio di carta passa quindi in una zona in cui una polvere nera, molto fine e a bassa temperatura di fusione (il toner), viene spruzzata sulla carta aderendovi nei punti in cui è presente la carica. Il foglio è quindi trasferito in una zona in cui la temperatura viene innalzata a un valore tale da fissare, per fusione, il toner sulla carta, producendo l'immagine desiderata. Si noti che la parte del sistema comprendente il tamburo ricoperto di selenio e caricato uniformemente di carica negativa, la zona del toner e la zona di fissaggio del toner alla carta sono elementi in comune con le normali fotocopiatrici e costituiscono la parte essenziale del brevetto (Xerox) per un sistema di fotocopiatura. Esistono diversi tipi di stampanti laser funzionanti secondo lo schema generale mostrato nella fig. 13 (v. Starkweather, 1980). Le più comuni, e meno costose, utilizzano, come sorgente di luce, un laser a semiconduttore (del tipo AlGaAs) e la modulazione del fascio è ottenuta semplicemente modulando la corrente di eccitazione del laser stesso. Nelle stampanti più veloci, e più costose, la sorgente di luce è generalmente costituita da un laser ad argo o elio-cadmio e il fascio è modulato esternamente mediante modulatore acusto-ottico. La velocità di stampa risulta determinata essenzialmente dalla potenza del fascio laser.
5. Trasmissione dell'informazione
La trasmissione dell'informazione per via ottica è una delle più importanti applicazioni fotoniche e ha drasticamente rivoluzionato le moderne telecomunicazioni. Un sistema di trasmissione ottico è schematicamente costituito da una sorgente di radiazione (generalmente un laser) che genera la portante ottica, da un modulatore per la codifica dell'informazione, da una tratta di fibra ottica, una guida di luce o una porzione di spazio libero attraverso cui il segnale si propaga, e da un fotorivelatore per convertire il segnale ottico in segnale elettrico (tipicamente un fotodiodo a semiconduttore). Se la distanza di trasmissione è tale per cui il segnale, attenuandosi, rende inaccettabile il rapporto segnale/rumore, con conseguente probabilità di errore troppo elevata, il segnale può essere amplificato con un amplificatore ottico o rigenerato mediante un ripetitore costituito da un convertitore optoelettronico che rivela il segnale (un fotodiodo) e da un trasduttore elettro-ottico (un laser) che lo riproduce con il necessario livello di potenza.
I sistemi di trasmissione ottica sono estremamente diversificati, in funzione del tipo di utilizzazione (v. Miller e Chynoweth, 1979; v. Miller e Kaminow, 1988; v. Agrawal, 1992). In base alle modalità di propagazione, è possibile effettuare una prima distinzione tra trasmissione nello spazio libero e in sistemi guidati. Nel primo caso, il fascio di radiazione si propaga attraverso una porzione di spazio (in aria o nel vuoto), soggetto alla propria diffrazione. Questo comporta inevitabilmente, anche per fasci spazialmente coerenti ed estremamente direzionali, quali quelli emessi dai laser, una forte diminuzione dell'intensità della radiazione legata all'allargamento del fascio. Inoltre, per trasmissioni in aria, gli effetti rifrattivi dovuti a variazioni locali di indice di rifrazione e l'attenuazione della radiazione per assorbimento da parte di costituenti o inquinanti presenti nell'atmosfera (ad esempio vapor d'acqua) e per diffusione causata da nebbia o da fumi rendono estremamente problematiche trasmissioni libere su distanze superiori a qualche decina di metri in ambienti non controllati. Per questi motivi le trasmissioni in spazio libero non sono praticamente utilizzate nell'atmosfera e vengono impiegate quasi esclusivamente in condizioni particolari, ad esempio per collegamenti punto-punto fra satelliti. I sistemi a propagazione guidata utilizzano quasi unicamente fibre ottiche (a esclusione dei collegamenti in guida ottica su brevissima distanza, millimetrica o centimetrica, all'interno di un componente o di un dispositivo) e stanno rapidamente sostituendo, in un numero sempre crescente di applicazioni, le reti convenzionali basate su cavi in rame. Nelle pagine che seguono, dopo aver illustrato le caratteristiche dei sistemi di telecomunicazione in fibra ottica, se ne descriveranno alcuni componenti particolarmente significativi, a esclusione degli emettitori laser già trattati in precedenza (v. cap. 3, § b).
a) Sistemi di comunicazione ottica.
Nell'ambito della rete fisica per trasmissioni guidate è possibile identificare tre livelli principali di reti ottiche: 1) la rete di trasporto a lunga distanza, che trasferisce grandi flussi di traffico aggregato tra aree geograficamente distanti, utilizzando configurazioni di tipo ‛a maglia'; 2) la rete di giunzione, che gestisce la trasmissione di importanti flussi di informazioni in ambito regionale o urbano con struttura topologica sia ad anello sia debolmente magliata; 3) la rete di distribuzione e di accesso, che gestisce l'accesso alla componente di giunzione convogliando i flussi di traffico provenienti dalle reti di abbonato e, viceversa, distribuendo ai singoli utenti le informazioni di loro pertinenza, mediante strutture a stella o ad albero. Vi sono infine, a livello gerarchicamente più basso in termini di potenzialità trasmissive, le reti di abbonato e le reti locali, che sono costituite dai sistemi di comunicazione privati degli utenti (ad esempio i calcolatori di una banca connessi in rete). Un modello funzionale che evidenzia i vari livelli, o strati, della rete è schematicamente illustrato nella fig. 14.
La rete di trasporto a lunga distanza è caratterizzata dalle elevatissime capacità trasmissive, oggi dell'ordine di 2-10 Gbit/s. Il traffico che fluisce attraverso le grandi dorsali è in continuo aumento, anche a seguito dello sviluppo della tecnica B-ISDN (Broadband-Integrated Service Digital Network), per cui si rendono necessarie frequenze di trasmissione dell'ordine delle decine di Gbit/s. Anche la rete di giunzione deve essere in grado di trasmettere e di smistare imponenti flussi di informazione, con frequenze di cifra da centinaia di Mbit/s a Gbit/s. Le trasmissioni ottiche sono particolarmente adatte a tale scopo, grazie all'attuale disponibilità di componenti fotonici in grado di operare con queste capacità trasmissive. Risulta inoltre possibile un notevole potenziamento delle capacità trasmissive, mediante l'impiego di tecniche proprie della fotonica, quali la multiplazione di lunghezza d'onda WDM (Wavelength Division Multiplexing) - in cui si trasmettono simultaneamente sulla stessa fibra più canali con portanti a diversa lunghezza d'onda (con separazione di qualche nanometro) - la multiplazione a divisione temporale OTDM (Optical Time Division Multiplexing) - in cui N canali modulati alla cadenza di cifra B sulla stessa frequenza portante sono multiplati otticamente per ottenere un segnale ottico alla cadenza N × B - e la trasmissione solitonica. In quest'ultimo caso gli impulsi di luce, per un complesso meccanismo di bilanciamento tra fenomeni dispersivi e fenomeni non lineari nella fibra ottica, si propagano senza allargarsi temporalmente, consentendo di allocare per ogni singolo bit trasmesso una finestra temporale di poche decine di picosecondi e, pertanto, di raggiungere cadenze di cifra elevatissime (decine di Gbit/s). La maggior parte della rete di trasporto nei paesi industrializzati è attualmente realizzata in fibra ottica; in Italia, buona parte delle reti di trasporto e di giunzione, per un totale di circa 1,5 milioni di chilometri di fibra installata, è di tipo ottico.
La rete di accesso e distribuzione (collegamenti con lunghezza media di ~ 2 km) è, allo stato attuale, ancora dominata dai collegamenti in rame, con alcune eccezioni relative all'utenza d'affari, collegata direttamente mediante fibra ottica con le centrali telefoniche. Tuttavia, anche questo livello sta evolvendo rapidamente verso le cosiddette ‛reti ottiche passive' (PON, Passive Optical Network) sotto la spinta del mercato dei servizi a larga banda (TV via cavo distributiva e interattiva; servizi multimediali) che si sta sviluppando a un ritmo impressionante. Il principale ostacolo a un più rapido sviluppo delle reti ottiche anche a livello di distribuzione è oggi essenzialmente di natura economica e non tecnologica. L'evoluzione della rete di accesso verso una tecnologia integralmente ottica prevede, sulla base del grado di penetrazione della fibra, tre stadi successivi, denominati rispettivamente con le sigle FTTF (Fiber To The Feeder), FTTC (Fiber To The Curb) e FTTB (Fiber To The Building). Tali stadi prevedono l'esistenza di un nodo finale di conversione ottico-elettrico che serva, rispettivamente, da un centinaio a qualche migliaio di utenti nel primo caso, un centinaio di utenti nel secondo caso, e una decina di utenti (nello stesso edificio) nel terzo caso. L'ultimo stadio, denominato FTTH (Fiber To The Home), prevede l'uso della fibra ottica fino all'attacco di utente, e ovviamente necessita di apparati (televisori, telefoni, fax, calcolatori) con trasduttori opto-elettronici ed elettro-ottici incorporati che garantiscano l'interattività dell'utente finale con la rete.
I primi sistemi di telecomunicazione in fibra ottica, utilizzanti fibre multimodali a profili d'indice graduale, sono diventati commercialmente disponibili nel 1979 con lunghezza d'onda di trasmissione a 0,85 µm e prodotto banda di trasmissione × distanza di circa 1 (Gbit/s) × km; nel caso di una cadenza di cifra di 90 Mbit/s, la distanza tra i ripetitori era pertanto di circa 12 km. La successiva generazione, basata sull'impiego di fibre monomodali, si è evoluta verso trasmissioni a lunghezza d'onda di 1,3 µm, nella seconda finestra di trasmissione delle fibre ottiche, dove l'attenuazione è più bassa e la dispersione praticamente nulla (v. sotto, § b). Il prodotto banda × distanza per questi sistemi è tipicamente di 100 (Gbit/s) × km, che implica cadenze di cifra di 1,5-2 Gbit/s con spaziatura tra i ripetitori di 45-50 km. Gran parte dei sistemi oggi installati appartiene a questa generazione. La terza e attuale generazione di sistemi ottici, disponibile a partire dal 1990, opera a 1,55 µm con cadenze di cifra di 2,5 Gbit/s su tratte con lunghezza massima dell'ordine degli 80-100 km (v. anche informazione, scienza della: Tecnologie della comunicazione, vol. XI).
Un cenno particolare meritano i sistemi sottomarini, utilizzati per comunicazioni intercontinentali o internazionali (ad esempio Oceano Atlantico, Pacifico, bacino del Mediterraneo). La caratteristica più importante di questi sistemi è l'affidabilità, e infatti essi sono generalmente progettati per una vita di esercizio superiore a 25 anni. Il primo sistema ottico sottomarino è stato installato nell'Oceano Atlantico, tra Europa e Stati Uniti, nel 1988 (TAT-8). Esso opera a 1,3 µm con una cadenza di cifra di 295 Mbit/s e una spaziatura tra i ripetitori di 40 km circa, ben al di sotto delle sue massime potenzialità. Molti altri collegamenti transoceanici sono da allora divenuti operativi (ad esempio, nell'Atlantico, dal TAT-9 al TAT-13, tutti funzionanti in terza finestra a 1,55 µm). Il TAT-13, che collega gli Stati Uniti all'Inghilterra e alla Francia, ha una capacità trasmissiva di 10 Gbit/s, ottenuta con cadenza di cifra dei trasmettitori di 2,5 Gbit/s e multiplazione a divisione di tempo su due coppie di fibre, e utilizza, al posto dei ripetitori, 140 amplificatori ottici con una spaziatura media di 40 km.
La trasmissione ottica dell'informazione non solo ha acquisito un ruolo fondamentale nelle telecomunicazioni, ma sta assumendo un'importanza sempre crescente anche per trasmissioni su distanze estremamente ridotte. Ad esempio, nell'evoluzione dei nodi di commutazione e, in generale, in molti apparati opto-elettronici, è prevedibile che in futuro dovranno essere raggiunte capacità trasmissive estremamente elevate (decine o centinaia di Gbit/s). Tali capacità potranno essere richieste tra apparato e apparato, tra diverse schede elettroniche del medesimo apparato o anche all'interno di uno stesso chip. Esse possono essere consentite solo dalle cosiddette ‛interconnessioni ottiche' (optical data links), realizzabili mediante fibre, guide ottiche oppure nello spazio libero, con modalità parallele o seriali.
b) Fibre ottiche.
Una fibra ottica è costituita da un sottile filamento di vetro ultrapuro (SiO2), detto nucleo, con diametro variabile da qualche micron a qualche centinaio di micron, circondato da un mantello cilindrico il cui indice di rifrazione è leggermente inferiore a quello del nucleo (v. Midwinter, 1979; v. Personik, 19883). Per semplicità, si considererà soltanto il tipo di fibra caratterizzata da un profilo d'indice a gradino, cioè con variazione brusca all'interfaccia tra nucleo e mantello (v. fig. 15A). Esistono anche tipi di fibre che presentano una diminuzione graduale dell'indice di rifrazione dal centro verso il mantello. Indicando con n1 e n2 gli indici di rifrazione del nucleo e del mantello (n1 > n2), è immediato verificare che, considerando raggi meridiani (che cioè intersecano l'asse ottico della fibra) e utilizzando l'ottica geometrica, per angoli di incidenza fra nucleo e mantello, ῳ, minori di un angolo critico ῳc = arcsen (n2/n1), un raggio di luce iniettato nel nucleo continua a propagarsi al suo interno a seguito di riflessione totale interna all'interfaccia con il mantello (v. fig. 15B). La precedente relazione può essere utilizzata per ricavare il massimo angolo di accettazione θic (in un mezzo di indice di rifrazione n0 in cui si trovi la fibra, tipicamente l'aria) della luce nella fibra per avere propagazione guidata. Si ottiene
n0 sen θic = n1 cos ϕc = (n12 - n22)1/2. (8)
Il parametro NA = n0 sen θic è detto ‛apertura numerica della fibra' e il suo valore varia, solitamente, tra 0,1 e 0,2. All'interno di una fibra possono propagarsi molti modi guidati, corrispondenti a soluzioni dell'equazione delle onde che soddisfano le condizioni al contorno e la cui distribuzione spaziale di campo non si modifica con la propagazione. Se si indica con V = (2πνa/c) (n12 - n22)1/2 la frequenza normalizzata, dove ν è la frequenza dell'onda e a è il raggio del nucleo, si può dimostrare che, per V〈2,405, esiste un solo modo guidato (modo HE11) e la fibra è detta monomodale. Dalla relazione precedente, se λ = c/ν = 1,5 µm, n1= 1,45 e n1 - n2 ≅ 5 × 10-3, si ottiene che la fibra è monomodale per un raggio del nucleo a〈5,7 µm. Quando V >2,405, la fibra permette la propagazione di più modi; nel caso limite, V ≫ 2,405, il numero dei modi guidati risulta dato da V 2/2.
Due importanti caratteristiche delle fibre ottiche, che ne limitano le prestazioni al fine della trasmissione dell'informazione, sono l'attenuazione e la dispersione. L'attenuazione è generalmente espressa in dB/km ed è data da 10 log10 [P (0)/P (L)]/L, dove P (0) è la potenza entrante nella fibra e P (L) la potenza trasmessa dopo una distanza di L km. Essa ha cause intrinseche (risonanze elettroniche e vibrazionali del materiale, diffusione Rayleigh) ed estrinseche (impurezze dovute alla presenza di metalli di transizione e dello ione ossidrile). In particolare, lo ione OH-, derivante dalla presenza di vapor acqueo nel processo di fabbricazione della fibra, presenta una risonanza vibrazionale a 2,73 µm, le cui armoniche e i cui toni di combinazione danno origine ai picchi di assorbimento a 1,39 µm, 1,24 µm e 0,95 µm. Nell'intorno delle tre lunghezze d'onda di 0,85 µm, 1,3 µm e 1,55 µm si vengono così a determinare tre zone spettrali a bassa attenuazione, le cosiddette ‛tre finestre' delle fibre ottiche (v. fig. 16). L'attenuazione minima, dell'ordine di 0,16 dB/km per fibre in silice, si ha attorno a 1,55 µm.
Il fenomeno della dispersione comporta che qualsiasi impulso di luce, iniettato nella fibra, si allarghi temporalmente nel propagarsi lungo la fibra stessa. Per una data cadenza di cifra, esiste quindi una lunghezza massima di tratta che non è possibile superare, pena la sovrapposizione temporale degli impulsi trasmessi dalla fibra (interferenza intersimbolica); il prodotto banda di trasmissione × distanza è quindi fondamentale per valutare le capacità trasmissive di una fibra.
Nelle fibre multimodali la dispersione è essenzialmente dovuta alle velocità leggermente differenti con cui i vari modi si propagano (dispersione intermodale) e impedisce trasmissioni ad alta cadenza di cifra su distanze significative. Per ridurla, si sono dapprima utilizzate fibre a profilo d'indice di rifrazione graduale e, successivamente, fibre monomodali, in pratica le sole oggi in uso nei sistemi di comunicazione ottica. Anche nelle fibre monomodali esiste una dispersione delle differenti velocità di gruppo nella banda di emissione del laser, dovuta alla dispersione del materiale (l'indice di rifrazione è funzione della frequenza) e alla dispersione di guida. Questi due tipi di dispersione concorrono con segno opposto a quella totale; per una fibra in silice monomodale con profilo d'indice a gradino, la dispersione totale risulta nulla alla lunghezza d'onda di 1,3 µm (seconda finestra). Poiché, tuttavia, il minimo di attenuazione cade invece nella terza finestra, a 1,55 µm, le attuali fibre sono realizzate con particolari profili di indice di rifrazione, per annullare la dispersione proprio a tale lunghezza d'onda (fibre a dispersione spostata). Con una sorgente a banda stretta come, ad esempio, un laser a semiconduttore a singolo modo, si possono così raggiungere cadenze di cifra dell'ordine di 150 Gbit/s su tratte di 100 km. In pratica non si hanno quindi più limitazioni di capacità trasmissiva derivanti dalla fibra ottica.
Il processo di fabbricazione delle fibre ottiche ultrapure per trasmissioni ottiche è suddiviso in due fasi. Nella prima si realizza una preforma, con lunghezza di circa 1 m e diametro di alcuni cm, mediante tecniche di deposizione in fase di vapore, tipicamente MCVD (Modified Chemical Vapour Deposition), OVD (Outside Vapor Deposition), o VAD (Vapor-Axial Deposition). Nella tecnica MCVD, ad esempio, i successivi strati di SiO2 che concorrono alla formazione del mantello e del nucleo (dove si aggiunge anche GeO2, per aumentare l'indice di rifrazione) si ottengono miscelando, ad alta temperatura (1.800 °C) e in fase vapore, SiCl4 e O2 (per il nucleo anche GeCl4). La preforma, che ha già le giuste dimensioni relative tra diametro del mantello e del nucleo, viene poi inserita in una fornace e filata a partire da una estremità. Con una singola preforma si possono così ottenere anche 200-300 km di fibra ottica. Per evitare degradazione o danneggiamento del materiale, la fibra, che ha un diametro esterno del mantello tipicamente di 125 µm, è poi ricoperta con strati protettivi di materiali plastici, fino a un diametro di 250 µm, e successivamente inserita in guaine o cavi ottici.
c) Amplificatori ottici.
Uno dei fattori limitativi di un sistema di trasmissione ottico guidato è l'attenuazione del segnale, dovuta non solo alla propagazione nella fibra, ma anche ai giunti, ai connettori, ai diramatori, agli isolatori e, in generale, a qualsiasi componente ottico inserito nel sistema. In alternativa alla rigenerazione del segnale, che comporta una trasduzione ottico-elettrico-ottica complessa e costosa, gli amplificatori ottici rappresentano una soluzione semplice ed estremamente vantaggiosa. Esistono due tipi di amplificatori ottici: a fibra attiva drogata e a semiconduttore. Solo i primi, nonostante il loro recentissimo sviluppo (1989), sono già largamente impiegati e hanno fortemente influenzato i moderni sistemi trasmissivi. In questo paragrafo ci limiteremo a illustrare gli amplificatori a fibra attiva drogata con erbio (EDFA, Erbium Doped Fiber Amplifier), che costituiscono un esempio di componente fotonico in senso stretto, in cui, cioè, un segnale ottico è modificato mediante l'impiego diretto di fotoni (v. Desurvire, 1994).
Un EDFA è costituito da una fibra ottica, lunga alcuni metri, il cui nucleo è drogato con ioni di erbio. Questi assorbono la luce fornita da un'opportuna sorgente di pompaggio: si crea così un'inversione di popolazione tra due livelli (4I15/2 e 4I13/2) dell'erbio, la cui differenza di energia corrisponde alla lunghezza d'onda di 1,55 µm. Gli EDFA sono pertanto utilizzati come amplificatori per trasmissioni ottiche in terza finestra. La struttura di un EDFA è estremamente semplice (v. fig. 17). La luce di pompaggio, prodotta da un laser a semiconduttore alla lunghezza d'onda di 980 nm o 1.480 nm, è iniettata nella fibra attiva mediante una diramazione ottica (multiplatore ottico o accoppiatore WDM). Il segnale ottico a 1,5 µm, proveniente da un tratto precedente di fibra ottica, entra nell'amplificatore attraverso l'altro ramo dell'accoppiatore WDM, viene amplificato e poi inviato nel tratto di fibra successivo. Poiché il mezzo amplificante è costituito da una fibra ottica, risulta immediato inserire l'EDFA in un qualsiasi circuito ottico mediante giunti o connettori a bassissime perdite. Il guadagno di un amplificatore ottico, definito come rapporto tra la potenza del segnale in uscita e quella del segnale in ingresso, può raggiungere valori che vanno dai 30 ai 40 dB (amplificazione da 1.000 a 10.000) e non dipende dalla frequenza di cifra o dal formato della modulazione. Quest'ultima circostanza rende l'amplificatore ottico un dispositivo estremamente versatile, che può essere utilizzato senza modifiche anche cambiando il tipo di modulazione o la cadenza di cifra (ad esempio a seguito di miglioramenti delle sorgenti o dei ricevitori).
Attualmente gli amplificatori ottici in fibra sono utilizzati sia nelle reti di trasporto a lunga distanza, per compensare le perdite di propagazione, che nella rete di giunzione e di accesso, per compensare le perdite di diramazione. Grazie alla larghissima banda di amplificazione (~ 50 nm), sono adatti anche ad applicazioni in sistemi trasmissivi a multiplazione di lunghezza d'onda e, per la loro linearità, sono adoperabili in applicazioni analogiche, come la CATV (Common Antenna Television, TV via cavo).
d) Diramatori, modulatori e commutatori.
Un diramatore a Y suddivide il segnale in ingresso su due rami, per cui, usando n diramatori in cascata, è possibile dividere il fascio d'ingresso in 2n fasci d'uscita (v. fig. 18A). È possibile utilizzare il dispositivo anche in senso inverso, combinando 2n fasci d'ingresso in un unico fascio d'uscita. Un diramatore a stella ripartisce il segnale proveniente da ciascuna delle linee in ingresso tra le linee d'uscita (v. fig. 18B). I diramatori possono essere realizzati con la tecnologia vetro su silicio (come nella fig. 18A), o anche utilizzando direttamente più fibre ottiche fuse assieme per un piccolo tratto (come nella fig. 18B).
Un modulatore di intensità molto comune utilizza un interferometro di Mach Zehnder realizzato, ad esempio, con guide a canale ricavate su substrato di niobato di litio (v. fig. 19A). In un primo diramatore a Y, il fascio ottico d'ingresso è diviso in due e le due repliche sono poi ricombinate in un ricombinatore anch'esso a Y. A seconda della fase relativa dei due fasci che arrivano sul ricombinatore, l'interferometro di Mach Zehnder produce quindi un'interferenza costruttiva o distruttiva nel fascio d'uscita. Modulando ora, mediante un campo elettrico (il niobato di litio è infatti un materiale non lineare che presenta effetto Pockels), l'indice di rifrazione di uno dei due bracci dell'interferometro, si può cambiare la fase relativa di un fascio rispetto all'altro e pertanto modulare l'intensità del fascio totale in uscita. Questi dispositivi sono attualmente impiegati per la modulazione esterna di laser a semiconduttore nei trasmettitori a elevata cadenza di ripetizione (fino ad alcune decine di Gbit/s).
I commutatori sono dispositivi che indirizzano un fascio in ingresso verso due o più direzioni d'uscita mediante il controllo di un segnale esterno. In un commutatore 2 × 2 (v. fig. 19B) si sfrutta il fatto che due guide a canale, parallele e molto vicine per un tratto L, risultano otticamente accoppiate. Pertanto, a seconda della fase accumulata dal campo ottico durante la propagazione lungo L, si ottiene, ad esempio, l'indirizzamento del fascio d'ingresso 1 verso l'uscita 1 o 2. Modificando quindi, per effetto Pockels, l'indice di rifrazione della guida per mezzo di una tensione esterna V, è possibile commutare il fascio d'ingresso secondo l'una o l'altra delle direzioni d'uscita. Mediante combinazioni di elementi 2 × 2 si possono realizzare commutatori N × N. Anche i commutatori 2 × 2 sono realizzati con guide ottiche in geometria planare, ricavate su un cristallo di niobato di litio (v. Saleh e Teich, 1991).
e) Dispositivi fotonici integrati.
Integrando sullo stesso substrato diversi componenti fotonici, è possibile fabbricare sistemi con prestazioni sempre più avanzate. Un importante esempio è l'integrazione di laser a semiconduttore e modulatori elettro-ottici a pozzi quantici multipli. Sia il laser che il modulatore sono realizzati mediante tecnica di crescita MOCVD (Metallo Organic Chemical Vapor Deposition) su un unico substrato di InP, con un accoppiamento per adattamento modale tra laser e modulatore. La sezione laser è lunga tipicamente circa 300 µm e quella di modulazione 250 µm. Dispositivi di questo tipo raggiungono frequenze di modulazione dell'ordine di 20 Gbit/s.
Un altro esempio significativo di integrazione fotonica sono i tranceivers (ricevitori-trasmettitori), che possono integrare sullo stesso substrato (InP) sia il laser a semiconduttore DFB che il fotorivelatore PIN, oltre alle guide a canale ed eventuali modulatori. Alcuni moduli di questo tipo possono anche avere più trasmettitori o ricevitori integrati per trasmissioni a multiplazione di lunghezza d'onda (ad esempio a 1,3 µm e 1,5 µm).
6. Elaborazione dell'informazione
L'elaborazione per via ottica dell'informazione rappresenta, in linea di principio, un potente strumento applicativo per il trattamento di segnali (v. VanderLugt, 1992). È possibile suddividere le tecniche fotoniche per l'elaborazione dell'informazione in analogiche e digitali. Nei paragrafi seguenti si tratterà essenzialmente di quelle analogiche, le uniche che presentano attualmente una tecnologia sufficientemente sviluppata, mentre si accennerà solo brevemente al calcolo ottico digitale.
a) Elaborazione ottica analogica dell'informazione.
Le operazioni matematiche che è possibile realizzare con un processore ottico analogico sono, per la maggior parte, combinazioni di operazioni elementari di addizione e moltiplicazione, eseguite molte volte in parallelo per mezzo di un sistema di interconnessioni ottiche. A seconda del tipo di processore, le variabili su cui si effettuano le operazioni matematiche suddette sono rappresentate da due tipi di grandezze fisiche: 1) l'ampiezza complessa del campo ottico coerente (o i coefficienti complessi di trasmissione o riflessione in campo di una trasparenza o di un modulatore): in tal caso le variabili sono complesse e il processore ottico è detto ‛coerente'; 2) l'intensità del campo ottico (o i coefficienti di trasmissione o riflessione in intensità di una trasparenza o di un modulatore): in tal caso le variabili sono reali e non negative e il corrispondente processore ottico è detto ‛incoerente'.
Come esempio di processore incoerente, si descriverà un possibile schema per la realizzazione della moltiplicazione di un vettore fm per una matrice Alm, cioè l'operazione gl = ΣmAlm fm (nel caso di distribuzione continua, g(x) = ∫ A(x,y) f(y)dy) per operare un filtraggio lineare (v. fig. 20). La matrice può essere realizzata mediante una maschera in cui le trasmissioni nei vari punti sono ordinatamente proporzionali agli elementi Alm della matrice stessa. L'elemento di interconnessione in ingresso è costituito da una lente cilindrica (non mostrata nella fig. 20) che distribuisce, uniformemente, la luce di intensità fm del generico elemento in ingresso su tutti gli elementi, con trasmissione A1m, A2m, ..., Anm, della m-esima colonna. Si ottiene così una moltiplicazione, in parallelo, di fm per tutti gli elementi A1m, A2m, ..., Anm. L'elemento di interconnessione d'uscita è costituito da un'altra lente cilindrica, ortogonale alla prima (anch'essa non mostrata nella fig. 20) che focalizza la luce trasmessa dalla l-esima riga su un unico ricevitore. Per ogni valore di l (l = 1, 2, ..., N), la fotocorrente del corrispondente ricevitore sarà dunque proporzionale a gl = ΣmAlm fm. Per operazioni dinamiche, la matrice contenente gli elementi trasmissivi Alm può essere generata mediante un modulatore spaziale di intensità luminosa.
Un importante strumento matematico utilizzato nell'analisi dei sistemi lineari e in molte applicazioni di elaborazione dei segnali è la trasformata di Fourier. È possibile realizzare otticamente una trasformata di Fourier mediante un processore coerente. Per tale scopo, si consideri una trasparenza, con coefficiente di trasmissione complesso g (x, y), situata nel primo fuoco di una lente di focale f e illuminata da un'onda piana di luce coerente con lunghezza d'onda λ e di ampiezza uniforme. Il campo trasmesso appena dopo la trasparenza sarà dunque proporzionale a g (x, y). Si può ora dimostrare che il campo G, sul secondo piano focale, alle coordinate x′ e y′ può scriversi (v. Goodman, 1968):
dove fx = (x′/λ f) e fy = (y′/λ f). Dalla (9) risulta che il campo G, sul secondo piano focale, è uguale alla trasformata bidimensionale di Fourier della distribuzione di campo sul primo piano focale. Si noti che, per realizzare la trasformata di Fourier, occorre disporre, sul primo piano focale, di una trasparenza con trasmissione in campo, g (x, y), generalmente complessa. Questo si può ottenere mediante tecniche di tipo olografico. Una lente è in grado di effettuare una trasformata di Fourier, e diventa quindi estremamente agevole effettuare operazioni di convoluzione o correlazione che si traducono, nel piano di Fourier, in operazioni di moltiplicazione tra le distribuzioni di campo trasformate. Importanti applicazioni di queste proprietà riguardano il campo del riconoscimento di caratteri o di immagini, quello dell'intelligenza artificiale e quello delle reti neurali. Appaiono evidenti le potenzialità di un tale sistema quando, ad esempio, le immagini da riconoscere siano molto complesse, cioè con elevato contenuto informativo, in quanto il processo di elaborazione è di tipo intrinsecamente parallelo.
b) Calcolatori ottici digitali.
In linea di principio un calcolatore ottico digitale può essere realizzato utilizzando un elevato numero di componenti integralmente ottici, quali porte logiche, commutatori ed elementi di memoria collegati da interconnessioni ottiche (v. Arrathoon, 1989). I bit 1 e 0 sono rappresentati da due stati di intensità luminosa, ad esempio presenza o assenza di segnale ottico. I fotoni, a differenza degli elettroni che devono essere guidati da conduttori o linee di trasmissione, possono essere utilizzati per realizzare interconnessioni tridimensionali globali nello spazio libero, dove ogni elemento nel piano d'ingresso è collegato a ogni elemento del piano d'uscita, ad esempio mediante un ologramma. Tale livello di parallelismo è sostanzialmente superiore a quello ottenibile mediante tecniche elettroniche. Le principali limitazioni di tipo tecnologico per lo sviluppo di calcolatori ottici sono dovute alla mancanza di matrici di commutazione totalmente ottiche, a elevata densità spaziale, con tempi di commutazione sufficientemente brevi (decine o centinaia di picosecondi) e richiedenti bassa energia per modificare il proprio stato. Mediante dispositivi a semiconduttore è possibile realizzare elementi bistabili che variano le proprie caratteristiche trasmissive in funzione dell'intensità ottica su di essi incidente (ad esempio SEED, Self Electrooptic Effect Device). Benché siano state realizzate anche matrici di tali dispositivi (v. Midwinter, 1993), i tempi e le energie di commutazione sono tali da non aver ancora reso possibile un reale sviluppo di calcolatori ottici digitali competitivi con quelli elettronici oggi in uso.
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