LANFRANCO di Pavia
Arcivescovo di Canterbury, nato a Pavia intorno al 1003, morto il 28 maggio del 1089. Poco si sa della sua giovinezza; studiò diritto a Pavia, nelle cui scuole si conservava la tradizione giuridica, e pare che si perfezionasse allo Studio bolognese, formando così la sua cultura in un ambiente secolare e con forme del tutto laiche. Di ritorno a Pavia, L. dovette partirne non si sa per quali motivi dopo il 1035, dandosi all'insegnamento pubblico, donde trasse i mezzi di vita. Fu ad Avranches, intorno al 1039, e a Rouen, finché, per uno scampato pericolo, fece voto di entrare nell'abbazia del Bec (1042). Qui divenne presto priore ed ebbe la direzione della scuola monastica, che, allora modesta, divenne per la sua presenza uno dei centri più importanti dello studio della teologia. La sua dottrina e la sua abilità dialettica si manifestarono e si rassodarono durante l'aspra polemica contro Berengario di Tours.
Il contrasto tra il maestro di Tours e quello del Bec, impegnatosi per divergenze teologiche, s'inaspriva per rivalità di scuola e di prestigio, e si estendeva all'intero mondo cattolico per l'intervento dei concilî e dell'autorità pontificia. Al concilio di Roma (1050), L. lesse e confutò, dinnanzi a Leone IX, la lettera con cui Berengario difendeva Giovanni Scoto Erigena e sé stesso dall'accusa di eresia che L. gli aveva mossa per le sue teorie antieucaristiche. Al concilio di Vercelli (settembre del 1050), L. ne fece condannare la dottrina, accentuando la propria posizione ortodossa, e mirando, nella varia alternativa della lotta, a contrapporre accanto alle tesi particolari tutto il suo insegnamento esegetico e dialettico: soprattutto nei concilî seguenti (Tours 1055; Lateranense 1059) e nell'opera De corpore et sanguine Domini adversus Berengarium, scritta prima del 1070, a confutazione dell'atteggiamento razionalistico dell'avversario, al quale contrapponeva una disamina del dogma della transustanziazione secondo i testi sacri, senza originalità d'argomenti e secondo la guida di Pascasio, di Adelmanno, di Durando di Troarn, ma con sicuro e acuto senso delle aberrazioni eterodosse. Del resto, L., anche lui "dialettico" cioè seguace del metodo schiettamente logico, finiva col subordinare la "dialettica" alla teologia o almeno a orientarla verso i fini di questa. Tuttavia l'impossibilità di una dimostiazione razionalistica delle supreme verità di fede non escludeva per L. l'utilità propedeutica della "dialettica"; e la sua filosofia preparava così la conciliazione tra fede e intelligenza operata poi dal suo grande discepolo Anselmo d'Aosta.
Frattanto L. rendeva più salda la sua posizione alla corte del duca di Normandia, sebbene una volta rischiasse di perderne la protezione per essersi dichiarato contrario al matrimonio del principe con Matilde di Fiandra (1053); ma, ravvedutosi e fatta opera di riconciliazione presso Nicola II (1059), divenne il miglior consigliere religioso e politico di Guglielmo, che lo mise a capo della nuova abbazia di Saint-Étienne a Caen (1066) e, dopo la conquista dell'Inghilterra, lo chiamò alla sede arcivescovile di Canterbury, che egli tenne dal 1070 fino alla morte. Le prime difficoltà gli amareggiarono lo spirito, tanto che ad Alessandro II chiedeva di essere esonerato dalla carica: soprattutto per la rivalità di Tommaso arcivescovo di York. La questione, con l'appoggio del re, fu risolta da un concilio inglese (1072) in favore di L., che, divenuto così primate d'Inghilterra, estese la sua carica anche all'Irlanda, esercitando anche, specie durante le assenze di Guglielmo, una vera e propria azione politica.
Attuò la riforma ecclesiastica che aveva già iniziata in Normandia e che ora tendeva, per un verso, a subordinare al potere regio l'organizzazione clericale, in conformità alla politica accentratrice di Guglielmo, e a realizzare, nello stesso tempo, quelle innovazioni e prescrizioni gregoriane che non contrastassero con la politica generale: la quale opera della riforma era delicata, spesso ingrata e non sempre chiara nei mezzi. Restaurò la cattedrale, migliorò le condizioni delle chiese e delle abbazie rinnovò il corpo ecclesiastico con prelati normanni, impose una maggiore osservanza della regola in quei monasteri che tendevano a secolarizzarsi, distribuì i centri religiosi secondo la nuova importanza territoriale e civile, portò e propagò i germi di una più larga e rigorosa cultura, pretese un alto senso morale dal clero (importante il concilio di Londra del 1075), e, anche contro lo stesso Gregorio VII, temperò alcune sue riforme, specie quella sul celibato, la cui rigorosa applicazione era impossibile in Inghilterra, e l'altra sull'investitura laica, che L. non volle sopprimere; né mai permise, infatti, che il suo re facesse atto di fedeltà al papa. Le sue numerose Epistolae portano singolare luce sulla sua azione e sulla vita pubblica contemporanea e servono di controllo per i cronisti coetanei.
Alla morte del suo protettore (1087), non ebbe eguale autorità con Guglielmo II, che L. aveva educato e validamente sostenuto per la successione.
Alcuni dati della vita di L. furono per tempo falsificati, specie per le sue origini rimaste incerte e per l'aspra polemica con Berengario: notizie arbitrarie cominciava già a dare Guitmondo, anche lui vissuto nel sec. XI, mentre una versione leggendaria è pienamente documentata dalla cronaca di Enrico Knighton del sec. XIV. L'edizione delle opere è in Migne, Patrol. Lat., CL, 101-782.
Bibl.: Il biografo più attendibile di L. è Milone Crispino, che scrive nell'Abbazio del Bec verso il 1140 (Migne, Patr. Lat., CL, 29-101). Sono da consultare le cronache di Eadmero, di Guglielmo di Malmesbury, ecc. Si veda inoltre alla voce guglielmo il Conquistatore. Cfr. J. de Crozals, L., Parigi 1877; A. Du Boys, L'Église et l'État en Angleterre depuis la conquête des Normands, Parigi 1887; É. Longuemare, L., Parigi 1902; H. Böhmer, Kirche u. Staat in England u. in der Normandie im 11. u. 12. Jahrh., Lipsia 1902; id., Die Fälschungen Erzbischof L. v. C., Lipsia 1902; N. Tamassia, L. e la scuola pavese, in Mélanges Fitting, Montpellier 1908; F. Novati, La leggenda di L. di P., in Studi letterari dedicati a P. Rajna, Firenze 1911, pp. 707-716, e Le origini, Milano s. a., pp. 332-346; E. Gozza, La leggenda di L. da P. e di Alano da Lilla, in Studi dedic. a F. Torraca, Napoli 1912, pp. 443-460. Cfr. anche A. Porée, Histoire de l'Abbaye du Bec, Évreux 1901; J. A. Endres, L.s Verhältnis zur Dialektik, in Der Katholik, LXXXII (1921), pp. 215-231; A. J. Macdonald, L. A. Study of his life, work and writings, Oxford 1926.