LANFRANCO
Conte di Bergamo primo di questo nome, conte palatino. Nato probabilmente intorno al primo decennio del X secolo da Giselberto (I), conte di Bergamo dal 922 per decisione di Rodolfo di Borgogna e, dal 926, anche conte palatino, per concessione di re Ugo di Provenza, e da Rotruda (detta anche Rosa o Roza), figlia dell'ambizioso Walperto, iudex palatii.
Un matrimonio, per i tempi, non insolito, quello tra un comes e la figlia di un funzionario; se quest'ultimo infatti per certi versi può apparire un parvenu, il suo caso risulta tuttavia emblematico e illuminante sull'ascesa sociale di personaggi quali i giudici di palazzo, immersi nelle trame politiche e legati a esponenti di spicco dell'aristocrazia laica ed ecclesiastica; ma non solo. Un matrimonio all'insegna dei torbidi che caratterizzarono quel secolo e segnatamente l'età dei re d'Italia; il padre di Rotruda, infatti, era stato decapitato per aver partecipato alla congiura pavese contro re Ugo organizzata - presumibilmente nell'autunno del 927 (Mor, I) - proprio da alcuni iudices e capeggiata dallo iudex Gezo (detto anche Everardus). A quell'epoca Giselberto (I) era probabilmente già morto ed era stato sostituito forse dai conti Sansone prima (che taluni identificano però nel medesimo Giselberto, con nome mutato; a questo proposito cfr. Hlawitschka, p. 187; Menant, p. 54) e Uberto, figlio di re Ugo; Rotruda era divenuta una delle amanti di re Ugo.
L. compare per la prima volta, in qualità di vassus regis, in due diplomi del 935: rispettivamente del 12 maggio e del 18 settembre. Dell'ascesa sociale di L. non si hanno notizie: la storiografia della seconda metà del secolo XX ha ampiamente sottolineato la spregiudicatezza dell'alta aristocrazia laica ed ecclesiastica che, in particolare durante il regno di Ugo e di Lotario (cfr. in partic. Hlawitschka, pp. 216 s. e Cristiani, pp. 4-6), fece sistematicamente ricorso a strategie politiche fondate sull'intrigo e la violenza oltre che sui legami matrimoniali. Dieci anni dopo, in un diploma regio del 29 marzo 945, L. era indicato ormai quale comes, senza altre precisazioni.
Quasi certamente contò il legame con la madre Rotruda, vicina al sovrano. Tale diploma infatti, in cui L. è affiancato dal comes Aleramo - dell'omonima dinastia - sanciva cospicue donazioni di terre nel contado di Tortona a vantaggio di alcuni personaggi di rango imparentati a L., assai vicini a re Ugo e alla sua concubina Rotruda: oltre a quest'ultima, i beneficati erano Rotlinda, figlia di Ugo (e forse sorellastra di L.), e il primo marito di lei, Elisiardo comes.
Il territorio entro il quale si esplicava, probabilmente già allora, l'azione di controllo vassallatico di L., sebbene non menzionata, si può ragionevolmente supporre fosse sempre e comunque - permanendo entro una linea dinastica che non pare abbia allora subito scosse - quello del comitatus Bergomensis. Uno dei problemi sollevati per L. dall'attuale storiografia è quello delle origini del titolo: non è chiaro, infatti, se l'assunzione del ruolo comitale sia stata concessa dal sovrano o, per contro e con ben altri risvolti, sia passata dinasticamente da Giselberto a L. senza una sia pur solo formale convalida regia-imperiale. Nel caso di una nomina comitale dall'alto appare incerta anche la cronologia relativa a tale titolo: non è detto infatti che L., comes in un documento pubblico della primavera del 945, fosse stato nominato durante il regno di Ugo e di Lotario; potrebbe essere giunto all'importante incarico proprio allora, durante l'ascesa al potere di Berengario II. Si avrebbe così, ma è mera ipotesi, la certezza del perdurare di una sua posizione di rilievo a corte, nel passaggio da un sovrano all'altro (Cristiani, pp. 8 s., che inoltre rileva la vicinanza politica e i legami di parentela, a volte molto stretta, tra le dinastie dei comites più vicini a Ugo e Lotario, così come a Berengario II).
In un placito del 13 apr. 945 (cfr. Mor, I, p. 155, corretto da Cristiani, p. 6), dunque a distanza di pochi giorni dal citato diploma di marzo, L. appare ormai nel prestigioso ruolo di comes palacii.
Alcune superate teorie vedevano L. elevato a tale altissimo incarico per le supposte pressioni di una non meglio identificata fazione di aristocratici ancora legati a Ugo di Provenza; dando per credibile l'esistenza di una siffatta minoranza, sia pure composta da personaggi eminenti, non è probabile che con Berengario II al potere essa avesse possibilità di imporre proprie scelte per incarichi di quel livello (Fasoli, p. 161, da cui prendono le distanze Hlawitschka, p. 217 e Cristiani, p. 12). Pare quindi assai più credibile l'ipotesi che L. - che in quanto già comes potrebbe aver avuto un ruolo non di secondo piano nella crisi politica che condusse alla fine del regno di Ugo - abbia operato a vantaggio del nuovo sovrano al punto da meritarne la fiducia e, quale prova tangibile della sua riconoscenza, da essere creato conte palatino. Un'ipotesi diversa, che ribalterebbe in parte quella formulata alcuni decenni or sono da G. Fasoli, potrebbe essere quella che vedrebbe un'azione impositiva di Berengario nei confronti degli sconfitti re Ugo e Lotario: la nomina di L. conte e conte palatino (Jarnut, p. 51). Pertanto L., che secondo quest'ipotesi avrebbe vissuto, durante il regno di Ugo e di Lotario, in una cristallizzata posizione di prestigio statico, senza cioè possibilità di promozioni, avrebbe approfittato dell'aspra lotta per il trono italico tra i suoi sovrani e Berengario II nella speranza, poi soddisfatta, di vedersi gratificato e beneficato dal nuovo rampante candidato al potere (oltre ai già riferiti Hlawitscka e Cristiani, anche e in partic. Keller).
Il nuovo, aulico ruolo di conte palatino si univa a quello - peraltro non precisamente documentato per L. - di conte del comitatus bergomense: non della civitas dove il potere vescovile era andato aumentando, tanto da costringere i conti della dinastia giselbertina a riorganizzare il proprio potere sia nelle campagne della Bergamasca sia in aree rurali limitrofe quali, tra Milano e Brescia, quelle prossime a Crema, Lodi e Cremona.
L., dopo la fatidica primavera del 945, appare - vivo e fregiato del suo titolo di comes palacii - in relativamente pochi documenti, tra il luglio 947, il febbraio 948 e l'agosto 949. Sue, in quanto conte palatino, sono le autorizzazioni a redigere documenti di natura privata nel comitato bergamasco, sempre tra 947 e 949.
Rimane misterioso il rapporto tra i conti bergamaschi e la figura - frammentariamente documentata nonostante una sua duratura presenza nelle istituzioni politiche bergamasche tra il 919 e l'ultimo quarto dell'XI secolo - del vicecomes, un funzionario minore che pure, specie durante i primi decenni della dominazione giselbertina in area bergamasca, aveva evidentemente un suo ruolo in qualità di supplente, di vicario del conte in caso di sua assenza o di morte. Anche nel periodo in cui L. ricoprì l'importante incarico palatino a Bergamo, tra il 945 dunque e il 950 circa (Jarnut, p. 51), è probabile che delle figure vicecomitali - per es. Waldo, attestato a partire dal placito del gennaio 923 e Odelrico, tra i sottoscrittori di una carta ofersionis del maggio 954 - gli fossero vicine.
L. morì prima del gennaio 954, come si può desumere da un documento del 30 genn. 954 dove è indicato come già defunto (Jarnut); egli comunque non compare più nella documentazione pubblica e privata tra il 950 e la fine del 953, anno in cui, secondo Odazio (p. 281) e Mor (II, p. 204), L. risulta già morto.
Per taluni storici (Jarnut, p. 51), questo silenzio delle fonti potrebbe avere quale causa, ma è una circostanza non provata, un progressivo raffreddamento nei rapporti tra L. e Berengario II.
Fonti e Bibl.: Codex diplomaticus Langobardiae, a cura di G. Porro Lambertenghi, in Monumentahistoriae patriae, XIII, Augustae Taurinorum 1873, nn. 580, 584, 589; Idiplomi di Ugo e di Lotario, di Berengario II e di Adalberto, a cura di L. Schiaparelli, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XXXVIII, Roma 1924, nn. 37, 39, 79 s.; Le pergamene degli archivi di Bergamo, a. 740-1000, a cura di M. Cortesi, Bergamo 1988, nn. 65, 95; G. Antonucci, Le famiglie comitali di Bergamo nei secoli decimo, undecimo e duodecimo, in Bergomum, XXVII (1933), pp. 207-217; V. Tanzi di Montebello, La nobile famiglia gisalbertina, Lodi 1934, passim; E. Odazio, I conti del comitato bergomense e le loro diramazioni nei secoli X-XIII, in Bergomum, XXVIII (1934), pp. 271-293; G. Fasoli, I re d'Italia (888-962), Firenze 1949, pp. 161, 281; C.G. Mor, L'età feudale, Milano 1952, I, pp. 123, 155; II, pp. 5, 204; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, I, Bergamo 1959, pp. 255 s., 264, 271; E. Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien (774-962), Freiburg i.B. 1960, pp. 187, 216 s.; H. Keller, Zur Struktur der Königsherrschaft im karolingischen und nachkarolingischen Italien. Der "consiliarius regis" in den italienischen Königsdiplomen des 9. bis 10. Jahrhunderts, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XLVII (1967), p. 179; J. Jarnut, Bergamo 568-1098. Storia istituzionale, sociale ed economica di una città lombarda nell'Alto Medioevo, Bergamo 1980, pp. 51, 279; V. Fumagalli, Il Regno italico, Torino 1986, p. 284; F. Menant, Les giselbertins, comtes du Comté de Bergame et comtes palatins, in Id., Lombardia feudale. Studi sull'aristocrazia padana nei secoli X-XIII, Milano 1992, pp. 40, 47, 54, 63, 72, 99; E. Cristiani, Note sulla feudalità italica negli ultimi anni di regno di Ugo e di Lotario, in Id., Scritti scelti, Pisa 1997, pp. 4-6, 8 s., 12; I. Scaravelli, Giselberto, in Diz. biogr. degli Italiani, LVI, Roma 2001, pp. 612-614; Lexikon des Mittelalters, IV, col. 1468, s.v.Giselbertiner.