LARI (Lares, Lar)
Divinità venerate dai Romani. Già gli antichi dibatterono più volte sull'origine del culto di queste prische divinità latine e, sulla scorta delle varie testimonianze, gli studiosi moderni hanno elaborato due teorie: l'una (Wissowa) respinge le teorie animistiche, che farebbero dei L. le anime degli antenati, e vede in loro essenzialmente divinità del podere, e poi del territorio dello Stato e, genericamente, di una determinata località, che solo con l'organizzarsi della vita urbana sarebbero entrate nella casa a far parte del culto familiare e domestico; l'altra (Samter) invece riconosce priorità al culto domestico e avvalora le teorie animistiche, che vedono nel Lare lo spirito degli antenati e una divinità ctonia; sicché anche i Lares Compitales sarebbero non già dei luoghi, ma l'insieme delle anime degli antenati delle famiglie abitanti presso il compitum, cioè presso l'incrocio delle strade. Solo successivamente essi sarebbero divenuti genericamente divinità protettrici del focolare o di un luogo. Varî argomenti parrebbero suffragare questa seconda ipotesi: il fatto che taluni scrittori latini li abbiano interpretati come Mani o Larvae (Varrone citato da Arnob., iii, 41); che gli scrittori greci li abbiano chiamati δαίμονες o ἥρωες (Dion., iii, 70; iv, 2, 3; iv, 14; Plut., De fort. Rom., 323 B), divinità generalmente ctonie; l'origine stessa del nome che da taluni moderni è considerato come derivato da Lasa (v.), la divinità etrusca collegata alla tomba ed ai morti. Qualunque sia però l'essenza prima del culto vediamo che essi ci sono documentati ab antiquo sia come protettori dei campi sia, e specialmente, quali divinità domestiche e della famiglia e come tali ebbero onori particolari in ogni casa e posto preponderante nelle vicende familiari liete o tristi. Non sembra che alle origini ci si preoccupasse della loro genealogia, soltanto la posteriore tradizione erudita li dirà figli di Lara o Larunda, di Acca Larentia, della dea Mania o Genita Mana (anche queste genealogie farebbero pensare ad un carattere ctonio dei Lari). Il culto antichissimo conosce un solo Lare, il Lar Familiaris, che solo più tardi sarà duplicato, forse quando nei compita campestri, ove si incontravano le vie provenienti da terreni vicini, si istituirono sacelli od are per onorare i Lares Compitales. Oltre che i crocicchi essi proteggevano anche le vie in generale (Lares Viatorii, Viales, Semitales) o i poderi di una determinata famiglia (Lares Hostilii, Cerenaeci, ecc.). Dal semplice culto familiare ed agreste, già in età repubblicana i L. passarono nel culto ufficiale dello Stato (Lares Praestites, Permarini, Militares) ed il loro culto ebbe nuovo impulso e nuovo ordinamento da Augusto, nel quadro della restaurazione religiosa da lui voluta ed operata. Da questa epoca al culto dei Lares Compitales onorati nei vari vici (di qui l'appellativo attestato di Vicinales) fu abbinato il culto del Genius (v. genio) dell'imperatore. Da questo momento nelle cappelle dinanzi a cui due volte l'anno, a maggio e ad agosto, i vicomagistri celebravano libagioni e sacrifici, tra le due immagini dei Lares Augusti compare quella del Genius Caesaris.
Di questa età sono le molte are dedicate in loro onore dai vicomagistri nei compita urbani.
Tre sono le classi di monumenti che ci hanno conservato l'immagine dei L.: statuine bronzee che adornavano i lararî; rilievi, precipuamente delle are dei vicomagistri; pitture, specialmente di lararî pompeiani. A questi monumenti si aggiungono alcuni rilievi di varia epoca e provenienza in cui è rappresentata la processione delle feste Compitalia, i cui partecipanti recano le statuette dei Lari.
Per l'età repubblicana poco sappiamo della loro rappresentazione: Tibullo dice che nei tempi antichi essi erano rozzamente scolpiti in legno; da un frammento di Nevio (Fragm., 99) apprendiamo di un pittore, Theodotos, che dipingeva per le feste Compitalia immagini di lares ludentes. Da questo interessante passo dovremmo concludere che già al tempo della seconda guerra punica si era fissato quel tipo di Lare danzante, che vedremo ripetersi più frequentemente nei monumenti d'età imperiale; e forse già a quell'epoca esso aveva assunto quell'aspetto di grazia leziosa che, nello slancio della persona librata sulla punta dei piedi, nell'aprirsi a ventaglio della breve veste ai lati delle gambe, nello svolazzare dei drappeggi ricorda i rilievi e le terrecotte con danzatrici che si vogliono ispirate alle saltantes Lacaenae callimachee.
Di età repubblicana è l'unica rappresentazione nota dei Lares Praestites in una moneta di L. Caesius (Babelon, Monn., i, p. 281) essi sono rappresentati seduti con elmo e lancia, mantello che avvolge la parte inferiore del corpo e un cane tra loro, simbolo della buona guardia. È questa una rappresentazione indubbiamente influenzata da quella dei Dioscuri. Secondo Plutarco (Rom., 21; Quaest. Rom., 51) essi sarebbero stati vestiti di una pelle di cane e se ne è voluta riconoscere un'immagine in una figurina bronzea del Louvre (danzante, con pelle di cane sulla tunica e rhytòn e patera nelle mani) che però non ha nulla in comune con i due L. della moneta e sembra piuttosto derivare dal tipo del Lare danzante con mutato abbigliamento.
Per l'età imperiale i monumenti raffiguranti i L. si moltiplicano, ma prima di esaminarne i più significativi è opportuno premettere che, salvo varianti negli attributi e salvo qualche rappresentazione peculiare, tali rappresentazioni si possono raggruppare in due tipi ben distinti per atteggiamento: quello del Lare danzante, di cui già si è detto, e quello del Lare stante, che accenna appena al passo, in atteggiamento calmo e pacato. Comune ad ambedue è l'abbigliamento: corta tunica, alti calzari, mantelletto avvoltolato quasi a guisa di sciarpa, che forma un sinus sul petto, gira attorno alla vita per ricadere in manierato drappeggio al di sotto della cintura. L'uno e l'altro tipo sono generalmente coronati di fiori o di fronde hanno aspetto giovanile, lunghe chiome ricciute e recano come attributi la patera o la situla, il rhytòn o un ramo d'alloro o la cornucopia.
Secondo il Wissowa i Lares ludentes, cioè quelli del tipo danzante, sarebbero i Lares Compitales, mentre il secondo tipo non danzante si ricollegherebbe al Lare unico, il Lar Familiaris. Altri invece, poiché a questo tipo si accompagna più di frequente l'attributo della cornucopia, vi ha individuato i Lares Rurales. D'altra parte non abbiamo sufficienti dati per stabilire con sicurezza la questione.
Sarebbe interessante poter stabilire piuttosto quando si fissarono esattamente i due tipi con quelle caratteristiche formali che restarono loro attraverso i secoli. Indubbiamente ambedue, pur essendo prettamente romana la divinità rappresentata, furono creati sotto l'influsso formale dell'arte greca: se tale influsso fu diretto o mediato attraverso l'Etruria e l'Italia meridionale non possiamo dire. Piacerebbe e parrebbe logico pensare che il tipo venisse creato in concomitanza con il rifiorire del culto in età augustea e a tale periodo di dilagante classicismo potrebbe anche convenire l'aspetto stilistico della creazione, ma la mancanza di termini di confronto sicuramente anteriori, non permette di stabilire se anche prima le immagini di culto avessero o meno questo aspetto.
Al periodo augusteo si datano come si è detto molte delle are dei vicomagistri sui cui fianchi appaiono i L.; ricorderemo quella del Vicus Sandalarius (Firenze, Uffizi) in cui i due L. stanti, affrontati hanno l'uno la patera e l'altro la situla e sollevano alto il rhytòn. Nell'ara del Vicus Aesculeti (Roma, Museo Nuovo dei Conservatori), i L. hanno invece rhytòn e ramoscello di lauro. Per la singolarità degli attributi si distinguono i L. di un'ara di Delo, che hanno capo pileato e rhytòn e rami di palma in mano. Con berretto frigio sono sia un Lare in bronzo del Louvre, sia quelli del larario della Casa di Meleagro a Pompei, sia quelli rappresentati in pitture delie. Singolarissima la rappresentazione di un Lare a cavallo in un rilievo dei Musei Vaticani. Tra i monumenti in cui compaiono le statuine dei L. portate in processione ricorderemo la bell'ara dei vicomagistri del Palazzo della Cancelleria, d'età claudia; o l'ara del Belvedere in Vaticano in cui Augusto stesso porge ad un sacerdote una statuetta di Lare.
Particolare interesse presentano i dipinti dei larari pompeiani in cui per lo più i giovani dèi sono rappresentati a fianco di altre divinità tutelari (Vesta, i Penati, il Genius ecc.): anche qui si alterna il tipo del Lare danzante a quello fermo; variano gli accoppiamenti degli attributi (rhytòn e situla; rhytòn e patera; ramo d'ulivo, cornucopia, patera). Per lo più in una stessa composizione i L. sono dello stesso tipo e in posa specularmente simmetrica, ma non mancano esempî in cui essi sono diversamente atteggiati e recano attributi differenti. Tra i tipi unici, oltre ai due L. col berretto frigio, si ricordano quelli "bracati" di un larario di Boscoreale. Insolito è invece non l'abbigliamento ma la posa dei L. che fiancheggiano Vesta e Venere Pompeiana nel larario della Casa del Labirinto: appoggiano il braccio con cui sorreggono la patera ad un alto pilastrino. Si ricorderà da ultimo un dipinto purtroppo quasi scomparso di uno dei larari della Villa dei Misteri, con una strana figura in atto di versare da un rhytòn in una patera, che, se fosse esatta l'identificazione, ci darebbe l'unica raffigurazione del tipo primitivo del Lar e ne sarebbe la più antica documentazione.
Larario (lararium). - È il sacello domestico nel quale erano adorati i L. e le altre divinità della casa e della famiglia. Il termine lararium appare per la prima volta in età imperiale (Hist. Aug., iv, 3, s; xviii, 29, 2; 31, 4); anteriormente sono adoperati termini più generici: sacrarium (Cic., Verr., iv, 2, 4; 3, 7; Ad fam., xiii, 2), sacellum, aedicula (Petr., 29, 8; luven., viii, iii). Nei più antichi tempi il suo posto era nell'atrio, ove era anche il focolare; in seguito, nelle case cittadine, esso fu ubicato anche nella cucina, nel peristilio, nel giardino o in un ambiente vicino all'atrio.
Se si eccettuino esempî rinvenuti altrove, come quello dell'Esquilino (a forma di grande edicola in muratura addossata alla parete del cavedio, con timpano frontale e vòlta a botte, avente nelle pareti interne nicchie sovrapposte contenenti le statue delle divinità) o l'altro pure ad edicola rinvenuto in Trastevere nella casa divenuta nel III sec. l'escubitorio della VII coorte dei vigili, o il l. della Domus Flavia sul Palatino costituito da una saletta accanto all'aula regia, la più completa documentazione di questi monumenti ci è conservata da Pompei.
Su questi ci si può basare per ricostruire le varie formulazioni del sacello privato e la sua decorazione pur tenendo presente che diverse condizioni di luogo e di tempo oltre a diverse disponibilità finanziarie del padrone di casa hanno potuto influire sul tipo e la ricchezza della decorazione.
Per quel che riguarda Pompei tre sono le forme di l. attestate: una nicchia incavata nella parete; una edicola; una pittura in cui erano rappresentate le divinità venerate. Nella sua forma più semplice la nicchia è un incavo quadrato o rettangolare praticato nella parete e come quella intonacato; talora la nicchia è coperta ad arco e può avere la parete di fondo piana o incurvata. Il pavimento della nicchia è coperto per lo più di una lastra fittile o anche di pietra o di marmo, leggermente aggettante dal filo della parete, che ha per scopo non solo di costituirne l'inquadratura inferiore, ma anche di aumentare lo spazio utile per deporre statuette e lucerne.
La facciata della nicchia, nelle sue forme più elaborate, ha una decorazione, o meglio una inquadratura architettonica generalmente in stucco, che comprende per lo più lesene o semicolonne sorreggenti un timpano, mensoline e fregi al di sotto del piano sporgente della nicchia. Se la nicchia è ad arco, esso può essere sottolineato da una cornice, poggiante sui pilastrini, o sulle semicolonne laterali, essere sormontato da timpano o invaderne il campo spezzandone la linea di base. Alla decorazione architettonica si associa quella pittorica, che può limitarsi alla campitura in tinta unica o in tinta diversa per ciascuna parete, dell'interno della nicchia o può essere una decorazione a macchie policrome e stelle, o a fiori e foglie sparsi, quando addirittura non vi compaiano le figure delle divinità (L., Genius, serpenti e altri dèi).
Il tipo più complesso, ad edicola, sempre addossata alla parete, si può considerare come lo sviluppo di quello a nicchia: la facciatina di tipo templare ha assunto corpo e volume e, staccandosi dalla parete, si impianta su un alto podio in muratura, che serve di base alle due colonne anteriori e alle due semicolonne posteriori aderenti alla parete. Questa, con due colonne sulla fronte e due semicolonne posteriori, sorreggenti un tetto a spioventi con frontoncino, è la forma più semplice e classica dell'edicola, ma naturalmente come e più della nicchia essa si presta alle più varie formulazioni, sia da un punto di vista architettonico sia da quello decorativo: vi sono edicole in cui la disposizione nell'angolo di un ambiente porta alla necessità di due facciate sormontate da timpano (Pompei, Domus di Epidio Sabino) con una sola colonna angolare e due semicolonne posteriori; altre con quattro colonne in facciata su cui gira un archetto incluso nel timpano (Pompei, Casa del Principe di Napoli); i fianchi dell'edicola possono essere chiusi totalmente o parzialmente da una parete. Talora l'edicola è in una stanza che diviene essa stessa un sacello o è arcondata da un basso muretto che recinge un'area sacra. La decorazione è generalmente affidata alla pittura e allo stucco, sebbene non manchino edicole che hanno le membrature architettoniche in marmo o in pietra. Per quel che riguarda la decorazione pittorica, che qui occupa anche il podio, essa può essere, come nelle nicchie, limitata a semplici motivi decorativi o avere la rappresentazione delle divinità venerate. Il larario può essere anche privo di elementi architettonici e limitarsi soltanto ad una pittura che può avere una semplice fascia di contorno o una cornice a stucco, costituendo un pannello della parete: che si tratti di un larario lo indica, oltre che le divinità rappresentate, la presenza di un'ara, collocata dinanzi alla pittura. Non bisogna infatti dimenticare che elemento caratteristico e indispensabile del larario, qualunque ne sia la forma, è l'altare, che compare costantemente anche in tutte le pitture rappresentanti i L.: l'altare può essere permanente (in marmo, in tufo o in muratura stuccata) posto dinanzi o di fianco al larario, oppure un piccolo altare mobile di bronzo, di terracotta o di marmo, che veniva recato in occasione delle cerimonie. Nel larario trovavano luogo le statuine in bronzo, o in altro materiale, dei L., dei Penati e di tutte quelle divinità che il padrone di casa onorava in particolare e a cui rivolgeva il suo culto.
Le pitture che decoravano i larari appartengono all'arte "popolare" romana; è pertanto di un certo interesse trovare che il poeta Nevio si facesse beffe, nella seconda metà del III sec. a. C. di un pittore dal nome greco, Theodotos (v.), che dipingeva "con la coda di un bue", cioè a larghe e scorrette pennellate, i L. sugli altari per le feste Compitalia (Fest., s. v. penis; Overbeck, Schriftquellen, n. 2379).
Bibl.: J. A. Hild,in Dict. Ant., s. v. Lares; G. Wissowa, in Roscher, II, cc. 1868-1897; A. De Marchi, Culto privato in Roma antica, I, 1896, p. 27 ss.; M. C. Waites, The Nature of Lares and their Representation in Roman Art, in Am. Journ. Arch., XXIV, 1920, . 241 ss.; B. Bohem, in Pauly-Wissowa, XII, 1924, s. v. Lares; E. Samter, Familienfestes der Griechen und Römer, 1901, p. 105 ss.; id., Arch. Rel. Wiss., X, 1907, p. 166 ss.; E. Tabeling, Mater Larum, 1932, p. 8 ss.; G. Vitucci, in De Ruggiero, Diz., s. v. Lares; G. Niebling, Zum Kult des Genius und der Laren, in Forschungen und Fortschritte, XXIV, 1950, pp. 147-150; De Ridder, Bronzes ant. du Louvre, I, p. 45, tav. 47, n. 683 (statuina bronzea con pelle di cane); p. 96, tav. 47, n. 622 (Lare con berretto frigio); G. A. Mansuelli, Galleria degli Uffizi, Le sculture, I, 1958, p. 203 ss., n. 205, fig. 198 (ara del vicus Sandalarius); D. Mustilli, Catalogo del Museo Mussolini, pp. 102-103, tav. 59; Helbig3, I, p. 45 ss. (Lare a cavallo del Vaticano); Bull. Com., 1939, p. 205, tavv. D-E; B. Nogara, Monumenti Romani (Quaderni di Studi Romani, 9) pp. 19-23, tab. 5 a-b (rilievo dei vicomagistri della Cancelleria); W. Amelung, Sculpt. Vat. Mus., II, pp. 242-247, tav. 15, n. 87 b (altare del Belvedere); C. Pietrangeli, Bull. Com., 1936, p. 13 ss.; ibid., 1942, pp. 127-130; M. Floriani Squarciapino, L'Ara dei Lari di Ostia, in Arch. Class., IV, 1952, p. 204 ss.; I. Scott Ryberg, Rites of the State Religion in Roman Art, in Mem. Amer. Acad. Rome, XXII, 1955, pp. 53-79, 81-90, 160, 191. Per il larario: J. A. Hild, in Dict. Ant., s. v. Lararium; Hug, in Pauly-Wissowa, XII, 1924, c. 794 s., s. v. Lararium; C. L. Visconti, Del Larario e del mitreo scoperti nell'Esquilino presso la chiesa di San Martino ai Monti, in Bull. Com., XIII, 1885, pp. 27-38, tavv. III-IV; G. K. Boyce, Corpus of the Lararia of Pompeii, in Mem. Am. Ac. Rome, XIV, 1937 (con tutta la bibl. prec.).