GRIMALDI, Lanfranco (Natta)
Nacque a Genova nei primi anni del Duecento da Grimaldo di Oberto e da Orietta da Castello, di antica famiglia viscontile.
Il padre era stato uno dei più importanti protagonisti della vita genovese della prima metà del Duecento, più volte consigliere e membro del Collegio degli otto nobili; nel 1219, durante la quinta crociata, aveva condotto una squadra navale genovese in aiuto dell'esercito cristiano che assediava Damietta, alla foce del Nilo. Oltre al G. ebbe altri tre figli: Lucchetto, forse il maggiore, Sorleone e Antonio.
Il nome del G. compare per la prima volta nel giugno 1232, quando, accompagnando con altri giovani nobili cittadini l'allora podestà di Genova, Pagano da Pietrasanta, a Milano, sua patria, per una breve visita privata, fu aggredito nei pressi di Voghera da Rolando de Giorgi, forse podestà di quel borgo, e catturato insieme con i suoi compagni. Non è noto quali fossero le ragioni di tale gesto, ma - come riferito dal cronista genovese Bartolomeo Scriba - tanto il G. che il Pietrasanta furono trattati "contumeliose" da Giorgi, venendo liberati solo dopo alcuni giorni; a quanto pare per diretta intercessione dell'imperatore Federico II.
Dopo quella data non abbiamo notizie del G. per alcuni anni; la sua posizione all'interno del ceto dirigente genovese dovette però, in quel periodo, farsi sempre più forte perché quando il suo nome ricompare negli atti, nel 1240, egli era uno degli Otto nobili o "clavigeri" del Comune, e per tutto il decennio successivo fu senza dubbio uno degli uomini più potenti di Genova. Per altre due volte, infatti, nel 1246 e nel 1249, il G. venne chiamato a sedere tra gli Otto nobili, magistratura che, insieme con il podestà forestiero, rappresentava il vertice istituzionale del Comune.
Erano gli anni in cui Genova si trovava impegnata nella guerra contro Federico II e che videro il predominio pressoché assoluto della nobiltà e, al suo interno, di quelle famiglie, come i Grimaldi, i Fieschi o i Malocelli, che avevano abbracciato decisamente la causa del Papato. Una situazione analoga si aveva anche a Piacenza, città legata a Genova da grandi interessi economici e finanziari. Qui però, dopo la vittoria su Federico II, erano iniziati forti contrasti tra il gruppo dirigente dei milites (in maggioranza partigiani del papa) e il "popolo", tendenzialmente filoimperiale, il quale si era dato una propria organizzazione ricalcante quella del Comune, con alla testa un potestas populi che era però un nobile, Uberto de Iniquitate.
Alla fine del 1249, allo scadere del suo mandato quale "nobile" del Comune di Genova, il G. fu invitato ad assumere la carica di podestà di Piacenza. A quanto sembra la scelta scaturì da un accordo tra nobili e popolari, nella speranza che egli si mantenesse estraneo alle fazioni. In realtà, stando al racconto degli Annales Placentini gibellini, egli si premurò, non appena avuta notizia della nomina, di dare segretamente ampie assicurazioni ai popolari che si sarebbe adeguato, nel governo, alle loro indicazioni ("ad statum et voluntatem populi et rectorum eius").
Quando però, nel gennaio 1250, egli giunse a Piacenza e assunse la carica, si rimangiò quanto promesso, manifestando, al contrario, piena identità di vedute con la nobiltà. Scontratosi in Consiglio con i popolari per una questione riguardante la guardia del ponte sul Po, da essi reclamata, minacciò le dimissioni e, per rendere più manifesto il proprio scontento, abbandonò il palazzo pretorio, ritirandosi in casa di un privato cittadino. In città scoppiarono tumulti e, secondo quanto narrato, per la verità abbastanza confusamente, da Giovanni de Mussis, il "popolo" impose al proprio capitano, il già ricordato Uberto de Iniquitate, di richiamare i fuorusciti ghibellini, tra i quali erano i membri delle potenti famiglie dei de Andito (Landi) e da Fontana. Il legato pontificio, cardinale Ubaldo degli Ubertini, lasciò prudentemente Piacenza e il G., vedendo che i fuorusciti facevano ritorno in città armati di tutto punto e a bandiere spiegate, cercò di opporsi, dapprima sollecitando il Consiglio del Comune a sbarrare loro le porte e, quindi, cercando di sollevare il "popolo" alle armi, ma senza alcun successo. Egli si vide pertanto costretto ad abbandonare la città; i popolari elessero il de Iniquitate anche podestà del Comune (seppure solo fino allo scadere del mandato del G.), dandogli in pratica la signoria della città. Per tutta risposta i milites abbandonarono in massa Piacenza e, "in obrobrium populi", decisero di nominare il G. podestà della "pars extrinseca", carica che, a quanto sembra, egli tenne fino al 1252, quando i nobili poterono rientrare nelle loro case. Per questo servizio egli ricevette, nel febbraio dell'anno successivo, 1300 lire dal console dei Piacentini a Genova, Alberto Sperone.
Tornato in patria, G. riebbe il posto che gli spettava: nel 1256 fu ancora una volta degli Otto nobili e nel 1263 fu consigliere del Comune. Negli stessi anni, come del resto tutta la consorteria dei Grimaldi, egli strinse forti legami politici ed economici con Carlo d'Angiò e con la Francia, finanziando l'armamento delle navi noleggiate per la sfortunata crociata di Tunisi del 1269-70. Così, quando nel 1271 la sua famiglia fu costretta ad abbandonare Genova dal regime ghibellino imposto dai capitani Oberto Spinola e Oberto Doria, egli andò a stabilirsi in Provenza, probabilmente a Nizza, dove, intorno al 1272, nacque suo figlio Raniero (I), capostipite di quello che sarebbe stato il primo ramo dei signori di Monaco. Non sappiamo quanto sia durato l'esilio; nel 1274 le sue proprietà in Genova, peraltro intestate alla moglie, risultavano confiscate e soggette ad amministrazione controllata da parte del Comune.
Dopo quella data non abbiamo più alcuna notizia precisa su di lui; sembra però che nel 1283, spinto dal suo odio verso i ghibellini di Genova, egli abbia accettato l'offerta dei Pisani di comandare la loro flotta col titolo di ammiraglio, succedendo a Rosso Buzzaccherini de Sismondi. Egli la condusse fino davanti al porto di Genova e qui, in segno di scherno, fece lanciare contro le mura della sua città quadrelle da balestra con la punta d'argento (Villani). L'attacco però non ebbe alcun risultato e facendo ritorno a Pisa la sua flotta fu sorpresa da una tempesta presso la foce del Serchio, dove perdette 25 delle sue galee.
È probabile che egli abbia trascorso gli ultimi anni della sua vita in Provenza o a Napoli, al servizio della casa d'Angiò. Morì, secondo la tradizione, nel 1293, in località non nota.
Dalla moglie ebbe vari figli, tra cui, oltre il già ricordato Raniero (I), va segnalato Bertone, capostipite del ramo nizzardo della famiglia Grimaldi.
Fonti e Bibl.: Genova, Biblioteca civica Berio, M. R., IX.2.23: F. Federici, Scrutinio della nobiltà ligustica, s.v.Grimaldi; Iohannes de Mussis, Chronicon Placentinum, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XVI, Mediolani 1730, coll. 465, 616; Bartholomaeus Scriba, Annales Ianuenses, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XVIII, Hannoverae 1863, pp. 181, 192, 219, 226; Annales Placentini gibellini, a cura di G.H. Pertz, ibid., pp. 501 s., 506; A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, I, in Atti della Società ligure di storia patria, XXXI (1901), pp. 23, 190; I registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri, II, Napoli 1951, n. 56 p. 19; G. Villani, NuovaCronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1990, p. 541; I libri iurium della Repubblica di Genova, I, 5, a cura di E. Madia, Roma 1999, nn. 902, 904; I, 6, a cura di M. Bibolini, ibid. 2000, nn. 1056, 1058; Ch. de Venasque-Farriol, Genealogica et historica Grimaldae gentis arbor…, Parisiis 1647, p. 96; C. Poggiali, Memorie storiche di Piacenza, Piacenza 1768, V, p. 132; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, II, Genova 1826, FamigliaGrimaldi, p. 4; G. Carbone, Compendio della storia ligure, I, Genova 1836, p. 87; G. Caro, Genova e la supremazia nel Mediterraneo, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XIV (1974), 1, pp. 221, 289.