TRIER, Lars von (propr. Trier, Lars)
Regista cinematografico danese, nato a Copenaghen il 30 aprile 1956. T. (il von è posticcio, in nome di un ego ipertrofico e autoconsapevole, e in omaggio a von Stroheim e von Sternberg) ha esordito negli anni Ottanta con la trilogia europea (Forbrydelsens element, 1984, L’elemento del crimine; Epidemic, 1987; Europa, 1991), insieme di opere sfacciatamente metariflessive, esercizi di sarcastico formalismo nel contesto di un’Europa in disfacimento morale e fisico. Un cinema che si dichiara sin dal principio gesto di arrogante ars manipolatoria, svelamento di una superba finzione al lavoro, a fronte di una visione del reale patologica e terminale. Con il televisivo Medea (1988) si è confrontato, eretica-mente, con una sceneggiatura di Carl Theodor Dreyer. Nel 1995 ha realizzato il manifesto Dogma 95, in cui professava voto di castità estetica, con rigide norme a tutela di un cinema antiautoriale, austero e avverso alla cosmesi del mondo. Con Breaking the waves (1996; Le onde del destino), Dogme#2: Idioterne (1998; Idioti) e Dancer in the dark (2000), T. è passato dall’adesione rigorosa al manifesto a una sfrontata sconfessione (Dancer in the dark si apre a squarci di musical industriale e proletario), rivelando come la sua pratica autoriale sia costituita da limiti autoimposti ed eccezioni sfrontate, in una dialettica provocatoria nei confronti di una critica che fa il suo gioco gridando allo scandalo e alla cialtroneria.
Se dunque il realismo estremo di Dogma 95 non ha inventato nulla nell’ottica di una storia del cinema, ha però consentito l’irruzione nel territorio della fiction d’autore di un’estetica radicalmente documentaristica e l’esordio di una moltitudine di registi aderenti a questa poetica. Questi tre film formano la trilogia del cuore d’oro, in cui T. porta al parossismo il sadismo dello sguardo spettatoriale: sono mélo di ipocrita taglio realista in cui la figura femminile è martire delle ipocrisie della società, idealista sino a una letterale cecità. Con Dogville (2003) ha preso l’avvio l’incompleta trilogia americana, che è proseguita con Manderlay (2005). La scenografia dei film è assente, le città sono semplicemente disegnate sul pavimento di un palco teatrale, non ci sono pareti, non esiste separazione tra privato e pubblico: tutto è visibile, si può solo fingere di non vedere, e così i due film divengono parabole morali, sarcastiche e furenti su ciò che di contraddittorio fonda la democrazia americana. De fem benspænd (2003; Le cinque variazioni) è un manifesto poetico: un elogio della regola come ostacolo e motivo d’ispirazione creativa. Direktøren for det hele (2006; Il grande capo), che esaspera il coté comico del suo telefilm Riget (1994), fa di questo aspetto una questione di assurda pratica cinematografica: T. ha girato questa farsa sulla finanza con il ricorso alla casualità di ripresa dell’Automavision, sistema che delega la composizione delle inquadrature alle scelte casuali di un computer. Con Antichrist (2009) T. ha inaugurato la trilogia della depressione: esaltando il distacco del referente reale al tempo del digitale, T. esplicita il proprio dolore di depresso nelle forme di un cinema fortemente espressionista, che diviene terreno di scontro tra archetipi caricaturali (il maschile come ragione inadeguata, il femminile come natura incontenibile) e dove si proclama la rivalsa delle streghe, del corpo sacrificato dalla storia e incompreso dalla scienza. Melancholia (2011) fa dell’ansia apocalittica di inizio millennio una faccenda privata, smantellando scene da un matrimonio e raccontando il sollievo del depresso e il terrore del borghese di fronte all’ineluttabilità della fine. Nymphomaniac (2013), diviso in due capitoli, è un dialogo a due tra una donna sex-addicted e un uomo vergine saggio. Questo film chiude la trilogia riflettendo sullo storytelling come forma di autonalisi e sulla incomunicabilità con lo spettatore contemporaneo.
Bibliografia: C. Bainbridge, The cinema of Lars von Trier. Authenticity and artifice, London-New York 2007; J. Simons, Playing the waves. Lars von Trier’s Game Cinema, Amsterdam 2007; A. Koutsourakis, Politics as form in Lars von Trier. A post-Brechtian reading, New York 2013.