SALTARELLI, Lapo
– Nacque a Firenze (o a Torre a Decima, presso Pontassieve), forse prima del 1255 (come si desume dalle prime partecipazioni ai consigli cittadini, il cui accesso era riservato ai maggiori di venticinque anni). Non possediamo informazioni sulla madre. Il padre, Guido di Orlando originario di Monte di Croce, nella bassa Valdisieve, si era inurbato in una casa-torre nel popolo di S. Stefano, nel sesto di San Piero Scheraggio, ancora oggi distinguibile nella piazza dei Salterelli. Ebbe come fratelli minori Simone, domenicano, e Cerbino, detto Bino.
Le origini della fortuna familiare sono da cercarsi nelle relazioni intessute dal padre Guido con la Chiesa e il comune fiorentino sin dagli anni dell’egemonia ghibellina (1260-67) e in una connessa strategia di acquisizioni fondiarie nel centro di provenienza, già signoria fondiaria dei conti Guidi, poi del vescovo fiorentino, dove nel 1319 i Saltarelli risultano detenere trentacinque appezzamenti e la residenza di Torre a Decima. Tale strategia consentì a Saltarelli di compiere studi di diritto in vista di una carriera che lo portò all’insegnamento (come fa ritenere il titolo di iuris civilis professor con cui è qualificato nel 1283), alla professione di giudice e avvocato (è presente come legum doctor nel 1282 a una mediazione sui beni delle figlie di Ravenna Donati tra Corso Donati e il monastero femminile di S. Iacopo a Ripoli), nonché, tramite l’iscrizione all’Arte dei giudici e notai (di cui già nel 1281 risulta console), alla partecipazione alle istituzioni di vertice del comune di Firenze.
I registri delle Consulte documentano in modo analitico quest’attività politica nel Secondo Popolo che vide in posizione eminente proprio i giuristi, e di cui dunque Saltarelli può essere considerato esponente particolarmente rappresentativo. Allo stesso regime presero parte anche Dante e Dino Compagni il cui ricordo di Saltarelli ne ha certamente assicurato la fama, ma anche condizionato la lettura storica.
Egli compare infatti in qualità di membro dei Consigli del podestà e del capitano, e più spesso ancora come sapiente (savio), membro di consigli (balìe) dotati dell’arbitrio di provvedere su materie di particolare importanza e delicatezza.
Nella speciale temperie politica di quel periodo tali materie riguardavano spesso le ragioni del conflitto tra popolo e magnati: l’ordine pubblico, la politica fiscale e quella giudiziaria.
Nel 1285 Saltarelli si trovò a intervenire in merito a una serie di ordinamenti relativi ai privilegi dei chierici, nel 1290 fu nella balìa che deliberò in merito alle gabelle, nel 1292 in quella che propose nuove procedure nell’operato del tribunale del capitano del Popolo.
Nella dialettica tra i gruppi che sostenevano una partecipazione più ampia delle Arti e quelli più legati a clientele e consorterie aristocratiche, Saltarelli occupò lo spazio intermedio del gruppo dei popolani più moderati, preoccupati delle violenze magnatizie, ma attenti a privilegiare l’autonomia dei priori su quella delle singole Arti (come si ricava dalle proposte che avanzò alle procedure relative alla loro elezione nel 1289 e nel 1292) e interessati a mantenere un largo spazio di manovra ai sapienti e ai loro consigli, a cui, pressoché sistematicamente, propose di demandare decisioni in casi dubbi.
Fu particolarmente presente nel trattare le delicate relazioni del comune con i magistrati forestieri: podestà e capitani. Nel gennaio del 1285 fece parte della balìa a cui era stato affidato l’incarico di decidere in merito al risultato del processo per sindacato del podestà uscente, il bresciano Bertolino de Maggi (che come tutti i funzionari itineranti doveva essere approvato nel suo operato, pena la mancata corresponsione del salario pattuito), che era stato contestato in alcuni consigli cittadini. Si trovò spesso a chiedere a questi ultimi di approvare modifiche o deroghe agli statuti per sottrarre i magistrati uscenti alle possibili ritorsioni fondate sul mancato rispetto del giuramento (come nel 1284 e nel 1285). Fece più volte parte del collegio dei Quattordici che provvedeva alla scelta del podestà e provvide personalmente a ratificare i giuramenti di alcuni magistrati (nel giugno 1291 e nell’aprile 1296).
Sin dal principio della sua carriera Saltarelli si vide affidati importanti incarichi diplomatici per conto del comune. Nel 1285 riferì ai consigli cittadini in merito alle trattative avvenute con Lucca in un incontro tenutosi a Empoli volto a rinsaldare i legami tra le due città ai danni della comune nemica Pisa, sconfitta l’anno precedente dai genovesi alla Meloria e in quel momento governata da Ugolino della Gherardesca. Sempre al suo profilo di mediatore in questioni di politica estera può essere ricondotto il parere dato da Saltarelli insieme con altri savi nel giugno del 1289 volto a introdurre il divieto di elezione alla carica di camerario per i priori che non avessero trascorso almeno un anno dal loro ultimo incarico. Dalla Cronica di Compagni (a cura di D. Cappi, 2013, pp. 32-34) si ricava infatti che il collegio priorale uscente si era diviso proprio in merito al pagamento di alcuni castelli al vescovo di Arezzo in conflitto con il proprio comune.
Di questioni diplomatiche, Saltarelli, che era stato eletto al priorato nel giugno del 1292 e lo sarebbe stato nel 1296, si continuò a occupare negli anni seguenti, partecipando nel 1295 a un’ambasciata inviata a Bonifacio VIII per concordare con il papa la reazione del comune di Firenze alle richieste del legato imperiale Jean de Chalons, e finendo con il ricoprire gli incarichi di podestà di Spoleto nel 1293 e di Brescia nel 1298. Saltarelli fu il primo della sua famiglia a esercitare cariche podestarili ed è probabile che tali incarichi fossero il frutto di una strategia personale: le due città erano le stesse da cui provenivano i magistrati forestieri con cui Saltarelli a Firenze era venuto direttamente in contatto negli anni precedenti. A scambi di favori con i podestà e i capitani avrebbe fatto riferimento del resto Compagni nella sua Cronica iniziata tra il 1304 e il 1306 e conclusa dopo il 1313, che in un’invettiva definì Saltarelli «minacciatore e battitore de’ rettori che non ti serviano nelle tue quistioni» (ed. cit., p. 72) ovvero, come chiosa Davide Cappi, «tu che eri solito minacciare e castigare [al sindacato] podestà e capitano che non ti favorivano nelle tue cause» (ibid., p. 261).
Nel corso degli ultimi due decenni del secolo Compagni e Saltarelli si erano trovati spesso a stretto contatto (nel 1288 Lapo era stato eletto arbitro nella contesa tra i setaioli e l’Arte di Por S. Maria di cui Compagni era illustre rappresentante; nel 1290 fecero parte dello stesso consiglio di Savi). È a questa fase, in cui i rapporti non si erano ancora deteriorati, che dovrebbe risalire lo scambio avviato dal sonetto O grande saggio di sapienza altero, con cui Compagni poneva a Saltarelli una questione civilistica relativa a chi tra i figli di una serie di matrimoni deteneva la titolarità di diritti dotali della madre, a cui Lapo rispose con il sonetto rinterzato Vostra quistione è di sottil matera, attestato da tre manoscritti. Più difficile è la datazione di altri tre sonetti di argomento amoroso: Contr’ agio di grand’ ira benvollença (che tuttavia sembra alludere all’esilio) e Considerando ingegno e presio fino, attribuiti univocamente a Saltarelli, e Chi se medesmo inganna per negghienza, ascritto da alcuni canzonieri a Guido Orlandi e a Bonaggiunta Orbicciani.
Il duro giudizio su Saltarelli presente nella Cronica di Compagni va letto alla luce degli eventi fiorentini del 1300-02 di cui Saltarelli fu uno dei protagonisti. Nel marzo del 1300 la Signoria lo inviò insieme a Guelfo Cavalcanti ambasciatore a Roma. Tra gli scopi della missione era raccogliere informazioni su alcuni fiorentini che operavano come commercianti di denaro in Curia e sulla loro partecipazione al progetto papale di annessione della Tuscia allo Stato pontificio. Tornato a Firenze in marzo, Saltarelli, insieme al gonfaloniere di giustizia Lippo Rinucci Becca e al notaio dei priori Bondone Gherardi, istruì un processo per tradimento contro tre mercanti-banchieri: Simone Gherardi Spini, Noffo Quintavalle e Cambio di Sesto. Il 18 aprile Saltarelli, che nel frattempo era stato eletto al priorato, emise la sentenza che condannava i tre al pagamento di una sanzione di 2000 lire, pena il taglio della lingua o, in caso di contumacia, al bando. Bonifacio VIII reagì con una lettera al vescovo di Firenze in cui spiegava di aver chiesto al comune di revocare la sentenza e chiedeva all’ordinario diocesano di intimare a Saltarelli, a Rinucci e a Gherardi di comparire a Roma al suo cospetto per rendere conto di quella che definiva una 'delazione’ ai danni dei suoi mercanti. Non ottenendo risultati, Bonifacio rinnovò i suoi ordini in una lettera inviata il 15 maggio al vescovo e all’inquisitore fiorentino in cui sottolineava la responsabilità di Saltarelli, definito con un gioco di parole sul suo nome «Lapis offensionis et petra scandalum», gli attribuiva l’opinione espressa in pubblico secondo cui il papa non avrebbe dovuto né potuto intromettersi nei processi e nelle sentenze del comune di Firenze (secondo Levi, 1882, p. 402, e Del Lungo, 1879-1887, II, p. 105, n. 10, una provvisione del 4 maggio porterebbe le tracce di queste affermazioni contro le intromissioni papali) e per questo lo riteneva meritevole, in caso di mancata presentazione, di una scomunica analoga a quella emanata nei confronti degli eretici che comportava, tra le sue conseguenze, la liberazione dei debitori da ogni obbligo nei suoi confronti.
L’atteggiamento da tenere rispetto alla pressione di papa Bonifacio VIII, insieme alla rivalità tra le famiglie Cerchi e Donati e alla maggiore o minore apertura verso il Popolo, costituì una delle ragioni principali dell’aprirsi dello scontro tra le parti dei Bianchi e i Neri. Saltarelli, che aveva difeso apertamente l’indipendenza del comune, la cui figlia Ermellina risulta moglie di Scolaio di Giovanni de’ Cerchi, e che sosteneva le versioni più temperate degli Ordinamenti di Giustizia, si schierò con i Bianchi. Nel corso del suo priorato e di quello successivo (di cui fece parte Dante, in questa fase a lui molto vicino) questi resistettero ai tentativi del legato pontificio, il cardinale Matteo di Acquasparta, giunto a Firenze al principio di giugno, di esautorare il governo comunale sotto il pretesto di pacificare la città, mutando il sistema di elezione dei priori e chiedendo di ritirare i provvedimenti emanati contro i privilegi ecclesiastici. Il conflitto culminò nel settembre con l’emanazione dell’interdetto nei confronti di Firenze.
Nonostante il ritiro dell’interdetto, tutto l’anno successivo fu segnato da un certo predominio della parte bianca. Compagni testimonia che nel giugno del 1301 in un momento di tensione politica, Saltarelli si trovò a rassicurare i Neri, per il tramite di Bartolo Bardi (secondo una recente ipotesi, promettendo loro di accogliere alcune delle loro richieste relative al rientro di alcuni confinati: Dante attraverso i documenti, 2017, pp. 353-355), dissuadendoli così dal prendere le armi contro il governo cittadino.
Nella narrazione di Compagni questo ruolo di mediazione assume una coloritura sempre più ambigua nei mesi successivi quando gli equilibri politici si rovesciano a favore dei donateschi e assume concretezza il progetto di Bonifacio di inviare come pacificatore a Firenze Carlo di Valois.
Nell’ottobre successivo una commissione di savi di cui faceva parte anche Saltarelli fu incaricata di rispondere alle richieste che Carlo inviava dalla vicina Siena. Sulla base del parere di questa commissione, che ottenne l’appoggio delle Arti, Carlo entrò a Firenze il primo novembre. Di lì a poco, nell’ambito di una consulta di savi narrata da Compagni, Saltarelli sarebbe intervenuto sostenendo contro i priori in carica (tra cui Compagni) provvedimenti concilianti con i Neri: eleggere un nuovo priorato equamente distribuito tra le due parti e richiamare i confinati (neri) ancora fuoriusciti.
La dura critica mossa in quell’occasione da Saltarelli a quel priorato, colpevole, a suo parere, di «guasta[re] Firenze» (D. Compagni, Cronica, cit., p. 62), e il suo rivendicato ruolo super partes, visibile nell’iniziativa assunta insieme a Schiatta Cancellieri di citare capiparte delle due fazioni per inviarli al confino (destinata infine a concludersi con la liberazione dei soli Neri), contribuiscono a spiegare l’ostilità di Dino, che accusa Saltarelli di aver accolto in casa sua un confinato nero, Pazzino de’ Pazzi, sperando che in caso di rovesciamento del governo avrebbe avuto per lui un occhio di riguardo e in seguito, nel momento del trionfo nero, di essersi nascosto in casa dei Pucci invece di prendere le armi.
A ridimensionare questo voltafaccia rispetto al resoconto di Compagni stanno le condanne al bando e a morte per baratteria che lo colpirono, nel quadro delle stesse inchieste che coinvolsero Dante, rispettivamente il 27 gennaio e il 10 marzo 1302. A differenza di quelle di Dante, le condanne di Saltarelli avevano tratto origine da accuse circostanziate e chiamavano in causa precisi episodi di corruzione (in particolare alcune cancellazioni di condanne podestarili nel 1290, nel 1300 e nel 1301) aggravati, come per Dante, dall’aver osteggiato la parte Guelfa e i Neri di Pistoia.
Dopo le condanne, le tracce di Saltarelli si diradano drasticamente. Dallo stesso registro di sentenze risulta che nel settembre del 1302, con altri fuoriusciti, fu bandito nuovamente per essersi recato a Genova a chiedere di boicottare l’approvvigionamento di grano a Firenze, nel contesto delle azioni organizzate dalla compagnia di Bianchi di cui Dante all’epoca faceva parte e da cui prenderà nettamente le distanze nella Commedia.
Questo distacco (come anche ragioni analoghe a quelle che gli avevano provocato l’astio di Compagni) spiega il duro giudizio espresso da Dante nella Commedia (Paradiso XV, 128) secondo cui la sua presenza nella onesta Firenze del XII secolo avrebbe destato la stessa meraviglia di quella del retto Cincinnato nella dissoluta Firenze del 1300. La maggior parte dei commentatori ricorda al proposito la prepotenza, la disonestà e la viltà di Lapo. Secondo altri (a partire da Carpi, 2004, I, pp. 178-182, 296-297) nel giudizio dantesco avrebbe pesato anche l’esigenza, all’altezza della scrittura di quei canti, di attaccare il fratello di Lapo, il domenicano Simone che dal 1320 appare schierato contro il fronte ghibellino e scaligero.
Le relazioni con la Sardegna di Simone, divenuto nel frattempo arcivescovo di Pisa, sono all’origine del ritiro (in una data imprecisata) di Saltarelli a Cagliari, dove fu sepolto nella chiesa di S. Francesco, vestito dell’abito francescano, entro il novembre del 1326. Certamente i rinnovati rapporti di Simone con Firenze consentirono in quell’anno agli eredi di Saltarelli di ottenere la restituzione dei beni a lui confiscati.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, 1282 dicembre 23, Firenze, S. Domenico del Maglio (domenicane) (cod. Id, 00074558). A. Gherardi, Le consulte della repubblica fiorentina dall’anno MCCLXXX al MCCXCVIII, I-II, Firenze 1896-1898 ad ind.; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum inde ab a. MCCXCVIII usque ad a. MCCCXIII, a cura di J.T. Schwalm, in MGH, Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, IV, 1, Hannoverae-Lipsiae 1909-1911, p. 84; Le sentenze contro i Bianchi fiorentini. Edizione critica, a cura di M. Campanelli, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, CVIII (2006), pp. 187-378 (in partic. pp. 236-238, 254, 363-369); D. Compagni, Cronica, a cura di D. Cappi, Roma 2013, pp. 48, 50, 52, 62, 68, 72, 75, 180, 192, 199, 228, 248, 261 s., 272; Codice diplomatico dantesco, a cura di T. De Robertis et al., Roma 2016, pp. 132, 219.
I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua “Cronica”, I-III, Firenze 1879-1887, ad ind.; G. Levi, Bonifacio VIII e le sue relazioni col Comune di Firenze…, in Archivio della Società romana di storia patria, V (1882), pp. 365-474 (in partic. pp. 399-443, 450-458); R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, III, Berlin 1901, pp. 274-279; F. Nissardi, Lapo Saltarelli a Cagliari: contributo alla storia fiorentina dei tempi di Dante, Cagliari 1905; R. Davidsohn, Storia di Firenze, III, Firenze 1960, pp. 134-143, 242 329; A. D’Addario, Saltarelli, Lapo, in Enciclopedia dantesca, a cura di U. Bosco, IV, Roma 1973, pp. 1084-1086; R. Nelli, Signoria ecclesiastica e proprietà cittadina: Monte di Croce tra XIII e XIV secolo, Pontassieve 1985; S. Raveggi, I rettori fiorentini, in I podestà dell'Italia comunale, parte I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri, a cura di J.-C. Maire Vigueur, I, Roma 2000, pp 595-643 (in partic. p. 622); U. Carpi, La nobiltà di Dante, I-III, Pisa 2004, ad ind.; F. Canaccini, Matteo d’Acquasparta tra Dante e Bonifacio VIII, Roma 2008, pp. 43, 67 s., 81, 111 s.; S. Diacciati, Popolani e magnati. Società e politica nella Firenze del Duecento, Spoleto 2011, pp. 232-236; G. Indizio, Problemi di biografia dantesca, Ravenna 2014, pp. 61-84; Dante attraverso i documenti, II, Gli anni dell’impegno politico a Firenze (1295-1302), a cura di G. Milani - A. Montefusco, in Reti medievali. Rivista, XVIII (2017), pp. 179-566; Lapo Saltarelli, in Mirabile. Archivio digitale della cultura medievale, http://www.mirabileweb.it/author-rom/lapo-saltarelli-m-aq-1326-author/LIO_229937 (12 gennaio 2020).