LAPIDARIUS
Era in Roma soprattutto il tagliatore di pietra per uso edilizio (lapidarius, l. opifex, faber l.); ma con lo stesso nome si designava anche il cavatore (v. anche lapicida), lo scrittore di iscrizioni (v. scriptor titulorum) e finalmente l'artigiano, forse solo quello di monumenti funebri.
Per quest'ultimo uso testimonia Petronio quando scrive a proposito di Abinna, l'amico di Trimalcione: Habinnas sevir est, idemque lapidarius, qui videtur monumenta optime facere (Satyr., 65) e una sola iscrizione cristiana su un sarcofago della Dalmazia dell'anno 438 d. C. menzionante un Proiectus, lapidarius, artefice o venditore del sarcofago (C. I. L., iii, 1429). Il fatto è singolare perché i sarcofagi firmati sono pochissimi e nessuna firma su scultura in pietra ha l'attributo lapidarius (v. marmorarius).
Per l'importanza della distinzione di lapis e marmor v. Plinio, Nat. hist., xxxvi, 1-2, ma anche C.I.L., xiii, 5708, L. 2-3: statua sedens ponatur marmorea ex lapide quam optumo transmarino. Un exactor operis, cioè sorvegliante dei lavori per la costruzione della basilica di Nîmes di età adrianea in una dedica si definisce exactor operis basilicae marmorari et Zapidari (C.I.L., xii, 3070) ove è chiara la distinzione tra i due generi di lavoro.
Ars lapidaria (C.I.L., xiii, 8352) il mestiere del l. e, negotior artis lapidariae di Cologne (Année épigraphique, 104, 23) probabilmente il venditore di oggetti di pietra, quindi forse anche dei prodotti di un artigianato artistico. Una medesima persona (?) è detta in una iscrizione lapidarius (C.I.L., vi, 33908) e in un'altra scalptor (C.I.L., vi, 33909).
È ambigua l'espressione faber lapidarius (C.I.L., xi, 6838; Inscriptions Latines de Gaule, 58o), nel senso se si riferisca piuttosto all'artigiano scultore della pietra o allo scalpellino; mentre sono relative ai tagliatori di pietre le espressioni lapidarius quadratarius (C.I.L., vi, 9502; cfr. Année épigraphique, 1953, 63), opifex lapidarius (C.I.L., xii, 1384), lapidarius subaedianus (Année épigraphique, 1913, 137) e lapidarius structor (C.I.L., xiii, 1034), che si trova anche tra gli operai edilizi per i quali si fissa la paga nell'Editto di Diocleziano (C.I.L., iii, p. 830 = p. 1934), a 50 denari al giorno; 10 denari in meno del marmorarius. L. assieme a pavimentarii sono schiavi e liberti imperiali (C.I.L., vi, 8871, x, 6638). I lapidarii sono spesso associati in collegi, ma non si tratta di scultori o di artisti, bensì di operai delle cave e delle costruzioni in pietra (cfr. C.I.L., iii, 1365, 8840; C.I.L., v 7869; C.I.L., xii, 732; Année épigraphique, 1913, 137).
Le iscrizioni di lapidarii vanno perciò considerate piuttosto di operai e di imprenditori in pietra per l'edilizia, non di artigiani o artisti.
Bibl.: G. Simonati, in De Ruggiero, Diz., IV, 13, 1946, p. 385, s. v. Lapidaria (ars); G. Kuehn, De opificum Romanorum condicione privata quaestiones, Halle 1930; J. M. C. Toynbee, Some Notes on Artists in the Roman World, Bruxelles 1951, p. 26.