LAODICEA (Λααοδίκεια, Laodicea)
Varie città dell'Asia Minore e dell'Oriente ellenistico hanno questo nome derivato da quello di regine o principesse della dinastia dei Seleucidi di Siria. Secondo Appiano (Syr., 57) il solo Seleuco I ne fondò cinque, chiamandole così dal nome della madre.
Laodicea al mare (Λ. ἐπὶ [o πρὸς] ϑαλάσσῃ, L. ad mare). - È tra le città dello stesso nome la più importante. Era sulla costa settentrionale della Siria, e costituiva il porto di Apamea: la sua regione godeva fama di grande prosperità, specie per la coltura della vite, che ricopriva tutto il pendio dei monti sorgenti a ridosso della città, e il cui prodotto era particolarmente esportato ad Alessandria. Quale fosse il nome del centro abitato preesistente è incerto. Delle vicende più antiche di essa nulla si sa. Alla fine del sec. II a. C. era già città ricca e fiorente, formando una tetrapoli con Antiochia, Seleucia e Apamea. Il suo nome ricorre incidentalmente a proposito dell'ambasceria di Cn. Ottavio, mandato nel 163-162 a. C. dal senato romano per il disarmo della Siria: il malcontento suscitato da Ottavio culminò nell'uccisione di lui avvenuta a Laodicea. Durante le ultime lotte dei Seleucidi, nel 96 a. C., Laodicea acquistò l'autonomia; da Pompeo fu unita alla provincia romana. Fedele a Cesare, ebbe il soprannome di Iulia, che compare nelle monete coniate dopo il 47 a. C.: la nuova era della città fu contata dall'anno della battaglia di Farsalo. Molto ebbe a soffrire Laodicea nella guerra seguita alla morte di Cesare. Dolabella vi si ridusse, attratto dall'amicizia degli abitanti e dalla felice posizione della città: ma vi fu assediato da Cassio, che, per costringerlo alla resa, dopo averlo vinto sul mare, tagliò con un aggere la penisola su cui la città sorgeva. Egli non poté tuttavia impadronirsi di questa che col tradimento: Dolabella si uccise, la città fu in gran parte distrutta. Per la fedeltà dimostrata al partito di Cesare, Antonio, dopo Filippi, la ricompensò dichiarandola libera et immunis.
Un'altra volta, durante l'impero, Laodicea si trovò implicata nella lotta tra Settimio Severo e Pescennio Nigro: per tenere le parti di quello, questi l'assediò e la distrusse. Fu pertanto da Severo, dopo la vittoria di Isso (194 d. C.), beneficata, non solo con la riparazione dei danni subiti, ma con l'innalzamento al grado di metropoli, tolto ad Antiochia che aveva paneggiato per Pescennio Nigro, e con la concessione sia dello ius italicum sia della dignità senatoria e del cognome di Σεπτίμοι agli abitanti. Severo fece inoltre costruire molti edifici e ordinò largizioni di frumento.
Nei secoli III e IV Laodicea partecipò, sia pure in grado minore di Antiochia, che riacquistò, subito dopo Severo, il rango che questi le aveva tolto, del generale rigoglio materiale e intellettuale della regione: particolarmente apprezzati erano i tessuti di Laodicea e celebri i suoi aurighi. Dopo la rivolta di Antiochia nel 387, fu nuovamente favorita da Teodosio. Dalla metà del sec. III fu sede di vescovato. Giustiniano la fece metropoli della nuova provincia della Teodoriade da lui creata.
Gli Arabi la occuparono nel 637, ma gl'imperatori bizantini la rioccuparono più volte nel sec. VII e nel X e poi, durante la prima crociata, la contesero a Boemondo, principe di Antiochia. Questi finalmente se ne impadronì (1098), soprattutto per l'aiuto dei Pisani e dei Genovesi ai quali, in ricompensa, concesse franchige commerciali e un quartiere nella città. La città, che nel sec. XII fu danneggiata da gravi terremoti, fu occupata poi dal sultano di Egitto nel 1287 e da allora decadde rapidamente.
Sul luogo dell'antica Laodicea sorge oggi al-Lādhiqiyyah (Latakia, Lattaquié; A. T., 88-89), città dello stato di Siria, capitale del governo di al-Lādhiqiyyah (fino al 1930 stato degli ‛Alawiti), con 7000 ab. nel 1915 e circa 20.000 nel 1931, in una fertile pianura, a 1 km. circa dal suo porto, che è un sobborgo, collegata da buone strade con Aleppo e Tripoli.
Il porto è formato da una baia chiusa a O., N. e S. da scogli e isolotti, con imboccatura larga circa 200 m. e profonda 6; all'interno, insabbiato, è profondo 2 m. e può accogliere solo velieri. Secondo un progetto in corso di attuazione, esso dovrà essere ampliato e la sua profondità portata a 8 m. nell'interesse della pesca e del rifugio e rifornimento delle navi.
Nel 1928 vi si fermarono 95 navi, per complessive 149.163 tonnellate. Esporta tabacco, seta, spugne, asfalto. È sede, dal 1930, di un vice-consolato italiano.
Ben poco resta oggi della città antica: il monumento più notevole è un arco a quattro fronti, eretto con ogni verosimiglianza in onore di Severo, o, secondo un'ipotesi meno probabile, di L. Vero il quale, durante le campagne partiche, soggiornò per quattro inverni nella città.
Si vedono inoltre avanzi di un edificio porticato, di una strada a colonne, delle mura, dell'acquedotto costruito da Erode il Grande, e di sepol cri.
Laodicea al Libano (Λ. πρὸς Λιβανῳ o Λ. σκαβίωσα, L. ad Libanum o scabiosa). - Città della Siria centrale, o Celesiria, situata nella regione del Libano. È ricordata da Polibio a proposito della campagna di Antioco II contro l'Egitto: il suo nome ricorre in Strabone, in Plinio, in Tolomeo e negl'itinerarî; di essa abbiamo monete del tempo di Settimio Severo e Caracalla.
La sua posizione è incerta, ed è stata variamente identificata dai moderni: l'ipotesi più probabile, e che meglio risponde alle indicazioni degli itinerarî, è quella che la pone a Tell Nebī Mindu, nell'alta valle dell'Oronte. Che sia stata anch'essa fondata da Seleuco I è incerto; nel basso impero apparteneva alla provincia della Fenicia Libanesia; in età cristiana fu sede di vescovato.
Laodicea combusta (Λ. ἡ κατακεκαυμένη, L. combusta). - Città della Licaonia, posta a nord-ovest di Iconio, sulla grande strada reale che da Efeso raggiungeva l'Eufrate; altri la pongono nella Pisidia o nella Galazia, delle quali regioni fece parte amministrativamente in qualche tempo. Il suo nome, secondo alcuni, sarebbe derivato dalla presenza nelle vicinanze di fornaci per l'estrazione e la lavorazione del mercurio cavato dalle miniere adiacenti; più probabile è invece che essa fosse in un certo tempo distrutta da un incendio, e poi ricostruita. Di essa si hanno monete del periodo dei Flavî; in alcune di queste e in alcune epigrafi il suo nome compare mutato in Claudio-Laodicea, certo in onore dell'imperatore Claudio.
La sua posizione va identificata a Yorgan Ladik, dove esistono ruderi di un'antica città, e dove sono state rinvenute numerose iscrizioni, le più in greco, alcune in latino, dalle quali apprendiamo notizie intorno alla costituzione interna della città: nelle epigrafi si menzionano infatti i προστάται ϕυλῶν, gli ἀγορανόμοι e i παγάρχαι. Molte sono anche le iscrizioni cristiane, tra cui una relativa al vescovo Eugenio.
Laodicea al Lico (Λ. ἐπὶ [o πρὸς] τῷ Λύκῳ, L. ad Lycum). - Città della Frigia, presso il confine con la Caria. Fu fondata da Antioco II sul luogo di un precedente centro abitato, chiamato prima Diospolis, poi Rhoas, e così nominata in onore della moglie. Essa è ricordata in occasione della guerra di Acheo, e di quella contro Mitridate, durante la quale ebbe molto a soffrire. Dopo la pace di Silla mandò un'ambasceria a Roma, da cui aveva ottenuto la libertà, ponendo una dedica a Giove Capitolino (Corp. Inscr. Lat., VI, 30925). Gravi danni essa subì ripetutamente a causa di terremoti, fra cui sono da ricordare quelli avvenuti sotto Tiberio e sotto Nerone. Forse a uno di questi passeggieri periodi di decadenza si riporta il passo di Tacito, che mette Laodicea fra le città meno importanti della provincia; poiché tale testimonianza contrasta con quella precedente di Cicerone, che la dice un centro notevole di scambî finanziarî, e con le prove che da varie fonti abbiamo della floridezza da lei goduta più tardi per tutto il periodo imperiale. Rinomate erano le sue vesti di lana. Nella provincia romana fu sede di conventus. Adriano la visitò forse una prima volta nel 123-124, certo nel 129-130, e l'anno della visita fu stabilito come era della città. Nelle iscrizioni e nelle monete ha i titoli di μητρόπολις, λαμπροπάτη, νεωκόρος; dalle prime apprendiamo varie notizie sulla sua costituzione interna.
Ricevette il cristianesimo sin dai tempi apostolici ed è una delle sette chiese alle quali è indirizzata l'Apocalisse di Giovanni. Dopo la riforma dioclezianea fu capitale della Frigia Prima, più tardi detta Frigia Pacatiana. Spesso ricordata in età bizantina, in occasione delle guerre contro i Turchi fu fortificata dall'imperatore Manuel Comneno.
Ebbe molto a soffrire dalle incursioni musulmane a partire dalla fine del sec. VII d. C. Fu occupata poi dai Turchi Selgiuchidi nel sec. XII e nel seguente dagli Ottomani. Fu quasi totalmente distrutta nel 1402 per l'invasione dei Mongoli. Presso le sue rovine sorge ora il piccolo villaggio di Deniali. Restano avanzi delle mura, di un acquedotto, dello stadio, di due teatri e di un odeon, di un ginnasio, ecc.
A Laodicea fu tenuto un sinodo i cui canoni hanno notevole importanza per la storia della vita interna della Chiesa. In mancanza di dati cronologici precisi si è in generale concordi nel collocare il sinodo fra il concilio di Sardica (343) e il concilio di Costantinopoli (381) per quanto non manchi chi pensi di poterne spostare la data dopo il 381. Il termine ad quem è rappresentato in ogni modo dalla testimonianza di Teodoreto (In Coloss., II, 18; III, 17).
Il testo dei sessanta canoni greci che noi possediamo è, con tutta probabilità, un sunto dei canoni originali. In almeno 5 canoni è chiaro che sono riprodotte disposizioni disciplinari già sancite a Nicea. I canoni non vertono su questioni di fede e di dottrina, ma unicarnente su questioni disciplinari e liturgiche: sono permesse le seconde nozze (canone 1); si dànno disposizioni sulla disciplina penitenziale (2); si regolano i rapporti dei fedeli con gli eretici (canoni 7-10; 31-34; 37), i Giudei (37,38) e i pagani (39); si fa divieto di lasciare alla folla l'elezione dei vescovi (13), di inviare le eulogia (v.) alle chiese vicine (14), di portarsi a casa i resti delle agapi (27), di celebrare le agapi (28) nelle chiese; alcuni canoni sono diretti a reprimere pratiche idolatriche (35) e magiche (36, a regolare la cerimonia del battesimo (35-48); sono prescritti i digiuni quaresimali; si fa divieto di celebrare nozze e feste di nascita durante la quaresima (52); si prescrive che in chiesa debbano leggersi solo i libri della Sacra Scrittura (52) e se ne fissa il canone (60).
Altre città dello stesso nome sono ricordate in Fenicia, nel Ponto, in Mesopotamia, ecc.; quella di Fenicia è da alcuni confusa con Laodicea al Mare, da altri con Laodicea al Libano: pare invece si debba distinguere da esse, e identificarla con Berito, che avrebbe portato tal nome per breve tempo nel sec. II a. C.
Bibl.: Honigmann e Ruge, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 712 segg.; B. V. Head, Historia numorum, 2ª ed., Oxford 1911; per i monumenti di Laodicea al Mare: A. Djemal Pascha, Alte Denkmäler aus Syrien, ecc. Berlino 1918; per Laodicea al Lico, W. M. Ramsay, Cities and Bishoprics of Phrygia, I, Oxford 1895, p. 32 segg., ecc.; V. Tscherikower, Die hellenistischen Städtegründungen., in Philologus, supplemento XIX, i, Lipsia 1927, passim; per il sinodo di Laodicea, v. C. J. Hefele-H. Leclercq, Hist. des conciles, I, Parigi 1907, pp. 989-1028.