LANDOLFO
Primo di questo nome, principe dei Longobardi del Principato unito di Capua e Benevento, nacque da Atenolfo (I) - nipote di quel Landolfo il Vecchio che fu il capostipite della dinastia dei gastaldi e conti di Capua - e da Sichelgaita, discendente della famiglia dei duchi di Gaeta. Nel 901, probabilmente prima del 12 gennaio, Atenolfo lo associò al Principato e inaugurò la prassi della coreggenza, cui da quel momento si attennero fedelmente i suoi discendenti.
Questa pratica, diffusasi a partire dalla tarda età imperiale e ancora in vigore nella parte orientale dell'Impero, permise ai discendenti di Atenolfo di mantenere il controllo sul trono di Capua e Benevento per quasi due secoli, eliminando i rischi di dispersione del potere, derivanti dalle lotte intestine per la successione.
I primi anni di governo di L. trascorsero all'ombra della figura paterna. Fu un periodo caratterizzato dall'alternanza di scontri e riappacificazioni con i vicini Bizantini di Puglia e Calabria, secondo uno schema di relazioni fra i due poteri confinanti che si ripeterà ciclicamente fino alla definitiva scomparsa del Principato longobardo. È proprio in occasione di uno di questi fugaci momenti di avvicinamento fra Impero e Longobardi che per la prima volta L. è ricordato dalle fonti come protagonista degli avvenimenti politici: nel 909 fu inviato dal padre a Costantinopoli per trattare con l'imperatore Leone VI il Saggio un'alleanza contro i Saraceni della colonia del Garigliano. Già nel 903 i sovrani longobardi avevano, in realtà, tentato di debellare autonomamente il pericolo arabo organizzando una piccola lega con Amalfitani e Napoletani, ma l'impresa si era rivelata un grave insuccesso. In occasione del viaggio a Costantinopoli L. fu insignito insieme con il fratello Atenolfo (II), rimasto in Italia, dei titoli di antipatos e patrikios, a testimonianza dell'avvenuto inserimento ufficiale dei dinasti capuani nella gerarchia bizantina. Costretto a rientrare in Italia per l'improvvisa morte del padre, nel giugno 910, a partire da tale data L. assunse il pieno controllo del Principato e associò al potere il fratello minore Atenolfo (II). Negli anni successivi L. continuò a dedicarsi all'organizzazione di una coalizione antisaracena: il 2 luglio 911 firmò un trattato di alleanza con il duca di Napoli Gregorio (IV) e quattro anni dopo inviò a Costantinopoli l'abate Giovanni di Montecassino, per sollecitare l'invio dei promessi aiuti militari.
Nel 914 i monaci cassinesi si erano trasferiti da Teano a Capua, dove rimasero sotto la tutela dei principi longobardi fino al 950. Dalla cronaca dell'abbazia risulta che lo stesso Giovanni, nonostante prima dell'elezione ad abate fosse arcidiacono della cattedrale di Capua e non monaco, fu imposto alla guida del cenobio dai due fratelli L. e Atenolfo (II), che in tal modo rafforzarono il loro controllo sul ricco monastero. Dai principi capuani Montecassino ottenne ampi privilegi e reiterate conferme di concessioni e donazioni avute dai predecessori, tra cui, nel 943, la conferma della donazione del monastero di S. Sofia di Benevento, fatta risalire al suo fondatore Arechi, nel 774.
La necessità di rafforzare le recenti alleanze con i vicini Stati dell'Italia meridionale portò L. a promuovere strategici matrimoni politici: L. sposò Gemma, figlia di Atanasio (II) vescovo duca di Napoli, mentre sua nipote Gaitelgrima, figlia di Atenolfo (II), sposò il principe di Salerno Guaimario (II), che a sua volta diede in sposa la figlia di primo letto Rothilde al figlio di L., Atenolfo (III).
Nella primavera 915, dopo oltre cinque anni dalla prima ambasciata di L. a Costantinopoli, decollò la coalizione antisaracena. Sotto la guida del pontefice Giovanni X si compattò un'imponente lega cristiana, formata dalla flotta bizantina dello stratega Nicola Picingli e dalle truppe di terra condotte da Alberico di Spoleto, da L. e da Guaimario (II) di Salerno. In agosto un attacco concentrico alla colonia del Garigliano eliminò l'ultima roccaforte musulmana del litorale tirrenico, dando nuovo prestigio alla potenza bizantina in Italia.
Il nuovo equilibrio politico rese ancora più difficili le relazioni fra Longobardi e Impero d'Oriente: la parte beneventana del Principato confinava infatti per un lungo tratto con il Tema bizantino, costituito da territori un tempo appartenuti allo Stato beneventano. Inoltre i Greci controllavano tutte le città costiere dell'Adriatico, impedendo così alla vicina capitale longobarda di partecipare ai fiorenti traffici commerciali con l'Oriente.
L'alternanza di scontri e riavvicinamenti fra i due poteri è indirettamente testimoniata dall'uso di datare i documenti capuani e beneventani ora secondo gli anni di governo degli imperatori bizantini, ora secondo quelli delle autorità locali. Altro chiaro indizio dell'accettazione o meno del rapporto di sudditanza all'imperatore è dato dall'uso o dall'assenza nei documenti dei titoli bizantini riferiti ai principi longobardi. Si tratta di elementi che riflettono gli equilibri politici, ma sono da interpretarsi con cautela, anche in considerazione dell'esistenza di tradizioni notarili e usi cancellereschi che sicuramente rallentarono i mutamenti. L'opposizione longobarda ai Bizantini seguiva uno schema piuttosto ripetitivo: approfittando del clima di insicurezza e scontento popolare diffuso nelle regioni bizantine di Puglia e Calabria, a causa della ripresa delle incursioni arabe dalla Sicilia e degli aggravi fiscali, L. interveniva appoggiando le insurrezioni locali e riprendendo possesso di territori che fino a pochi anni prima facevano effettivamente parte dello Stato beneventano. Ogni volta, però, che Costantinopoli inviava nuove truppe a riportare l'ordine in Italia, L. abbandonava rapidamente le regioni greche e riconosceva la supremazia bizantina.
Che L. aspirasse ad avere più potere e indipendenza, ma nel quadro della formale sottomissione a Bisanzio, è sottolineato dal fatto che quando nel 921 egli intervenne nella rivolta pugliese uccidendo ad Ascoli lo stratega Ursileone, non pretese di sostituirsi all'imperatore greco, ma anzi chiese, con la mediazione del patriarca di Costantinopoli Nicola il Mistico, di essere nominato stratega di "Langobardia" al posto dell'ucciso. Per provare la propria buona fede inviò a Costantinopoli in ostaggio il proprio figlio secondogenito e si ritirò a Capua. L'accordo fallì nonostante L. avesse anche l'appoggio delle popolazioni pugliesi, dal momento che era troppo rischioso per l'imperatore greco affidare il governo di un tema a un principe locale.
Nel 929 L. invase nuovamente la Puglia e la Calabria settentrionale insieme con il fratello Atenolfo (II), con il principe di Salerno Guaimario (II) e con il marchese di Spoleto Teobaldo. La ribellione durò questa volta più di cinque anni grazie anche alle difficoltà interne in cui versava l'Impero bizantino, incapace di organizzare una spedizione in grado di riportare l'ordine in Italia. Nel 934 il patrizio Cosma di Tessalonica, a capo di truppe esigue ma selezionate, fu mandato a trattare con L., con il quale aveva avuto contatti in precedenza. Ma la definitiva vittoria bizantina arrivò solo l'anno dopo, quando il re d'Italia Ugo di Provenza, convinto dai ricchi doni offertigli dall'imperatore, appoggiò la causa greca e riportò la pace nei territori occupati. Negli anni successivi i principi longobardi riconobbero una sostanziale dipendenza da Bisanzio, anche se si ebbero ancora alcuni scontri nel 936 a Siponto e nel 940 a Matera.
Quando L. morì a Benevento, il 10 apr. 943, portava ancora il titolo greco di antipatos, chiaro segnale della formale sottomissione all'imperatore.
Gli succedettero al trono i figli Atenolfo (III) e Landolfo (II), associati al potere rispettivamente dal 933 e dal 939.
Fonti e Bibl.: Chronica monasterii Casinensis, a cura di H. Hoffmann, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XXXIV, Hannoverae 1980, pp. 130, 133-139, 143; Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, II, a cura di V. Federici, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LIX, Roma 1925, pp. 6 s., 32-44, 61; Gli "Annales Beneventani", a cura di O. Bertolini, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo e Arch. Muratoriano, XLII (1923), pp. 119-121, 161; O. Bertolini, I documenti trascritti nel "Liber preceptorum Beneventani monasterii S. Sophiae", in Miscellanea in onore di Michelangelo Schipa, Napoli 1925, pp. 28 s.; N. Cilento, La cronaca dei conti e dei principi longobardi di Capua dei codici Cassinese 175 e Cavense 4 (815-1000), in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo e Arch. Muratoriano, LXIX (1957), pp. 3, 28 s., 49, 53-56 (si rimanda inoltre, per un inquadramento storico-critico, alle pp. 8 s., 54 dell'opera dell'erudito C. Pellegrino, Historia principum Langobardorum quae continet antiqua aliquot opuscula de rebus Langobardorum Beneventanae olim Provinciae, Neapoli 1643, e all'opera del canonico F.M. Pratilli, Historia principum Langobardorum, Neapoli 1749-54, che riprese la silloge di Pellegrino inserendovi numerosi falsi, poi entrati nelle successive edizioni di fonti capuane); Nikolaos Mystikos, Letters, a cura di R.J.H. Jenkins - L.G. Westerink, in Corpus fontium historiae Byzantinae, VI, Washington 1973, pp. 338-342; Chronicon Sanctae Sophiae (cod. Vat. lat. 4939), a cura di J.M. Martin, Roma 2000, pp. 52-54, 72, 94-99, 167, 185, 221-225, 275, 288, 406-408, 478, 552-556, 591; E. Gattola, Historia abbatiae Cassinensis, Venetiis 1733, pp. 52 s., 105 s.; Id., Ad historiam abbatiae Cassinensis accessiones, I, ibid. 1734, pp. 45-47, 52; O. Rinaldo, Memorie istoriche della fedelissima città di Capua, Napoli 1753-55, II, pp. 4, 9; A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli della Mezzana Età, V, Napoli 1800, pp. 98-100, 104, 135, 140, 143-145, 149, 155, 164 s., 169, 172, 181, 186, 191 s., 196, 208 s., 217-219, 234, 243, 248, 254, 263, 267 s., 281-284, 289, 333; VI, ibid. 1801, p. 23; B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia, I, Napoli 1881, pp. 107 s., 110; K. Voigt, Beiträge zur Diplomatik der langobardischen Fürsten von Benevent, Capua und Salerno (seit 774), Göttingen 1902, pp. 3, 7, 21-23, 40, 44, 66; R. Poupardin, Étude sur les institutions politiques et administratives des Principautés lombardes de l'Italie méridionale (IX-XI siècles), Paris 1907, pp. 91-98; G. Gay, L'Italia meridionale e l'Impero bizantino. Dall'avvento di Basilio I alla resa di Bari ai Normanni (867-1071), Firenze 1917, pp. 143, 152, 159, 189-197, 214 s., 220-223, 231, 277, 332 s.; M. Schipa, Il Mezzogiorno d'Italia anteriormente alla monarchia, Napoli 1923, pp. 105-108; A. Gallo, I diplomi dei principi longobardi di Benevento, di Capua e di Salerno nella tradizione cassinese, in Bull. dell'Istituto stor. italiano per il Medio Evo e Arch. Muratoriano, LII (1937), pp. 1, 20, 23, 41, 64-68; N. Cilento, Le origini della signoria capuana nella Longobardia minore, Roma 1966, pp. 36, 71, 157, 177, 183; F. Hirsch - M. Schipa, La Longobardia meridionale (570-1077), a cura di N. Acocella, Roma 1968, pp. 27, 155-159; V. von Falkenhausen, La dominazione bizantina nell'Italia meridionale dal IX all'XI secolo, Bari 1978, pp. 34-39, 45, 81, 131 s.; Id., I Longobardi meridionali, in Storia d'Italia (UTET), III, Torino 1983, pp. 10, 117, 220, 275-277; I. Di Resta, Il Principato di Capua, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso - R. Romeo, II, 1, Napoli 1988, p. 168; S. Gasparri, Il Ducato e il Principato di Benevento, ibid., pp. 131-133; H. Taviani Carozzi, La Principauté lombarde de Salerne, Rome 1991, p. 367; F. Bartoloni, I diplomi dei principi longobardi di Benevento, di Capua e di Salerno nella tradizione beneventana, in Id., Scritti, a cura di V. De Donato - A. Pratesi, Spoleto 1995, p. 301; G.A. Loud, Montecassino and Benevento in the Middle Ages. Essays in South Italian Church history, Aldershot 2000, I, p. 7; II, pp. 34-36; VIII, p. 278.