LARA
. Famiglia comitale castigliana, assai celebrata nelle cronache medievali, e intorno alla quale si riannodano leggende romanzesche conosciutissime, maggiore fra tutte quella dei Sette Infanti di Lara.
Più volte i conti di L. s'imparentarono con famiglie reali: così Ferdinando (morto nel 970) sposò Sancha figlia del re di Navarra, e da queste nozze nacque tra gli altri una Urraca che sposò Ordoño III, re di León; Teresa de L. (sec. XIII) fu la seconda moglie di Ferdinando II, re di León. Altri membri della nobile famiglia occuparono posti altissimi alla Corte di Castiglia, come Nuño Perez, che fu tutore del re di Castiglia Alfonso VIII, e Alvaro Nuñez de L. (morto nel 1219), nipote del precedente, che fu tutore di Enrico I. Altri s'illustrarono nelle armi: Nuño Nuñez morto alla battaglia di Ecisa (1275), e Juan de L. (morto nel 1294) capitano generale delle frontiere di Aragona e Granada. Con i due figli di quest'ultimo, Juan e Nuño, morti senza eredi, la famiglia si estinse: le due sorelle loro, peraltro, Juana e Teresa, passarono a nozze sposando l'una Enrico di Castiglia e successivamente Ferdinando della Cerda, e l'altra Alfonso di Castiglia signore di Valenza. Sulla fine del sec. XII un Manrique, figlio di Pedro Gonzalo e fratello del predetto Nuño fu il capostipite della famiglia dei Manrique di Narbona, i quali pertanto costituiscono uno dei rami della nobilissima casata dei L.
Gl' Infanti di Lara. - Sono i protagonisti di una delle più famose leggende spagnole (Los siete Infantes de Lara), che fu argomento di un cantare epico, il più antico forse di cui si abbia notizia, oggi perduto. La materia di esso, come di tanti altri, ci è stata conservata nella prosa della Primera Crónica General (ediz. di R. Menéndez Pidal, capp. 207-243) di Alfonso X di Castiglia e León.
Al tempo del conte di Castiglia Garcí-Fernández (970-995), a Burgos si celebrarono le nozze di Ruy Velázquez, signore di Vilviestre, e donna Llambra, figlia del conte e nipote del grande Fernán González. In quell'occasione ci furono feste e spettacoli di giuochi d'ogni specie. Fra gli altri erano presenti il cugino della sposa, Alvar Sánchez, e il fratello di lei Gonzalo Gustioz, signore di Salas nel distretto di Lara, con la moglie donna Sancha e i suoi sette Infanti. In uno dei giuochi più difficili riuscì vincitore Alvar Sánchez con grande soddisfazione di donna Llambra che gli era molto affezionata; ma uno dei sette Infanti, mosso da giovanile baldanza, volle ripetere il giuoco sperando di superare il Sánchez, e lo superò. Di qui ira del Sánchez e dispetto di donna Llambra, che sono il principio di una lunga e terribile inimicizia fra gl'Infanti da una parte, donna Llambra e Ruy Velázquez dall'altra. Nella lotta Alvar Sánchez è ucciso da uno degl'Infanti, altri del parentado sono colpiti a sangue e donna Llambra è oltraggiata. Per l'intervento del conte di Castiglia e di Gonzalo Gustioz sembra, per un momento, tornata la pace tra le due famiglie; ma donna Llambra cova sempre l'odio contro gl'Infanti, e non ha pace finché non ottiene dal marito piena vendetta. E infatti per i segreti maneggi di Ruy Velázquez i sette Infanti cadono morti in un'imboscata d'infedeli, e il padre loro è fatto prigioniero di Almansor, signore di Cordova. Durante la prigionia Gonzalo ha spesso il conforto delle visite di una sorella di Almansor, pietosa alle sofferenze di quel povero padre. Da questi convegni nasce un figlio, Mudarra, che a suo tempo (quando Gonzalo è stato già liberato per clemenza di Almansor), saputo il segreto della sua nascita, tornato a Salas, vendica lo strazio patito dal padre, uccidendo Ruy Velázquez e donna Llambra.
Tale nelle sue linee essenziali la materia di questa leggenda, che ha qua e là scene fortemente drammatiche, come, per darne un esempio, quella in cui Gonzalo Gustioz è condotto da Almansor in una sala, dove sopra una tavola coperta di un panno bianco sono collocate le teste dei figli, e al primo riconoscerli rimane senza fiato e sviene. Poi tornato in sé, abbraccia a uno a uno quei cari volti, e superando il dolore con una grande forza d'animo, tesse l'elogio di ciascun figlio. È una scena tra le più significative dello spirito e dei fieri costumi castigliani del sec. X. Il nucleo primitivo della leggenda ebbe in seguito incrementi di nuovi episodî che si leggono nelle cronache posteriori alla Primera, derivati verosimilmente da altri cantari più recenti. Im leggenda continuò a vivere nei romances dei secoli XV e XVI, fu portata sulla scena dagli scrittori drammatici, fra i quali Lope de Vega (El Bastardo Mudarra, 1612), e fu tratta più volte, fino ai tempi moderni, ad argomento di poemi e romanzi. Fra i tanti ricordiamo l'ampio poema El Moro expósito (il Moro bastardo) del duca di Rivas, pubblicato nel 1833 con la prefazione di Alcalá Galiano, che fu il manifesto del Romanticismo in Spagna.
Bibl.: R. Menéndez Pidal, La leyenda de los Infantes de Lara, Madrid 1876, in cui sono riprodotti i testi contenenti le redazioni più importanti della leggenda, e ricordati gli scrittori che ne elaborarono variamente la materia; G. Paris, La légende des Infants de Lara, in Journal des Savants, 1898, pp. 296 e 321; id., Poèmes et Légendes du moyen âge, Parigi 1900; H. Morf, Die sieben Infanten von Lara, in Deutsche Rundschau, giugno 1900.