LAS CASAS, Fra Bartolomé de
Nato a Siviglia nel 1474 (secondo altre fonti nel 1484), morto a Madrid nel 1566, detto "l'apostolo delle Indie", insigne tra i più grandi e i più benemeriti missionarî d'America e dell'ordine dei predicatori. L. C. andò per la prima volta in America nel 1502 con la spedizione di Ovanda; e sembra che nei primi otto anni della sua dimora a S. Domingo egli si comportasse verso gl'indigeni né più né meno come gli altri coloni. Un sermone del domenicano A. de Montesimos trasformò radicalmente la sua anima e la sua vita. Nel 1510 prese gli ordini sacri (era già addottorato in diritto a Salamanca), e d'allora iniziò il suo apostolato di evangelizzazione e di tutela, denunziando al governo gli eccessi e le crudeltà degli Spagnoli, e spesso anche, quando accompagnò spedizioni di conquista, interponendosi direttamente fra i soldati e gl'Indiani, acquistandosi così presso questi ultimi un prestigio e una venerazione che si conservarono a lungo dopo la morte.
Egli svolse soprattutto una lotta senza quartiere contro la cosiddetta "encomienda": formula che sotto il pretesto di una ripartizione fra i colonizzatori di anime da convertire e da assistere, autorizzava invece e legalizzava in pratica, sin dal 1500, quando la regina Isabella aveva proibito la schiavitù, lo sfruttamento degl'Indiani con tutti i suoi orrori. Al L. C. fu fatta colpa d'aver proposto, per impedire l'indebolimento e la fatale scomparsa della razza, la sostituzione del lavoro dei negri, più robusti e resistenti, onde si volle vedere in lui il primo responsabile della tratta: accusa ingiusta, perché il commercio dei negri esisteva sin dai primi tempi della conquista, e quello del L. C. fu, se mai, un adattamento per attenuare un male più grave.
L'abolizione della schiavitù degl'indigeni avrebbe sconvolto, come più tardi la liberazione dei negri, tutto il sistema economico della colonizzazione spagnola; e questo spiega l'accanimento degli avversarî del L. C. In lotta aperta coi governatori e i funzionarî locali, egli dovette più volte recarsi in Spagna per sollecitare direttamente dalla Corte provvedimenti radicali ed energici: ma le ordinanze e i decreti ch'egli otteneva erano fatalmente destinati a rimanere, in pratica, senza attuazione. Così nel 1516 fu nominato "Protector general de todos los Indios", ed ebbe ufficialmente il mandato di provvedere all'emancipazione degl'Indiani, con l'assistenza dei padri geronimiti; ma costoro, deboli e irresoluti, passarono quasi subito nel campo avverso. Uno dei progetti ch'egli ebbe più a cuore fu quello di affidare lo sfruttamento economico del paese non più al lavoro forzato degl'indigeni sotto la pressione dei soldati, ma direttamente a pacifici coloni spagnoli assistiti da sacerdoti: e per civilizzare gl'Indiani, secondo lui buoni e miti per natura, bastava convertirli alla fede. Ma è facile comprendere come, sebbene approvato in massima alla corte, il progetto non dovesse così facilmente ottenere l'approvazione di coloro che dirigevano la politica coloniale della Spagna: al Consiglio delle Indie non s'illudevano soverchiamente sulle decantate disposizioni degl'indigeni, e si dubitava assai, in genere, che il L.C. non avesse esagerato nel descrivere le atrocità dei conquistatori.
L. C. ottenne, nel 1520, solo a titolo d'esperimento, la concessione di un territorio costiero di 250 leghe, da S. Marta al Golfo di Paria, dove con qualche decina di coloni, e senza soldati e senza che dovesse intervenire sotto nessun titolo l'autorità del feroce governatore di terraferma Pedrarias Davila, avrebbe applicato il suo sistema di colonizzazione e di civilizzazione. E fu un disastro: durante una sua assenza, per la disobbedienza d'un suo luogotenente, i coloni e parte dei religiosi furono massacrati; onde dovette intervenire più spietata che mai la repressione, ed ebbero così buon gioco gli avversarî del L. C., fra altri lo storico Oviedo col quale egli ebbe una lunga, acre polemica. Vinto ma non scoraggiato, abbandonò i progetti di colonizzazione pacifica e decise di dedicarsi più attivamente alla predicazione; e, per avere l'appoggio di un ordine ardente di apostolico zelo, si fece domenicano (1523). Con il suo zelo avendo eccitato alla sedizione i soldati fu nel 1536 chiamato a Madrid per discolparsi; nel 1539 è di nuovo in Spagna per sollecitare la soppressione della schiavitù.
Scrisse in questa occasione il suo famoso libro: Brevisima relación de la destruyción de las Indias, che (pubblicato poi nel 1552 e tradotto in varie lingue europee) doveva destare una così profonda impressione, e - senza che l'autore vi pensasse - doveva anche essere sfruttato da alcune nazioni come una documentazione delle atrocità della conquista spagnola: in realtà non vi mancano esagerazioni (come la valutazione a 20 milioni del numero degl'indigeni trucidati, o certi episodî come quello dell'uso dei conquistatori di farsi accompagnare nelle loro spedizioni da torme di schiavi che dovevano servire di cibo ai cani da guerra), là dove il L. C. riferisce per aver sentito dire da altri. Solo nel 1542 egli poté ottenere di essere ascoltato da Carlo V, dinnanzi al Consiglio delle Indie: e fu una requisitoria travolgente soprattutto contro gli "encomenderos", tanto da ottenere di nuovo dal sovrano il compito ufficiale di applicare una serie di ordinanze nettamente proibitive degli abusi di governatori e di coloni; e per dargli maggiore autorità fu fatto vescovo di Chiapas, nel Guatemala. Ritornato in America (1544), trovò anche questa volta la più forte opposizione, e allora ricorse a una nuova arma: compose un trattato di regole per i confessori, nel quale s'imponeva di rifiutare l'assoluzione agli Spagnoli che avevano "encomiendas" se prima non avessero rinunziato a trattare gl'Indiani contro gli editti. Atto gravissimo, dati i sentimenti religiosi degli Spagnoli, e che determinò una violenta reazione seguita da disordini. Il L. C. fu persino rappresentato come traditore, come partigiano degli eretici e venduto agl'Inglesi. Invitato in Spagna per scolparsi (1547), anche ora non si difende, accusa; e con trenta proposizioni sostiene che l'opera svolta sin qui dagli Spagnoli in America non ha valore giuridico: la sovranità del re deriva solo dall'autorità del papa e della Chiesa e dal mandato da questa ricevuto; d'onde l'obbligo di attenersi essenzialmente ai precetti del cristianesimo. Teoria ardita, ma difficile a essere impugnata legalmente, perché le proposizioni del vescovo si fondavano sopra l'autorità dei Padri e sul diritto canonico.
Gli opposero il cronista reale J. Ginés de Sepulveda, contro il quale il L. C. sostenne una famosa disputa con scritti di carattere giuridico e teologico; essa si svolse anche in contradditorio a Valladolid, nel 1550, dinnanzi al Consiglio delle Indie. E il risultato fu un trionfo per il L. C., poiché Carlo V rinnovò editti e ordinanze che avrebbero dovuto essere decisive contro la schiavitù e gli abusi degli "encomenderos". D'allora il L. C. non ritornò più in America, ma visse quasi sempre nel convento di S. Gregorio a Valladolid, continuando, vecchissimo, a scrivere lettere e trattati in difesa degli Indiani, poiché anche gli ultimi provvedimenti ottenuti rimasero a lungo insufficienti.
Appartiene a quest'ultimo periodo della sua vita (1550-1566) l'opera intesa a ricostruire la storia della scoperta d'America. Ma anche qui, nelle sue due opere fondamentali: Apologetica (che vorrebbe essere pure una descrizione geografica completa delle Indie) e Historia de las Indias, s' intravede sempre lo scopo principale, che è quello di esaltare le buone qualità degl'Indiani e di segnalare i sistemi errati e nefasti dei conquistatori (egli arriva a dire, ad es., con tutta la sua ammirazione per Colombo che le sventure dell'ammiraglio furono una punizione del Cielo per il contegno da lui tenuto verso gl'indigeni). Entrambe le opere sono ricche di osservazioni geografiche, in gran parte fatte direttamente dall'autore durante i varî decennî della sua dimora in America, specialmente a S. Domingo, ma per la storia della scoperta è soprattutto importante la seconda. Essa è certamente, fra tutte le fonti, la più abbondante e la più preziosa. Cominciata nel 1553 (sebbene il progetto di scriverla fosse già del 1527), fu finita nel 1561, e comprende gli avvenimenti dal 1492 al 1520, in 3 libri; ma nell'intenzione dell'autore doveva essere di 6 libri o decadi e giungere al 1552. In un suo testamento del 1559 egli legava l'opera, non ancora terminata, al convento di S. Gregorio, sotto condizione che per 40 anni, a decorrere dal 1560, nessuno avrebbe dovuto leggere il manoscritto, ma prima che scadesse il termine l'opera fu letta e largamente sfruttata da Herrera. Essa racchiude una massa enorme d'informazioni e di notizie, e dobbiamo soprattutto al L. C. la riproduzione e la conservazione di molti documenti, di cui sono scomparsi gli originali. L. C. aveva conosciuto personalmente Colombo e i suoi parenti a S. Domingo e in Spagna, e aveva avuto relazioni dirette con quasi tutti i navigatori spagnoli; inoltre per il suo credito e il suo prestigio a corte aveva avuto modo di consultare e di ricopiare documenti ufficiali, e la sua amicizia con i discendenti di Colombo gli aveva permesso di vedere a suo agio i documenti della biblioteca colombiana. Purtroppo però l'opera non va esente da gravi difetti. L'autore la intraprese a tarda età, 78 anni, ed egli stesso confessa che nei suoi lunghi viaggi, tra le avversità e i disagi della vita, aveva perduto moltissime delle sue carte, d'onde la necessità di scrivere, spesso, fidando solo nella memoria. Dappertutto poi un'erudizione minuziosa e ingombrante, digressioni prolisse e frequenti ripetizioni rendono la lettura faticosa e pesante. Scarso è inoltre il senso critico. Sicché, pur costituendo l'opera la fonte più autorevole per la storia colombiana, essa avrebbe bisogno di un ampio lavoro di epurazione e di controllo; soprattutto perché da essa hanno origine - ripetute dalle Historie attribuite a D. Fernando Colombo (che nella forma attuale appaiono invece un riassunto dell'opera del L. C.) - molte idee errate sulla vita di Colombo e sopra la sua preparazione e tecnica di uomo di mare.
Molte opere del L. C. sono tuttora inedite. Alcune, quelle polemiche, furono pubblicate durante la sua vita: Las obras de D. Bartolomé de Las Casas, Siviglia 1552-53, e furono ripubblicate più volte; l'ultima, con l'aggiunta di altri scritti e preceduta da notizie biografiche, in francese da I. A. Llarente a Parigi nel 1822. Le due opere più importanti e più vaste: Apologetica e Historia de las Indias furono pubblicate la prima in Nueva Bibl. de Autores Españoles, t. 13, Madrid 1909, e la seconda nel 1875, in Colección de docc. inéditos para la Hist. de España, LXII-LXVI.
Bibl.: Una bibliografia, ma non completa, degli scritti di L. C., si ha nella Bibliotheca hispana nova di Nicolas Antonio, Madrid 1783.
Per la vita e l'opera v. A. De Remesal, Historia de Chiapa y Guatemala, Madrid 1619; A. Helps, The life of L. C., the Apostle of the Indies, 1867; D. Carlos Gutierres, Fray Bartolomé de las Casas, sus tiempos y su apostolado, 1878; A. M. Fabié, Vida del P. Fray B. de L. C., nella Collección de doc. inéditos, ecc., sopra cit., LXX, 1879 (l'op. più importante scritta sin qui sul L. C.); M. Serraño y Sanz, Doctrinas psicolégicas de Fr. B. de L. C., in Revista de Archivos, 1907; M. Brion, B. de L.C., père des Indiens, Parigi 1927. Per quel che riguarda la sua opera di storico, v. il Libro I della Colección d. viages, ecc., del Navarrete, e il vol. I dell'opera di H. Harrisse, Chr. Colomb, ecc., Parigi 1884.