PIGNATARI, Lanfranco
PIGNATARI, Lanfranco. – Membro di un’antica famiglia dell’aristocrazia mercantile cittadina, nacque a Genova presumibilmente nel terzo o quarto decennio del XIII secolo.
Fu un esponente di rilievo di quel gruppo di nobili ghibellini, già coinvolti nel primo esperimento di capitanato del Popolo all’epoca di Guglielmo Boccanegra (fra il 1256 e il 1262), che appoggiarono il vittorioso colpo di mano con il quale il 28 ottobre 1270 Oberto Spinola e Oberto Doria rovesciarono il governo dell’aristocrazia guelfa a Genova instaurando un governo popolare di colore ghibellino.
Come in altre realtà politiche dell’Italia del tempo, i Diarchi (come tradizionalmente li definì la storiografia genovese già dall’età moderna) e i loro sostenitori rappresentavano quella parte dell’aristocrazia disposta ad accettare accordi con il Popolo e questa alleanza fu concretamente rappresentata, una volta espulsi i guelfi dal potere e dalla città, dalla spartizione paritetica degli officia governativi fra nobili e popolari nel nuovo regime dei due ‘Capitani del Comune e del Popolo’.
Nonostante l’ambasceria inviata nel 1271 a dissipare i sospetti che gli eventi verificatisi in Genova avevano potuto suscitare nel nuovo papa, Gregorio X, non fu possibile placare l’evidente ostilità della Curia – dove erano attivi numerosi esponenti guelfi capitanati dal cardinale Ottobono Fieschi, che godeva di una forte influenza presso il pontefice – e soprattutto del grande protettore del partito guelfo, Carlo I d’Angiò.
Con il trattato del 1269, sottoscritto da un governo guelfo piegato alla sua volontà, il re di Sicilia aveva in effetti pensato di aver consolidato la propria influenza su Genova, ridotta al rango di un satellite politico, ma la sconfitta e il bando dei suoi alleati comprometteva seriamente questa sua ambizione. Le prime manifestazioni dell’ostilità dell’angioino si presentarono in occasione del disastroso naufragio patito nello stesso 1271 a Trapani da numerose navi della flotta genovese che aveva partecipato alla fallimentare crociata tunisina di Luigi IX di Francia: senza alcun riguardo per i trattati, né per il fatto che gli equipaggi erano stati alleati suoi e di suo fratello nell’impresa di Tunisi, Carlo esercitò in modo inesorabile lo jus naufragii nei loro confronti, sequestrando tutti i beni che non fossero indiscutibilmente di proprietà di crociati. Mentre Carlo contrattava il prezzo del suo appoggio militare con i fuoriusciti, disposti a conferirgli la signoria della città, i Capitani cercavano di evitare un’aperta rottura con il pontefice ignorando le offerte di alleanza avanzate dal re dei Romani, Alfonso X di Castiglia, per il tramite del marchese Guglielmo VII di Monferrato e dei ghibellini lombardi, ma la situazione era chiaramente instabile e destinata a precipitare: nel 1272 l’attacco portato dai fuoriusciti contro alcuni castelli della riviera di Ponente segnò di fatto l’apertura delle ostilità.
La guerra aperta, iniziata ufficialmente nel 1273, fu condotta da Carlo con grande dispiego di forze, impegnando in attacchi concentrici contro il territorio genovese le forze dei suoi vicari di Toscana, Lombardia e Provenza, oltre a quelle dei fuoriusciti, ma con estrema scarsità di risultati: tutti gli attacchi vennero respinti e i genovesi ampliarono il territorio sotto il loro controllo. Spicca nel racconto degli eventi la singolare assenza di operazioni navali condotte dalla flotta siciliana, come se fin dall’inizio il re si fosse rassegnato a cedere l’iniziativa sul mare ai suoi avversari, a eccezione del tentativo messo in atto dal vicario di Malta di impadronirsi della flotta genovese diretta in Oriente conclusosi con il proditorio arresto di Niccolò Spinola e di alcuni patroni, mentre le navi erano riuscite a fuggire.
In una tale situazione Pignatari ebbe un posto in prima fila sulla scena degli eventi, dando prova di notevoli doti di comandante navale. Nella primavera del 1274 i genovesi misero in mare una flotta di 22 galee nel timore che le forze angioine dai porti napoletani o da quelli provenzali potessero tentare di investire la città; e proprio a lui venne affidato il comando, che per tradizione toccava a un esponente della nobiltà. Alcuni atti notarili permettono di integrare il racconto degli Annali sincroni per quanto concerne l’organizzazione e le attività di questa squadra navale, consentendo di seguire gli arruolamenti di rematori, marinai e balestrieri avvenuti nella prima metà di maggio e le richieste di pagamento del soldo dopo il rientro a Genova alla metà di luglio 1274. Nel giro dei poco più di due mesi intercorsi fra queste date il Pignatari aveva inflitto una serie di duri colpi all’avversario, umiliando la marina siciliana e sfidando apertamente il sovrano angioino. Avendo appreso dopo alcuni giorni dalla partenza che un contrordine di Carlo, evidentemente poco convinto dell’efficacia della sua flotta, aveva bloccato l’armamento di una squadra di cinquanta galee precedentemente disposto nei cantieri provenzali e che pertanto non vi erano immediati pericoli nelle acque tra Liguria e Provenza, l’ammiraglio decise di procedere verso sud. Dopo aver costeggiato la Corsica, dove in precedenza le navi angioine avevano aggredito la colonia genovese di Castel Lombardo, e la Sardegna in cerca di navi nemiche, ai primi di giugno la flotta genovese giunse in vista della Sicilia e Pignatari, memore degli abusi subiti dai suoi compatrioti, decise di lanciare un attacco contro Trapani; senza che nessuno li contrastasse, i genovesi incendiarono quindi diverse navi che si trovavano nel porto siciliano e misero a ferro e fuoco le zone esterne alle mura cittadine, ripartendo con un consistente bottino prima che le forze locali fossero state in grado di mobilitarsi.
Analoga sorte, quale chiara rappresaglia dell’attacco proditorio condotto l’anno precedente dal vicario di Malta, toccò alcuni giorni dopo all’isola di Gozo, occupata e saccheggiata sistematicamente dagli equipaggi della flotta genovese, anche in questo caso senza che le forze angioine accennassero a una qualsiasi reazione. Incoraggiato dall’inerzia dimostrata fino a quel momento dal nemico, Pignatari decise quindi di ritornare verso nord attraversando lo Stretto di Messina e di mettere a segno un altro colpo attaccando la stessa Messina, uno dei maggiori centri del commercio marittimo del Regno; impossibilitati ad assalire le mura cittadine, i genovesi riuscirono comunque a entrare nel porto e a catturare numerosi vascelli, tra i quali alcune galee della flotta regia, incrementando così il bottino.
Certo ormai del fatto che la flotta siciliana non era in grado di opporre una resistenza agli attacchi delle sue galee, Pignatari mise quindi in atto il gesto al quale sarebbe rimasta legata la memoria della sua trionfale operazione marittima, abbondantemente esaltata dalla narrazione degli Annali che costituiscono la nostra principale fonte in proposito: giunta davanti alle acque di Napoli, dove in quel momento si trovava Carlo I, la flotta genovese si produsse in un’ironica parata per celebrare la propria superiorità sfilando più volte davanti all’imboccatura del porto in ordine di fila e non di combattimento, a dimostrazione che non si aspettava un contrattacco nemico, con tutti i vessilli alzati e trascinando in mare, insieme alle galee catturate, le bandiere del re, cui veniva inflitta davanti al popolo della sua capitale una grave umiliazione, resa ancor più cocente dal fatto che al termine di questa esibizione di forza i genovesi si allontanarono indisturbati per rientrare in patria, catturando altre navi angioine lungo la rotta.
Dopo questa vittoriosa impresa navale, il nome di Pignatari dovette guadagnare notevole fama nell’ambito dell’alleanza ghibellina in cui ormai Genova, messe da parte le precedenti esitazioni diplomatiche, era entrata a pieno titolo. Non stupisce dunque che nell’anno successivo (1275) egli venisse chiamato in qualità di podestà a Pavia, che sotto il controllo della famiglia Beccaria era divenuta il principale centro operativo del ghibellinismo lombardo
Durante il proprio mandato, Pignatari ebbe modo di partecipare ad alcuni momenti cruciali dell’offensiva lanciata in Lombardia dai sostenitori della parte imperiale sotto la guida di Guglielmo VII di Monferrato, grazie ai rinforzi che, attraverso il porto di Genova, erano giunti dalla Castiglia. Sovraintese, pertanto, al solenne giuramento di fedeltà del Comune di Pavia nei confronti di Alfonso X e contribuì alla direzione della politica pavese nei mesi successivi, che videro la città impegnata a sostenere lo sforzo militare anti-guelfo coordinato dal marchese monferrino.
Rientrato in Genova al termine del proprio mandato, Pignatari vide riconfermata la fiducia nutrita nei suoi confronti dai diarchi e il 13 marzo 1276 fu nominato insieme a Guido Spinola, Babilano Doria e Giovanni di Ugolino quale plenipotenziario del Comune nelle trattative di pace con Carlo e i guelfi, che avrebbero dovuto svolgersi a Roma con la mediazione del nuovo papa, Innocenzo V. Gli accordi furono raggiunti in tempi rapidi e solennemente sottoscritti il 18 giugno. La morte del papa, sopravvenuta solo pochi giorni dopo, impedì che seguisse immediatamente la solenne ratifica e fu pertanto necessario attendere l’elezione del successore perché si potesse avere la definitiva sanzione della pace, il 23 luglio, a Viterbo. In tale occasione, il destino mise quindi il nuovo pontefice, Adriano V (Ottobono Fieschi), di fronte a Pignatari, l’uomo che aveva dato un contributo decisivo a vanificare i suoi piani di una restaurazione del potere dell’aristocrazia guelfa a Genova.
Dopo questa missione diplomatica Lanfranco Pignatari scompare dalla documentazione pubblica e privata genovese; probabilmente morì negli anni immediatamente successivi.
Fonti e Bibl.: J.F. Le Bret, Geschichte von Italien und allen allda gegründeten ältern und neuern Staaten. Aus ächten Quellen geschöpft, mit Landcharten und Kupfern, I-IX, Halle 1778-87, IV, p. 525; G. Robolini, Notizie appartenenti alla Storia della sua Patria raccolte ed illustrate da Giuseppe Robolini gentiluomo pavese, IV, 2, Pavia 1832, pp. 189, 297, 392; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, a cura di G.B. Spotorno, I, Genova 1854, pp. 449 s.; C. Minieri Riccio, Il Regno di Carlo I d’Angiò, 1274, in Archivio storico italiano, s. 3, XXIV (1876), pp. 227 s.; G. Caro, Genua und die Mächte am Mittelmeer, 1257-1311, I-II, Halle 1895-99, trad. it. di O. Soardi, Genova e la supremazia sul Mediterraneo (1257-1311), in Atti della Società ligure di storia patria, nuova serie, XIV-XV (1974-75), I, pp. 344-346, 359; C. Manfroni, Storia della marina italiana, II, Livorno 1902, p. 54; A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), parte I, in Atti della Società ligure di storia patria, XXXI (1901), 1, pp. 354, 356, 359, 375 s., 380, 384, 389; Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori, IV, a cura di C. Imperiale di Sant’Angelo, Fonti per la Storia d’Italia, XIV, Roma 1926, pp. 167 s.; I Libri Iurium della Repubblica di Genova, I, 5, a cura di E. Madia, Genova 1999, p. 144, I, 6, a cura di M. Bibolini, Genova 2000, pp. 337 s.