LARICE (lat. scient. Larix)
Nome di un genere di Pinacee che Linneo riuniva ai Pinus, ma che i botanici posteriori hanno considerato come distinto. Dai pini i larici facilmente si distinguono, oltre che per la chioma più rada, a rami più gracili e disposti non a palchi regolari, soprattutto per le foglie caduche d'inverno, di consistenza quasi erbacea e di color verde chiaro. Quanto al modo d'inserzione delle foglie sui rami, esse sono differentemente disposte secondo che si tratti di assi terminali o di allungamento (macroblasti) o di rami brevi laterali (brachiblasti): nel primo caso le foglie sono disposte in fillotassi a spirale lassa nel secondo a spirale raccorciatissima e quindi a ciuffi, in numero di 20-40. I coni dei larici sono piccoli, ovoidei od oblunghi, a squame sottili, poco lignificate; maturano in un anno, ma restano appesi ai rami per 3 o 4 anni.
Il genere Larix conta 10 specie, di cui alcune poco differenziate tra loro, distribuite nelle regioni temperate dell'emisfero boreale. In Europa si ha il L. decidua Mill. (Pinus larix L., L. europaea Lam. et DC.), cioè il larice nostrale, la cui area occupa le Alpi e i Carpazî, spingendosi fino ai monti della Slesia e della Boemia. È un albero maestoso, che può raggiungere un grande sviluppo con 40 m. d'altezza e oltre 2 metri di diametro (eccezionalmente arriva sino a 7 metri di circonferenza e persino 9,32), e può vivere fino a 500-600 anni e talora anche più.
Gli amenti nascono lateralmente sui rami di 2-3 anni, quelli staminiferi piccoli, globosi e di colore giallo, gli ovuliferi più grandi e di un bel colore rossoporpora. Gli strobili sono ovoideo-allungati, con squame coriacee, alla fine divaricate; i semi presentano un'ala stretta e allungata, l'embrione ha 5-7 foglie cotiledonari.
Il larice è un'essenza forestale di primo ordine; occupa nelle Alpi una zona che va in media dai 1000 ai 2000 m., ma può anche scendere a 450 m. e salire sino ai 2600. È di facile acclimazione, tanto che prospera persino in pianura (Cascine di Firenze); è spesso coltivato a scopo forestale fuori della sua area, come nell'Appennino, in Germania, in Scozia, in Svezia, in Russia e nell'America Settentrionale. Tra le conifere nostrali è la più lucivaga, esige cioè piena luce e in bosco denso si allunga esageratamente, senza che il tronco raggiunga un diametro conveniente (si sono viste piante, del diametro di 10 cm. alla base, alte 30 m.). È la pianta più appropriata per pascoli arborati, perché la sua ombra è tenue e permette alle erbe di crescere bene sotto la sua chioma. Preferisce luoghi ove l'aria sia asciutta e non persistano le nebbie; vegeta anche a temperature basse di + 3° e ciò spiega come possa spingersi ad altitudine molto elevata. Naturalmente il larice si consocia con altre essenze, restando però predominante.
Dal larice si ottiene un legname pregiatissimo, che però ha caratteri e valore diversi secondo la provenienza. In generale il legname migliore si ha dalle Alpi e in località elevate, ove, per il periodo vegetativo breve, si hanno accrescimenti annuali di pochissimo spessore e quindi un durame compatto di bellissimo color rosso-sangue, che si presta anche per mobili. Gli usi più frequenti del larice sono per costruzioni edilizie, palafitte, costruzioni stradali, sostegni per condutture elettriche, ecc. Nell'Appennino e in genere in località basse e più calde il periodo vegetativo dell'albero si allunga, dando luogo ad accrescimento assai più rapido, che però va a detrimento della qualità del legno, che diviene meno compatto e soprattutto a struttura meno omogenea. La proporzione di ceneri nel legno aumenta quanto più la pianta cresce in luoghi più bassi e più caldi.
Si raccoglie la sua resina, che va in commercio col nome di trementina di Venezia; essa si estrae praticando dei fori alla base dell'albero che giungono sino al centro del tronco, in modo da raccogliere anche il prodotto che si forma nel durame. Un albero vigoroso può dare 200-300 grammi di trementina per anno e per moltissimi anni di seguito. L'essenza che si distilla da tale trementina è assai ricercata per usi terapeutici. Dal larice in estate trasuda una specie di manna (manna di Briançon) con la quale le api formano un ottimo miele.
Delle specie esotiche si coltiva talora il larice giapponese (Larix leptolepis Gordon) con i ramoscelli spesso un po' pelosi, gli amenti ovuliferi con squame orlate di porpora ma nel resto giallo-verdastre e gli strobili più brevi, a squame più sottili, alla fine rivoltate in fuori. Si preferisce al nostrale come pianta ornamentale, per l'accrescimento molto rapido.
Altri larici vanno ricordati perché nella loro area tengono il posto del nostrale come essenze forestali. Così Larix Griffithii Carr. del Himālaya, L. sibirica Ledeb. della Russia sett.-orientale e Siberia, L. dahunca Turcz. dell'Asia orientale-settentrionale; L. occidentalis Nutt. dell'America nord-occidentale, L. americana Michz. (L. laricina Koch) e L. Lyallii Parl. dell'America nord-orientale.
Altre due specie ad area più ristretta si trovano in Cina.