LARI (Lares)
Divinità venerate dai Romani antichi, specialmente nel culto privato, presso il focolare domestico, insieme a Vesta, la dea del focolare, e ai Penati, gli dei della dispensa. L'origine del culto dei Lari non è però da ricercarsi presso il focolare della famiglia; per quanto incerta sia l'etimologia del loro nome, è abbastanza sicuro che la religione dei Lari ebbe sua prima sede in fundo villaeque in conspectu (Cicerone). Essi furono dunque gli dei protettori dei campi, dei singoli poderi, venerati di preferenza nei crocicchi, dove più fondi venivano a contatto o dove s'incrociavano le vie di confine fra più possessi: tali crocicchi si dissero compĭta. Ivi era collocata la cappella dei Lari, chiamata anch'essa compitum, costruita con tanti ingressi quanti erano i fondi che lì venivano a riunirsi; circa quindici passi dinnanzi a ciascun ingresso era posta un'ara, in modo che ognuno dei confinanti poteva sacrificare, rimanendo sulla propria terra, in cospetto del proprio Lare. Presso queste edicole si celebrava ogni anno una festa pubblica popolare, chiamata appunto Compitalia o Laralia.
Al culto dei Lari compitali e alla solennità dei compitali partecipava in primo luogo la familia dei servi, per i quali specialmente era quello un giorno di festa; ond'è che col crescere del numero degli schiavi e con l'estendersi dell'uso di essi anche nei servizî all'interno della casa, il culto dei Lari si trasportò anche presso il focolare domestico, dove prese, col tempo, tanto sviluppo da apparire quella la sua sede principale, mentre, in realtà, il culto domestico fu solo una derivazione del culto dei compita.
Presso ogni focolare domestico si venerò così il Lar familiaris, spirito affettuoso e benigno, che veglia sulle fortune della casa e della famiglia, ivi compresi gli schiavi, di generazione in generazione. Tutti gli abitatori della casa gli rendevano culto quotidiano, ogni mattina e prima del pasto principale. Nei giorni festivi (calende, none, idi) la massaia (vilica) lo onorava, adornando il focolare con corone; e lo stesso si faceva in tutte le ricorrenze festive della famiglia, per le nascite, per le nozze (quando la sposa, entrando nella casa del marito, faceva al Lare una speciale offerta), quando un membro della famiglia partiva o ritornava da un viaggio.
S'intende così come abbia potuto formarsi l'idea di un legame tra le sorti della famiglia e il Lare familiare, riguardato sempre più come il genio della casa, identificato all'ἥρως greco, e rappresentatt) poi, in leggende, come un principio generatore, che, unitosi con una fanciulla della famiglia, aveva dato vita a questo o a quell'eroe (com'è, p. es., nei miti di Romolo e di Servio Tullio).
Col tempo, il culto rustico dei Lari compitali penetrò anche nella città; e anche qui sorsero, ai crocicchi delle vie, i sacelli dei Lari, al culto dei quali attendevano speciali associazioni (collegia compitalicia), reclutate fra gli abitanti dei singoli vici; e presiedute da funzionarî chiamati magistri vicorum. Questi associati e i loro capi, di carattere del tutto privato nell'età repubblicana, appartennero ordinariamente alle infime classi della cittadinanza (liberti e schiavi); ma finirono per rappresentare una vera forza, in mano di chi se li fosse saputi guadagnare, specialmente in tempi di tumulti elettorali o di lotte civili; tanto che il senato dovette sciogliere, nell'anno 64 a. C., quei collegi, insieme con altri simili; essi però vennero ristabiliti pochi anni più tardi.
Augusto, quando, nell'anno 7 a. C., addivenne alla nuova suddivisione della città in regioni e vici, riorganizzò completamente i collegi compitalicii e il culto dei Lari. Ogni vico ebbe il suo compitum Larum, al culto del quale attendevano quattro magistri vici (o vicomagistri), eletti dagli abitanti del vico: ma ai due Lari di ogni compitum Augusto aggiunse il Genio dell'imperatore (Genius Caesaris), la cui religione fu così congiunta con quella dei Lari (Lares Augusti et Genius Caesaris).
La trasformazione del culto pubblico dei Lari modificò il culto privato: anche in questo, all'unico Lare familiare si sostituirono ben presto i due Lari del culto compitalicio, aggiungendovisi pure spesso il Genio dell'imperatore. Così il larario (come si chiamò, in tempi tardi, l'edicola del culto domestico), con le immagini dei Penati, del Genio di Augusto e dei due Lari, divenne e rimase, fino al declinare del paganesimo, la sede principale del culto quotidiano, nell'interno della casa.
Dai compita delle campagne e delle città il culto dei Lari si allargò, per affinità, anche ad altri luoghi; come dalla famiglia passò ad altri enti. Si ebbero così Lares viales, protettori delle strade, e Lares permarini, cui era affidata la custodia sulle vie del mare; e in tutela dei campi di battaglia erano posti i Lares militares.
Come poi ogni fondo privato aveva il suo Lare, così ebbe i suoi Lari anche il territorio dello stato: essi si trovano invocati, nell'antico carme arvale (v. arvali), insieme a Marte, da cui s'implorava la prosperità delle campagne. A questi Lari dello stato, designati col nome di Lares praestites, fu consacrato, in summa Sacra Via, un tempio (aedes Larum), che fu poi restaurato da Augusto e il cui giorno anniversario si celebrava, da Augusto in poi, il 27 giugno.
Nell'arte. - Non conosciamo rappresentazione dei Lari molto antiche; né è probabile ve ne siano state prima dell'introduzione dell'arte greca in Roma. La più antica rappresentazione a noi giunta, è quella che si vede su un denaro di Lucio Cesio, nel quale i due giovani, rappresentati seduti e accompagnati dalla leggenda "lares", vogliono riprodurre evidentemente i Lares praestites, com'erano raffigurati all'ara del tempio nella Via Sacra.
Del resto, tutte le rappresentazioni di Lari che ci rimangono (rilievi, statuette, pitture), si possono raggruppare intorno a due tipi ben distinti: il tipo in movimento e il tipo in riposo. Più numeroso è il primo gruppo, che presenta i Lari sotto figura di due giovani graziosi ed eleganti danzatori, vestiti di una bella tunica o di un corto mantello, spesso con una bulla al collo, coi piedi rivestiti da calzari o da sandali; la doviziosa capigliatura, ondeggiante al ritmo della danza, è spesso ornata con corone. Attributi ordinarî sono il rhyton in una mano e la patera nell'altra. Simili appaiono le figure dei Lari, nelle rappresentazioni del secondo gruppo; in esse, però, il rhyton è di solito sostituito dalla cornucopia e la patera, nell'altra mano, da attributi diversi (come, p. es., da frutti o da spighe). In genere i Lari di questo secondo tipo contrastano, per le loro figure formose e gioviali, con la gracilità dei Lari del primo gruppo, tanto da fare sorgere il dubbio che essi possano risalire a una diversa concezione di queste divinità. Sui rilievi delle are si trovano rappresentati ambedue i tipi.
Nelle are dedicate dai vicomagistri si trova rappresentato il Genius Augusti in figura di un sacrificante togato, spesso in sembianza dell'imperatore vivente (v. genio), che ha ai lati i due Lari, in figura di due giovani danzanti, con le vesti e gli attributi più sopra descritti. Si può pensare che siffatta rappresentazione dei Lari compitali sia derivata da un qualche tipo bacchico greco, già diffuso nel sec. III a. C., e che doveva raffigurare i Lari in qualità di capi delle danze che s'intrecciavano nell'allegria assai sfrenata dei compitali. Il tipo, più tardo, dei Lari domestici è stato conservato specialmente dalle pitture parietali di Pompei.
Bibl.: A. Preuner, Hestia-Vesta, Tubinga 1864, p. 232 segg.; L. Preller-H. Jordan, Römische Mythologie, Berlino 1881-83, II, p. 101 segg.; A. De Marchi, Il culto privato di Roma antica, I, Milano 1896, p. 27 segg.; Waites, The nature of Lares and their rapresentation in Roman art, in Amer. Journal of Arch., XXIV, p. 241 segg.; Gordon Laing, The origin of the cult of the Lares, in Class. Philol., 1921, p. 124 segg.; R. Vallois, Observations sur le culte des Lares, in Revue Archéolog., XIX (1924), p. 21 segg.; C. Bailey, Phases in the religion of ancient Rome, Berkeley 1932, pp. 50 seg., 102 segg., 150; Hild, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, III, p. 937; G. Wissowa, in Roscher, Lexicon der griech. und röm. Mythologie, II, col. 1868 segg.; Boehm, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 806 segg.
Per l'iconografia, oltre ai citati articoli di Waites, di G. Wissowa e di Boehm, vedi: W. Altmann, Die römische Grabaltäre der kaiserzeit, Berlino 1905; W. Helbig, Untersuchungen über die Campanische Wandmalerei, Lipsia 1873, p. 90 segg.; A. Sogliano, pitture murali campane, n. 12 segg.