Vedi LARINO dell'anno: 1961 - 1995
LARINO
LARINO (v. vol. IV, p. 485). Gli scavi sistematici, iniziati nel 1977 e intensificati nel 1983-1993, hanno interessato sia la zona urbana, sita in Piana S. Leonardo, che le necropoli dell'immediato circondario, aggiungendo così numerosi altri dati relativi alle fasi di frequentazione del sito e all'impianto urbano.
Le testimonianze più antiche sono date dai sepolcreti di Carpineto (a NE del centro abitato antico), di Ponte Colagiovanni (a S) e di Monte Arcano (a NO), con sepolture a inumazione, tutte di tipo a fossa, datate tra il IX è il VI sec. a.C., che lasciano presupporre nuclei abitativi sparsi nel pianoro di S. Leonardo. Dalla concentrazione di tali nuclei si svilupperà progressivamente il centro urbano. Costante, nelle tombe, è la grossa olla da derrate, prima di impasto, poi via via di argilla depurata di imitazione di tipi daunî, ai quali rimandano anche alcune categorie di vasi da mensa (brocche, scodelle) con decorazione geometrica.
Il centro urbano fu edificato, nel IV sec. a.C., sull'incrocio dei principali percorsi della zona: la via costiera e la strada che da L. conduce al Sannio interno fino a Bovianum seguendo un percorso di dorsale. Gli scavi stratigrafici rivelano, a tratti, la fase urbana preromana di L., che ha come elemento peculiare un sistema costruttivo con zoccolature in blocchi di arenaria squadrati ed elevato molto probabilmente in mattoni crudi. Di questa fase sono visibili i resti di un santuario (Via Jovine) frequentato tra il III e il II sec. a.C., una domus con ampio atrio a ciottoli policromi e con impluvio a mosaico policromo a motivi vegetali e marini (zona di Torre S. Anna), tratti di lastricati stradali, taluni dei quali sono in ciottoli formanti motivi geometrici secondo schemi noti in Puglia (zona dell'anfiteatro) e, dappertutto, resti di murature in blocchi di arenaria inseriti nelle strutture posteriori. Di una fornace per ceramica, attiva nel periodo di frequentazione del santuario di Via Jovine, restano numerosi scarti di lavorazione di vasi a vernice nera. Dei nuclei sepolcrali pertinenti a questa fase, uno è stato individuato sulle pendici settentrionali del Montarone, lungo una strada che rappresenta verosimilmente una sopravvivenza antica del percorso che si indirizzava verso le Piane di Larino e quindi verso la costa adriatica da un lato, e verso le colline dell'entroterra meridionale dall'altro.
Tali sepolture rivelano una buona percentuale di individui incinerati in stàmnoi di bronzo con anse fuse decorate da teste di sileno a rilievo; i corredi documentano con grande evidenza l'apporto apulo, sia nei vasi figurati (compare per la prima volta il cratere) che in quelli in stile di Gnathia (soprattutto oinochòai) e in qualche esemplare imitante tipi canosini.
Le strutture di epoca romana in parte si sovrappongono a quelle più antiche mantenendone (od obliterandone) l'orientamento se non anche la destinazione. Un settore al margine del centro urbano, situato sulle pendici settentrionali del Montarone, ha restituito un buon tratto di lastricato stradale con relative crepidini, sui cui lati si distribuiscono ambienti a destinazione abitativa, tra i quali due pavimentati in mosaico bicromo e, sul lato opposto, a S, altri a destinazione artigianale.
Alla seconda metà del I sec. d.C. risale la costruzione di un grosso complesso pubblico che parzialmente si sovrappone alla domus repubblicana di Torre S. Anna; esplorato solo in parte, esso si articola in un edificio in opus latericium a pianta quasi quadrata, con probabile destinazione sacra, a ridosso del quale è una piattaforma delimitata e sostenuta da un muro in opus mixtum di reticolato e laterizi, sulla quale si articolano ambienti di vario genere: un'esedra, un porticato colonnato, ampi spazi pavimentati in cocciopesto; qua e là vi sono tracce dell'originario rivestimento in marmo delle pareti. In questo settore un'iscrizione opistografa a carattere pubblico su base di statua, una statua acefala di un fanciullo togato nonché i restauri antichi attestati nelle strutture, documentano, dopo la fase costruttiva di I sec. d.C., notevoli interventi di rifacimento nel IV sec., da collegare evidentemente al terremoto che nel 346 devastò il Sannio.
L'anfiteatro è visibile pressoché totalmente, per quanto molto lacunoso a causa delle spoliazioni sistematiche di cui è stato fatto oggetto. Un'iscrizione rinvenuta di recente, che si integra con un frammento già noto (CIL, IX, 731), posta in origine sulla porta O dell'edificio, ne colloca la costruzione alla fine del I sec. d.C., a opera di un personaggio di rango senatorio rientrato nella città di origine probabilmente al termine della sua carriera. Una seconda iscrizione, anch'essa lacunosa, collocata sulla porta meridionale, allude invece, molto probabilmente, a interventi di restauro o di abbellimento del monumento, effettuati a opera di un altro personaggio di rango senatorio, nel secondo ventennio del II sec. d.C.
A pianta ellittica è un edificio di media grandezza (m 97,80 x 80; arena: m 59,40 x 41,60) a struttura mista, con ima cavea scavata nello strato di arenaria e con ordini superiori in opus mixtum di reticolato e laterizi; con la stessa tecnica sono realizzati il paramento dell'ambulacro, le gallerie delle porte, il muro del podio prima che venisse rivestito di lastre calcaree, e le pareti degli spoliaria collocati ai lati della porta settentrionale e di quella meridionale. Delle quattro porte che immettono nell'arena solo quella settentrionale e quella occidentale, più piccola, conservano parte della volta a botte inclinata. Nell'ambulacro, coperto con volta ora interamente crollata, si aprono i dodici vomitoria che immettono nell'ima cavea; l'accesso agli ordini superiori era assicurato da scalinate esterne che interrompono la serie delle arcate nella parete esterna dell'ambulacro. Buona parte dell'euripo, il rivestimento del podio di seconda fase e i gradini dell'ima cavea sono realizzati in blocchi calcarei; altri blocchi, rinvenuti nei pressi dell'ambulacro, ospitavano probabilmente i pali lignei di sostegno del velarium. Quasi al centro dell'arena, spostata verso E, è una fossa quadrangolare (m 5,50 x 7,50, profonda m 5) ricavata nel banco di arenaria, con rampa di accesso all'arena sul lato occidentale. Nell'ambito del sito urbano, l'anfiteatro doveva occupare una posizione marginale a S, nelle immediate adiacenze della strada che portava verso il Sannio interno.
Ai mosaici già noti dagli anni Trenta (il mosaico «del Lupercale», quello «del Leone» e quello «degli Uccelli»), si sono aggiunti altri esemplari per lo più a decorazione geometrica e vegetale, che coprono un arco di tempo molto vasto, dal II sec. a.C. (mosaico «del Polpo») al III sec. d.C., taluni eleganti e accurati nell'esecuzione (mosaico «dei Delfini»), altri più scadenti (mosaico «del Kàntharos»), documentano tutti la presenza a L. di maestranze molto attive, talora eccezionalmente qualificate.
Di una delle necropoli frequentate in epoca imperiale si conosce l'ubicazione lungo la strada che proseguiva verso il Sannio interno; presso l'attuale stazione ferroviaria si rinvennero, nell'Ottocento, numerose iscrizioni funerarie, cui si sono aggiunte le sepolture scoperte nel 1990; queste ultime sono databili tra il II e il III sec. d.C. I recenti rinvenimenti monetali arricchiscono, sia pure limitatamente, la già nota serie della zecca di L., operante per un breve periodo di tempo nella seconda metà del III sec. a.C., con tipi che circolarono anche successivamente in ambiti ristretti del Sannio, della fascia costiera adriatica centro-meridionale e della Puglia. Proveniente da un edificio extraurbano (loc. Lagoluppoli) è un cospicuo ripostiglio (poco meno di seimila monete, prevalentemente nummi ridotti riferibili agli imperatori Massenzio, Massimino, Licinio, Costantino), datato al 319 d.C.
Non sono definibili con esattezza l'epoca di abbandono del sito di Piana S. Leonardo e lo spostamento dell'abitato sullo sperone roccioso dove si svilupperà L. medievale e moderna, situata c.a 2 km a SO dell'abitato antico; alcune sepolture di epoca alto-medievale, rinvenute nell'anfiteatro, forniscono per tale abbandono un terminus ante quem al VII sec. d.C.
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