LANDOLFO
Principe di Capua e Benevento, secondo di questo nome, regnò insieme col padre Landolfo (I) e con il fratello Atenolfo (III) a partire dal 939. Risale a una data sicuramente anteriore la nascita del figlio primogenito di L., quel Pandolfo (I) detto Capodiferro che fu il più illustre esponente della dinastia capuana e che venne associato al trono paterno fin dal 943. L. ebbe altri quattro figli: Giovanni, futuro arcivescovo di Capua dal 966; Landolfo (III), associato al padre e al fratello dal 959; Romualdo, cresciuto alla corte di Costantinopoli, e Gemma. Alla morte di Landolfo (I), nel 943, nell'arco di pochi mesi L. conquistò il potere assoluto sul Principato grazie a una doppia espulsione: il fratello e collega Atenolfo (III) fu allontanato da Benevento e il cugino Landolfo, figlio di Atenolfo (II), da Capua. I due esuli spodestati, seguiti dagli uomini rimasti loro fedeli, trovarono rifugio presso il principe Guaimario (II) di Salerno, cui erano legati rispettivamente dalla parentela di genero e di cognato. Le scelte politiche di L. nei primi anni di governo sembrano ispirate al progetto di riunire l'intero dominio longobardo. Associatosi al potere Pandolfo (I), L. adottò una politica di deciso distacco da Costantinopoli, come è testimoniato anche dall'uso di datare i diplomi solo sulla base dei propri anni di governo. Il disegno di riconquista della Langobardia minor naufragò in pochi anni. Nel 946, alla morte del principe Guaimario (II) di Salerno, L. decise di allearsi con il duca di Napoli per spodestare il giovane erede Gisulfo (I). La congiura non ebbe esito positivo e l'esercito capeggiato da L. fu sconfitto presso il passo di Cava, grazie anche all'intervento del duca Mastalo di Amalfi, alleato dei Salernitani. Dopo questa data L. cambiò decisamente politica e strinse un'alleanza offensiva e difensiva con Gisulfo (I) ai danni del suo alleato di un tempo, il duca di Napoli. I due principi longobardi devastarono le campagne napoletane, assediarono la ribelle Nola e la rasero al suolo.
All'azione militare seguì un breve periodo di pace, già interrotto nel 950 dalla richiesta di aiuto dell'abate Aligerno di Montecassino. L. e Gisulfo furono chiamati a intervenire in favore dei monaci cassinesi, le cui terre erano state invase dal gastaldo di Aquino, Atenolfo Megalu. Ancora una volta l'alleanza tra i due principi portò a una rapida vittoria, che consentì la ricostituzione del patrimonio fondiario cassinese e l'esilio del gastaldo di Aquino nel Ducato di Gaeta. Risale ai primi anni di governo di L. l'abbandono da parte dei monaci cassinesi della città di Capua e il loro rientro nell'antica sede di Montecassino. Si palesava in questo modo l'ormai diffusa esigenza di riforma monastica e di allontanamento dalle ingerenze del potere laicale, ispirata a quegli ideali cluniacensi che si andavano allora rapidamente diffondendo.
Il forte legame di alleanza fra Salerno e L. è anche testimoniato, nell'ottobre 953, dall'emissione da parte di Gisulfo (I) di un diploma a favore del vescovo Giovanni di Benevento. Negli stessi anni L. riprese la politica antibizantina, appoggiando attivamente le nuove ribellioni pugliesi. Pare anzi che egli fosse tra i principali fautori della sommossa, che trovava terreno fertile nell'insicurezza generale provocata dalla ripresa di incursioni saracene nella vicina Calabria. Che L. fosse tra gli organizzatori delle rivolte pugliesi è indirettamente provato dal fatto che i Bizantini riportarono l'ordine nei loro domini italiani attaccando non solo le città insorte, ma anche quelle di Landolfo. A partire dal 955 il nome del basileus ricomparve regolarmente nei diplomi di Capua e Benevento e L. tornò all'obbedienza. L'anno successivo, in occasione della spedizione in Italia del patrizio Mariano Argiro, anche Gisulfo (I) di Salerno riprese il titolo di patrizio, ma bastò che lo stratega greco lasciasse l'Italia perché i due principi longobardi tornassero all'indipendenza. Nel 959 L. associò a sé e al figlio primogenito Pandolfo (I) l'altro suo figlio Landolfo (III) e insieme con loro governò fino alla morte, sopraggiunta nel maggio 961.
I diplomi di L. pervenutici testimoniano la continuità della politica paterna di favore e protezione nei confronti dell'abbazia di Montecassino. Il principe confermò ai monaci i privilegi e i beni concessi dai suoi predecessori, arricchendoli ulteriormente di nuove donazioni. Fra queste però non comparve mai il monastero di S. Sofia di Benevento, nonostante le reiterate richieste cassinesi. Risale infatti proprio al principato di L. l'inizio dell'annosa questione relativa al possesso del ricco cenobio: nel 945, a seguito di una causa portata davanti a L. nel suo palazzo di Benevento, S. Sofia vide riconosciuta formalmente la sua indipendenza da Montecassino, motivata dal fatto che l'abbazia era stata posta fin dalla sua fondazione direttamente sotto la giurisdizione del principe di Benevento.
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