LARSA
Antica città sumerica, sull'odierno Tell Senkere, situato nell'Iraq meridionale. Dista 20 km da Uruk/Warka e 40 km da Ur/Tell el-Muqayyar; doveva trovarsi sulle rive dell'Eufrate, che attualmente invece scorre molto più a S, e si estendeva per c.a 190 ha, su un'area costituita da colline artificiali (secondo i dati delle ricerche storico-epigrafiche e geo-morfologiche). L. doveva costituire uno dei siti più rilevanti della Mesopotamia meridionale già in età protodinastica (2900-2350 a.C.), come attestano la menzione del santuario maggiore per il dio Samas, l’É-babbar, nell'iscrizione della celebre stele di Eannatum di Lagaš (v.), e gli scavi più recenti sul sito, con la messa in luce delle fasi più arcaiche di tale complesso templare. Dopo brevi ricognizioni da parte della British Euphrates Expedition nella prima metà dell'Ottocento, fu W. K. Loftus che nel 1853 identificò il sito con l'antica L., dopo una serie di sondaggi sulla sommità del tell e lungo i suoi margini, che permisero il recupero di materiale iscritto (sigilli cilindrici e mattoni) di re celebri, da Ur-Nammu di Ur a Hammurapi di Babilonia, al cassita Burna-Buriaš, fino a Nabucodònosor II e Nabonedo. La documentazione epigrafica di L. è stata oggetto in età moderna di un intenso saccheggio, che ha privato gli archivi dell'età paleo babilonese, il floruit della vita della città, dei loro originari contesti archeologici. Scavi sistematici sono stati avviati solo nel 1933, da parte di missioni francesi, sotto la guida di A. Parrot e successivamente di J. Margueron e di J.-L. Huot, che hanno condotto tra l'altro alla messa in luce di una delle porte urbiche, del palazzo di Nur-Adad e di gran parte dell'imponente complesso di culto dell’É-babbar. Dal 1974 anche la documentazione epigrafica si è accresciuta di più di cinquecento testi di età paleo-babilonese e cassita.
Sebbene l'esistenza di un insediamento a L. risalga al VI millennio a.C., come attestano frammenti ceramici rinvenuti in ricognizioni di superficie, la documentazione archeologica reca ampie testimonianze solo a partire dal II millennio a.C.; assai di recente è stato tuttavia possibile localizzare strutture e livelli del III millennio a.C. con l'aiuto dell'aereofotogrammetria, a conferma di quanto attestano le fonti storico-epigrafiche (testi arcaici di Ur e di Fara). La presenza di mattoni iscritti con i nomi dei sovrani e di oggetti con dediche a divinità ha permesso di identificare molte delle costruzioni erette nel II millennio a.C. e rinvenute nel corso degli scavi di questo secolo, dal palazzo di Siniddinam a quello di NurAdad, al Tempio di Nergal all’É-babbar. Il palazzo di Nur-Adad è stato attribuito a tale sovrano amorreo, che regnò dal 1865 al 1850 a.C., sulla base di due mattoni iscritti trovati ancora in situ in una soglia lastricata. Purtroppo lo stato di grave degrado dell'edificio ha impedito finora di conoscerne la pianta completa, l'ingresso principale e i limiti settentrionali. Studi recenti sulle fabbriche palatine della Mesopotamia pre-classica hanno però rilevato per questo edificio una organizzazione spaziale che prevedeva almeno due funzioni ben differenziate, l'una di rappresentanza intorno alla sala del trono, alla grande corte e alla cella (ambienti 28, 25, 26), e l'altra di centro amministrativo palatino, negli ambienti 1-13, in sintonia con i caratteri planimetrici e spaziali dei coevi complessi palatini della Mesopotamia (Ešnunna, Ur, Uruk e Mari). Osservazioni puntuali nel corso degli scavi hanno altresì indicato come il palazzo non fosse stato portato a termine né mai abitato effettivamente, sebbene i dati tecnico-costruttivi, come lo spessore delle mura (fino a 2 m) e la profondità delle fondazioni (fino a 3,50 m), attestino un'imponente realizzazione, che prevedeva di certo un secondo piano.
Nella parte centrale del tell sorge il più vasto complesso edilizio finora riportato alla luce sul sito, non ancora completamente scavato, le cui rovine si estendono per più di 400 m2. Si tratta del santuario principale della città, dedicato al dio Šamaš, divinità maggiore del pantheon cittadino, seguito da Sin e dalla dea Ištar. Sull'area, già indicata da A. Parrot negli anni '30 come quella del possibile centro di culto del dio, doveva essere impiantato nel periodo delle dinastie amorree un primo nucleo, annesso attualmente al complesso maggiore, e ampliato in età paleo-babilonese, forse da Hammurapi stesso. È proprio a tale sovrano che si attribuisce il grandioso progetto unitario del complesso monumentale dell’É-babbar, impostato su un unico asse NE-SO, secondo un sistema di ampie corti, con ingresso lungo il fronte di NE. Restauri e integrazioni furono compiuti dai sovrani cassiti che dominarono sulla Mesopotamia meridionale nel corso della seconda metà dello stesso millennio, da Burna-Buriaš a Kadašman-Enlil II e ad Adad-apla-iddina. Il complesso di culto era costituito almeno da due santuari, l’É-babbar, cioè il tempio vero e proprio, e la ziqqurat, ormai ridotta a un imponente cumulo di argilla, all'estremità Ν dell'area, situata all'interno di un'assai ampia terrazza, di 135,50 x 80,60 m. L’É-babbar era costituito da almeno cinque corti, tra loro comunicanti, di cui due interamente riportate alla luce, e in asse con il complesso della ziqqurat, le corti precedevano il santuario del dio, situato più a S, su un asse apparentemente diverso a causa del disassamento delle strutture, e ormai inglobato nei rifacimenti successivi a opera di Nabucodònosor II. Il témenos della ziqqurat e le mura delle due corti erano articolati in una serie di ambienti spesso comunicanti fra loro, secondo la tradizione neo-sumerica dei grandi complessi di culto della III dinastia di Ur. Il fronte principale di SO della corte I e la facciata di NE, che raggiungono uno spessore massimo di 5,80 m e un alzato di 3 m, presentano una decorazione architettonica a nicchie a doppio recesso, scandite da contrafforti alternati a serie di sette colonne o semicolonne tortili, riproposte anche sull'ampio portico che precede la corte stessa, in stretto parallelismo con quella del tempio paleobabilonese di Qaṭṭarā (Tell ar-Rīma) nella Mesopotamia settentrionale; quest'ultimo fu costruito da Šamši-Adad I di Assiria poco prima dell'inizio del regno di Hammurapi su Babilonia. Tre scale monumentali che conducono dalla corte I ai tre vani, collocati nell'ala SO, colmano la differenza di livello tra i varî settori del complesso, in particolare tra le corti I e V. Anche l'orientamento delle corti nel primo progetto risalente all'età della dinastia amorrea, e in particolare a Sin-Iddinam, non è univoco. L'orientamento N-NE è diverso da quello delle corti I-III, forse in prospettiva di una nuova sistemazione complessiva dell'intera area, realizzata solo più tardi da Hammurapi di Babilonia, che ne modificò però l'asse di orientamento. L'intervento del re cassita Burna-Buriaš II tentò di coordinare, secondo l'orientamento originario, le corti I e V, per mezzo di un intenzionale spostamento degli assi delle strutture. Un violento incendio segna la distruzione e l'abbandono dell'É-babbar, poco dopo il 1048 a.C. Le fonti testuali documentano tuttavia l'intervento di re neo-assiri, quali Sargon II e Asarhaddon, sull'area di culto di Šamaš, e gli scavi più recenti hanno definito la presenza e i limiti dell'occupazione neo-babilonese, di un'installazione ellenistica e partica nell'area dell’É-babbar. Nabucodònosor II, nella prima metà del VI sec. a.C., infatti «ricostruì», secondo le fonti epigrafiche, il santuario di Šamaš, a pianta ovale e con mura in mattoni cotti iscritti, ornate da contraffortature, conservate fino a 2 m di alzato. La pianta del tempio, con l'entrata principale a SE, consiste in un ambiente centrale, di 13 x 5 m (forse a cielo aperto?), allestito con due serie di banchi in muratura lungo le pareti dei lati lunghi, dal quale si accedeva sia alla cella, provvista di un grande altare raggiungibile con due scale ai lati, sia a otto piccoli vani, disposti simmetricamente ai suoi lati. Il tempio restò in uso anche durante il regno di Nabonedo, cui appartengono i resti di ima stele, copia locale della più celebre trovata a Ḥarrān, riutilizzata in età ellenistica come soglia di porta. Resti di ceramica e di tavolette datate al terzo anno di Filippo III Arrideo (320 a.C.) attestano una fase d'impiego del tempio in età seleucide e partica. E interessante notare come l'installazione neo-babilonese si imposti direttamente sui resti del tempio cassita costruito da Kadašman-Enlil II, di cui restano mattoni cotti con il suo stampo. L'area dell'É-babbar ha finora offerto poche ma significative testimonianze dell'arte figurativa e dell'oreficeria del sito, seppure in contesti non sempre pertinenti alla fase culturale originaria, come la testa assai danneggiata, attribuita al III millennio a.C., e la statua acefala assisa, probabilmente degli inizî del II millennio a.C., provenienti dalla corte I. La statua può rappresentare uno dei re della dinastia e riflette i canoni formali e figurativi della tradizione neo-sumerica, non ancora percorsa dal vigoroso espressionismo dell'arte dell'età di Hammurapi. Ancora dall’É-babbar, in una sorta di nascondiglio, sotto una delle molteplici pavimentazioni, proviene un lotto prezioso di oggetti e utensili, raccolti intenzionalmente in una giara al tempo del successore di Hammurapi, Samsu-Iluna, che saccheggiò la città e vi represse numerose rivolte. Tra i gioielli di fattura paleo-babilonese in argento, elettro e oro spiccano due medaglioni, lavorati a fine granulazione, con decorazioni a sfere, semicerchi e cerchi, assai simili nella tipologia e nella fattura alla collana da Dilbat, finora ritenuta l'unico esempio rilevante dell'oreficeria della I dinastia di Babilonia, ed equivalenti, per l'elevata qualità artigianale, ai gioielli provenienti dalla «Tomba della Principessa» di Ebla paleosiriana. Probabilmente da L. proviene un cippo in calcare scolpito su tutti i lati, con una coppia di personaggi maggiori accanto a un edificio, forse di culto, e una teoria di figure maschili, di dimensioni minori. L'opera è attribuibile, con l'aiuto dell'iscrizione di cui è corredata, agli inizî dell'età protodinastica, nel primo quarto del III millennio a.C., e costituisce uno dei rari documenti di questo periodo proveniente da Larsa. Più ampia è invece la documentazione di rilievi di età cassita, nella tipica produzione dei kudurru, cippi lapidei recanti testi di atti giuridici tra il sovrano e i suoi sudditi, posti sotto la tutela delle divinità, raffigurate in genere mediante simboli sulla sommità del monumento, e in particolare della triade Anu, Enlil ed Ea. Due kudurru frammentari provengono dallΈ-babbar e furono dedicati nel tempio di Šamaš: l'uno con un atto di donazione del re cassita Nazimaruttaš, alla presenza della dea Gula, evocata da un molosso, il suo animale simbolico; l'altro, datato all'XI sec. a.C., e forse in tale periodo solo riutilizzato, poiché reca una lunga iscrizione con la tradizionale partizione in registri su buona parte della superficie, ove si snodano numerosi simboli divini relativi al pantheon cassita di Larsa.
Oltre alla restituzione dei complessi cultuali e degli edifici palatini, le undici campagne di scavo condotte a L. tra il 1933 e il 1985 hanno altresì fornito alcuni dati per la ricostruzione del tessuto urbano della città, verosimilmente articolata in quartieri residenziali, amministrativi, artigianali, secondo un impianto adeguato al duplice ruolo che ha svolto nei primi secoli del II millennio a.C. di capitale politica e di sede principale del culto di Šamaš nella Mesopotamia meridionale.
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