LANDOLFO
Principe di Benevento, quinto di questo nome, fu figlio di quel Pandolfo (II) che si impadronì del potere nell'antica capitale longobarda (ottobre 981) destituendo il cugino Landolfo (IV), figlio di Pandolfo (I) Capodiferro. Venne associato al padre nel maggio 987 e in tal modo si rafforzò ulteriormente il radicamento dinastico del ramo cadetto della famiglia principesca capuana a Benevento.
I primi anni di governo di L. accanto al padre corrispondono a un periodo storico di scarsa presenza dei due poteri imperiali in Italia meridionale, che ebbe come conseguenze la ripresa delle incursioni arabe dalla Sicilia contro le città costiere del litorale adriatico e una crescente autonomia dei Principati longobardi.
Nel 999 Ottone III si recò per la prima volta a Benevento, di ritorno da un pellegrinaggio al santuario del Gargano, e qui l'11 marzo, ospite di Pandolfo (II) e del figlio L., promulgò un diploma a favore dell'abbazia di S. Sofia. Dopo appena un anno l'accordo fra il sovrano sassone e i principi beneventani risulta però già compromesso e "Otto rex cum magno exercitu obsedit Benevento" (Annales Beneventani, p. 129).
Le fonti non specificano quali siano state le cause della discordia: all'origine di tutto pare sia stato il mancato riconoscimento della supremazia imperiale da parte di Pandolfo (II) e di L. o, piuttosto, la mancata consegna a Ottone III delle reliquie di s. Bartolomeo. Ciò che è certo comunque è che l'imperatore non riuscì a espugnare la città e dovette rientrare prima a Roma e poi in Germania, dopo un inutile assedio durato parecchie settimane.
All'allontanamento di Ottone III seguì l'immediato ripristino degli equilibri politici precedenti la sua discesa nel Meridione: a Capua un'insurrezione locale destituì dal potere Ademario, longobardo cresciuto alla corte germanica e fedele all'imperatore, e pose nuovamente sul trono un membro della dinastia capuana, Landolfo (V) di Sant'Agata, fratello di Pandolfo (II, principe di Benevento). Sempre dagli Annales Beneventani (p. 129), nostra principale fonte per questo periodo, si ricava la notizia di una congiura ordita a Benevento da "aliquanti Beneventani" ai danni di Pandolfo (II) e di L., che vennero sostituiti al potere dal conte di Avellino Adelferio. Non è chiaro quali siano state le cause all'origine di questo allontanamento, peraltro durato solo due anni, ma si tratta comunque di un dato interessante perché testimonia indirettamente il progressivo consolidarsi delle forze locali e il diffondersi dell'insoddisfazione aristocratica.
La lontananza dei due principi da Benevento non durò a lungo: Pandolfo (II) e L. rientrarono nel 1005 nella loro città natale, dove mantennero un ruolo sostanzialmente defilato rispetto alle contemporanee rivolte pugliesi antibizantine.
Si tratta di un segnale importante, che indica un lento ma inesorabile declino dell'autorità di Pandolfo (II) e di L.: mentre infatti al tempo dei loro antenati la Puglia era sempre stata il territorio di naturale espansione del Principato beneventano, in modo da garantirsi sbocchi sul mare che consentissero alla capitale longobarda di prendere parte ai fiorenti commerci con l'Oriente, ora invece l'area d'azione dei sovrani appare limitata alla sola capitale e ai suoi immediati dintorni, sintomo di una progressiva diminuzione di controllo sul territorio ancora, ma solo nominalmente, di competenza principesca. I diplomi emessi in questi anni confermano la crescente dispersione del potere a favore dei nuovi potentati locali, con un conseguente calo del peso politico della capitale. Che Benevento vivesse in questi decenni un processo di lento ripiegamento su se stessa, caratterizzato da legami sempre più radi con quanto avveniva nel resto dell'Italia meridionale, è indicato anche dal tipo di notizie riportate dagli Annales Beneventani, in cui le catastrofi naturali quali terremoti, esondazioni fluviali, carestie ed eclissi solari hanno un ruolo di assoluto primo piano all'interno della narrazione.
L'indebolimento della presenza bizantina in Puglia e Calabria provocò una ripresa delle incursioni arabe, che arrivarono a minacciare anche Benevento, Capua e Napoli. I Saraceni vennero però sconfitti dalla flotta veneziana, intenzionata a difendere i propri interessi commerciali in Meridione. La ritrovata sicurezza, unita al malcontento per il malgoverno e il fiscalismo dei funzionari bizantini, furono all'origine di sempre più frequenti rivolte pugliesi, trasformatesi a partire dal maggio del 1009 in una vera e propria lotta per l'indipendenza sotto la guida del ricco barese Melo. La partecipazione beneventana all'insurrezione fu solo indiretta: i principi si limitarono ad accogliere per breve tempo Melo che, dopo la grave sconfitta di Canne, capì di non poter contare sull'aiuto dei principi longobardi e si recò in Germania per chiedere aiuto direttamente a Enrico II.
L. si era nel frattempo associato al potere nel 1011 il figlio Pandolfo (III). Nel 1014, alla morte dell'anziano Pandolfo (II), la turbolenta aristocrazia beneventana tentò nuovamente di spodestare i legittimi sovrani come già accaduto nel 1003, ma in questa occasione i principi non vennero espulsi, bensì "facta est communitas prima" (Annales Beneventani, p. 131).
Erroneamente si è interpretata in passato l'espressione "communitas prima" come indicazione di un primo ordinamento comunale. Si trattò piuttosto del tentativo da parte di una coalizione aristocratica, contrapposta alla dinastia regnante, di porre sotto tutela l'autorità principesca. Non sarà d'altronde questo un avvenimento isolato nella storia del Principato beneventano, dal momento che ancora nel 1041, sempre secondo quando riportato dagli Annales Beneventani, "fuit […] coniuratio secundo" (p. 135).
Nel 1016 il fratello di L., Pandolfo (IV), venne associato alla guida del Principato di Capua dal cugino Pandolfo (II), figlio di Landolfo (V) di Sant'Agata.
Nel 1022 l'esercito tedesco di Enrico II raggiunse l'Italia meridionale diviso in tre corpi, seguendo direttrici diverse. L'imperatore, a capo della parte più cospicua delle truppe, scese lungo l'Adriatico ed entrò a Benevento, dove venne accolto con grandi onori da L. e dal figlio Pandolfo (III). I due principi longobardi furono così risparmiati e la capitale divenne sede delle milizie imperiali, che qui si riunirono con gli altri due corpi dell'esercito guidati rispettivamente dall'arcivescovo di Colonia Pilgrim e dal patriarca di Aquileia Poppone.
Diversa fu invece la sorte riservata ai due fratelli di L.: Pandolfo (IV) fu imprigionato ed esiliato in Germania, sostituito alla guida del Principato di Capua da Pandolfo di Teano; Atenolfo, che dal 1011 era abate di Montecassino, tentò la fuga in nave verso Costantinopoli ma fece naufragio e morì.
Dopo tale data non si hanno più notizie dirette di L., se non quella della morte nel settembre 1033, dopo 47 anni di regno.
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