LAO-TZE, o, più esattamente, Lao-tzŭ
Filosofo cinese del sec. V a. C., di cui non si conoscono con certezza né il nome, né date esatte, né le vicende della vita. Lao tzŭ è un soprannome che significa "vecchio" (lao) "filosofo o fanciullo" (Tzŭ).
La biografia contenuta nelle Memorie storche di Sssu-ma Ts'ien riferisce che egli aveva per soprannome Tan, per cui è spesso chiamato Lao Tan, e anche che aveva per cognome Li. Aggiunge che Confucio andò a visitarlo nella scuola che egli aveva fondato nella città di P'ei, a sud dell'attuale Shan-tung, dopo essere stato archivista del re nella capitale del regno di Chou. La sua biografia leggendaria si andò accrescendo di particolari, fino a indicare la data esatta del giorno della nascita (14° giorno della IX luna del 604 a. C., secondo il P. Couplet, Tabula chronologica monarchiae sinicae, Parigi 1686). Si è detto che avrebbe viaggiato in Occidente, ma non se ne ha alcuna conferma storica. Un taoista al principio del sec. IV d. C., in un libro sulla conversione dei barbari (Hita Hu ching), fa profetizzare a L. una sua futura reincarnazione nel fondatore del manicheismo. Si dice che egli sia vissuto 84 anni. Nella piccola città di Lu-yi, a poca distanza a sud di Kwei-te, nel Ho-nan settentrionale, è stato eretto a L. un tempio in memoria del luogo ove egli nacque. A poca distanza da Kwei-te nacque più tardi Chuang Chou (v.), il più grande espositore della sua dottrina.
Il nome di L. è celebre in Cina, in Giappone, e ora anche in Europa, per l'unico libro, il Tao Te ching, composto di poco più di cinquemila parole e racchiudente gli elementi della sua dottrina.
Innumerevoli le edizioni e i commenti del testo cinese; nei secoli XIX e XX numerose le traduzioni europee. La brevità del testo, la probabile interpolazione di frammenti di epoca e origine varie, la mancanza di definizione dei temini adoperati, spiegano come traduttori e commentatori adoperino idee proprie per chiarire le oscure formule del testo. Le traduzioni europee più fedeli sono quelle che si limitano a riassumere i commenti della scuola taoista, come tentò per primo St. Julien (1842) e, con maggiore ricchezza di fonti adoperate, L. Wieger (1913). Il libro perde così in profondità di pensiero, ma si raggiunge una maggiore verità storica, studiando le idee degli antichi discepoli, se quelle del maestro non sono più raggiungibili.
Il successo del libro dipende dal suo contenuto, che è quanto di più vicino alla metafisica occidentale possieda la letteratura cinese antica. Il valore del libro, e implicitamente anche il suo significato, è chiarito dall'uso che ne fecero successivamente coloro che introdussero in Cina le idee filosofiche e le religioni dell'Occidente. I primi buddhisti ne trassero ispirazione per rivestire in forma cinese gli astratti pensieri dell'India. Negli scritti del filosofo cinese Mou-tzŭ, alla fine del sec. II d. C., buddhismo e taoismo sono considerati come due dottrine che si completano a vicenda. Prima i manichei, poi i nestoriani, trovarono in questo libro le espressioni con cui parlarono poi la prima volta in Cina dei concetti del cristianesimo. Anche nell'introduzione di idee moderne europee, è col linguaggio di L. che sono state espresse le idee di libertà, di natura, le azioni naturali, ecc.
Il titolo del libro, Tao Te ching, significa "Libro (ching) del Tao e del Te". Tao, che in cinese significa "via", talvolta anche "discorso, ragione", ha in questo libro un senso astratto che è stato avvicinato al logos dei Greci e anche a una certa forma di rappresentazione di un dio unico.
Tao, come appare dal contesto di questo libro e dei successivi commenti, è un Principio o una potenza, indefinibile, innominabile, creatrice del mondo. Non può essere correttamente tradotto come Dio: si avvicina piuttosto all'idea della natura naturans della filosofia medievale. Te, che è tradotto spesso con il significato più comune della parola, come "virtù", in questa dottrina rappresenta forse piuttosto "l'azione della natura", ossia il libero svolgersi delle energie naturali. La contemplazione del tao e del te conduce L. a un'aspra reazione contro le dottrine confuciane, nelle quali tao sta a rappresentare un'idea molto prossima a quella del nostro "dovere", e te della nostra "virtù". Questa concezione conduce all'unica regola fondamentale del savio che cerca la perfezione in ogni campo, quella del "non agire" (wu wei). Non agire, non tanto per staccarsi dal mondo, per sopprimere i desiderî e le passioni, come i buddhisti in India e anche i mistici in Occidente, i quali rinunciano al mondo per giungere alla contemplazione divina, ma soltanto per non costringere in forme artificiose le naturali manifestazioni della natura, la quale raggiunge meglio i proprî scopi quando non è torturata da vincoli e da leggi artificiali.
Malgrado le apparenti analogie con la mistica indiana, bisogna riconoscere che L. è da essa molto lontano. Se si tolgono alcuni brevi accenni, egli cerca soltanto di sviluppare le applicazioni del suo principio all'educazione, alle leggi della morale, alla politica. Gli scrittori cinesi hanno in ogni tempo rilevato l'importanza di queste considerazioni, che corrispondono fino a un certo punto al concetto di libertà in Occidente, ma ne hanno subito visto le limitazioni.
I commentatori europei che hanno cercato nelle letterature orientali un riflesso o una conferma di dottrine mistiche, o la difesa di un sincretismo religioso più o meno chiaro, hanno spesso forzato il senso del libro.
Bibl.: St. Julien, Lao Tseu, Tao Te King, le livre de la voie et de la vertu, Parigi 1842; J. Legge, Texts of Taoism, Oxford 1891; P. Pelliot, Autour d'une traduction sanscrite du Tao Te King, Leida 1912, XIII, pp. 350-430; H. A. Giles, The Ramains of Lao-tzŭ, in China Review, XIV (1885-86), pp. 231-280; id., Adversaria Sinica, Londra 1906; C. Puini, Il Budda, Confucio e Lao Tse, Firenze 1878; id., Taoismo, Lanciano 1912; id., Interpretazione buddista di vecchi testi taoisti, in Riv. di st. orientali, VII (1916), pp. 235-251; G. Tucci, Storia della filosofia cinese antica, Bologna 1922; id., Apologia del Taoīsmo, Roma 1924; A. Castellani, La regola celeste di Lao-Tze, Firenze 1927; id., La dottrina del tao, Bologna 1927. Bibliografia completa del taoismo, in L. Wieger, Taoïsme, Ho Kie Fou 1911; id., Les pères du système taoïste, ivi 1913; A. Forke, Geschichte der alten chinesischen philosophie, Amburgo 1927, pp. 249-284; H. Maspéro, La Chine antique, Parigi 1927, pp. 486-507; W. E. Soothill, The three religions of China, Oxford 1929, pp. 45-76.