LANDOLFO Iuniore (Landolfo di S. Paolo)
Nacque intorno al 1077, perché dichiara di essere "sexagenariae aetatis" nel 1136. Le notizie sulla sua vita si ricavano esclusivamente dall'opera che scrisse, una cronaca a sfondo autobiografico indicata in genere con il titolo (probabilmente non originario) Historia Mediolanensis. Fu chiamato L. Iuniore per distinguerlo dal presunto omonimo di qualche decennio a lui precedente (Landolfo Seniore).
Era nipote del prete Liprando, rappresentante negli ultimi decenni dell'XI secolo della fazione della Chiesa milanese che, da iniziali posizioni riformistiche e filogregoriane espresse nel movimento detto della pataria, si era schierata poi per l'intransigente difesa delle tradizioni e delle prerogative ambrosiane contro i condizionamenti che arrivavano tanto da Roma quanto dal governo comunale cittadino; la figura - e in seguito la memoria - dello zio, che fu suo maestro e mentore, condizionarono profondamente scelte e azioni di L. e lo esposero all'ostilità dei molti nemici che quello si era procurato nelle sue lunghe e appassionate battaglie.
L. ebbe la dignità ecclesiastica di acolitus, il più elevato fra gli ordini minori del clero milanese, che raggiunse negli ultimi anni dell'XI secolo e mantenne poi per tutta la vita, senza poter mai conseguire gli ordini superiori; sua sede principale fu fino al 1112-13 la chiesa di S. Paolo in Compito (oggi scomparsa; ne rimane a Milano il toponimo nell'attuale via S. Paolo), dove officiava Liprando, cui si aggiunse un'altra chiesa dedicata alla Trinità, che fondò con lo zio in una località non identificata detta "Pons Guinizeli".
Intorno al 1095-96 studiò presso il maestro Andrea Dalvolto, prete della chiesa di S. Tecla; fra i suoi compagni vi fu Nazario Muricola, che divenne poi personaggio di spicco della Chiesa milanese e acerrimo avversario di Landolfo. Probabilmente nel 1102 si recò a Orléans, dove frequentò le lezioni dei maestri Alfredo e Iacopo.
È possibile che fra i motivi della partenza vi fosse quello di sottrarsi all'ostilità che poteva attirargli l'ingombrante tutela di Liprando, impegnato ad accusare apertamente di simonia il nuovo arcivescovo di Milano, Grosolano (o Grossolano), già vescovo di Savona, eletto quell'anno con il sostegno papale. A Orléans L. si trovava nel 1103, e non fu perciò presente al celebre giudizio di Dio con il quale Liprando, passando indenne fra due alte cataste di legna infuocata, avrebbe dimostrato la colpevolezza dell'arcivescovo; questo episodio, la cui storicità è sospetta, è conosciuto dal racconto che ne fa L., certo sulla base di informazioni provenienti dallo zio e dai suoi seguaci.
Dopo un periodo trascorso a Milano, L. tornò nuovamente in Francia nel 1106, dove rimase un anno e mezzo. In questo secondo viaggio egli fu compagno di Anselmo della Pusterla e Olrico da Corte, membri dell'alta nobiltà milanese ed esponenti del partito ecclesiastico ostile a Grosolano, per i quali svolse probabilmente mansioni di segretario; con essi seguì lezioni a Tours presso un maestro di nome Alfredo (forse quello stesso di cui era già stato allievo a Orléans) e a Parigi presso Guglielmo di Champeaux, uno dei più grandi pensatori dell'epoca.
Il fatto che all'incirca nello stesso periodo anche Liprando lasciasse Milano per la Valtellina fa pensare, se non a un vero e proprio esilio, almeno a un momento di crisi del partito ecclesiastico tradizionalista e a un rafforzamento del partito filoromano che si era probabilmente guadagnato il favore delle magistrature cittadine. Rientrato nel 1107, L. si preoccupò del ritorno a Milano di Liprando, vecchio e malato, cui andò incontro nel convento di Civate scortandolo poi fino in città; mentre lo zio tornava a insediarsi nella sua chiesa di S. Paolo, L. preferì procurarsi un alloggio indipendente.
Dopo lo scoppio della guerra fra Milano e Lodi, nella quale perse il fratello Antelmo, L. tornò ancora in Francia, probabilmente nel 1109, sempre insieme con Anselmo della Pusterla e Olrico da Corte; questa volta fu a Laon, dove seguì le lezioni dei maestri Anselmo e Rodolfo.
Che il nuovo viaggio avesse il carattere di un allontanamento forzoso e fosse suggerito dal governo cittadino, desideroso di assicurare coesione interna durante il conflitto, appare in questa caso trasparente ed è ammesso dalla stessa Historia.
Rientrato nel 1110, L. guardò con simpatia la discesa in Italia dell'imperatore Enrico V (1111) e con diffidenza la nomina di Olrico alla carica di arcipresbitero, che segnava l'abbandono da parte di questo delle posizioni tradizionaliste e il suo passaggio allo schieramento filocomunale. Alla fine del 1111, maturata la sostituzione di Grosolano, L. si oppose inutilmente all'elezione dell'arcivescovo Giordano da Clivio, sostenuto dal governo cittadino, esponendosi in prima persona come portavoce del partito tradizionalista, il cui più autorevole rappresentante era in quel momento - ancora insieme con Liprando - il primicerio Andrea, capofila del Collegio minore del clero milanese, quello dei decumani.
Giordano fu comunque eletto all'inizio del 1112; propose quindi a L. una conciliazione, che prevedeva - a quanto si capisce - la sua nomina a suddiacono e l'intervento episcopale per la cancellazione di un debito da lui precedentemente contratto; ma L., obbedendo alle indicazioni intransigenti di Liprando, che si opponeva a qualsiasi mediazione con un arcivescovo che riteneva illegittimo, rifiutò. Tale rifiuto provocò l'emarginazione di L., destinata ad aggravarsi in seguito alla morte di Liprando (gennaio 1113) e, non molto tempo dopo, del primicerio Andrea. L., privo di un ordine ecclesiastico superiore, finì per essere cacciato dalla chiesa di S. Paolo, sottrattagli a opera di Nazario Muricola, ora fra i capi della fazione ecclesiastica filocomunale e nuovo primicerio dei decumani in sostituzione di Andrea; perse inoltre i benefici ecclesiastici di cui disponeva - si può pensare si trattasse di quelli derivanti dall'appartenenza al Collegio dei decumani, a cui era stato probabilmente ammesso per iniziativa di Andrea e dal quale sarà stato escluso dopo la morte di questo - e da quel momento dovette vivere del lavoro di scrivano, maestro e segretario, che svolse anche per conto del Comune come consulum epistolarum dictator.
L. tentò per oltre vent'anni di recuperare la chiesa di S. Paolo, della quale si sentiva ingiustamente privato, senza mai riuscirvi. Nulla poterono varie richieste avanzate all'arcivescovo Giordano, che - a detta di L. - mostrò sempre verso di lui un atteggiamento ambiguo e ostile. Secondo l'Historia, le vaghe promesse di reintegro formulate da Giordano in occasione del sinodo romano del 1116, quando egli, per ottenere la conferma della sua elezione episcopale, aveva bisogno di ogni appoggio, non furono poi mantenute; a L. venne pretestuosamente impedito di avanzare le sue istanze in un arengo arcivescovile del 1117; una lettera commendatizia che L. aveva ottenuto da papa Gelasio II nel 1118 venne ignorata da Giordano; e quando nel 1120 egli riuscì infine a perorare la sua causa presso il nuovo papa Callisto II ottenne comprensione, ma non un preciso intervento nei confronti di Giordano.
Quando questi morì nell'ottobre 1120 e fu nominato a succedergli Olrico da Corte, suo antico compagno di viaggi e di istruzione, L. ottenne il reintegro in taluni benefici ecclesiastici - si può pensare anche in questo caso a una riammissione al clero decumano -, ma non recuperò la chiesa di S. Paolo e rimase sostanzialmente emarginato. Deluso dal comportamento del nuovo arcivescovo, nel quale aveva riposto grandi speranze in virtù della passata amicizia, egli tentò nuovamente di perorare la sua causa presso Callisto II in occasione di un sinodo lateranense tenutosi nel 1123 o nel 1124, ma non vi riuscì a causa dello scioglimento anticipato del consesso. Pensò poi di chiedere appoggio all'imperatore Enrico V e a tal fine si aggregò nel 1125 a un'ambasceria milanese che si recava in Germania; ma anche questo tentativo fallì perché la missione fu raggiunta a Trento dalla notizia della morte del sovrano e dovette rientrare.
La situazione di L. migliorò quando nel 1126 venne eletto arcivescovo l'altro suo compagno di studi, Anselmo della Pusterla; ma neppure in questa circostanza egli poté riprendere possesso della chiesa di S. Paolo. Anselmo nominò comunque L. capo della cappella arcivescovile, e se ne servì come segretario e consigliere. Nel 1128, in particolare, L. fu incaricato dall'arcivescovo, prudentemente attestato fuori città, di accertare la posizione del Comune nella controversia che opponeva i contendenti al trono imperiale, Lotario di Suplimburgo e Corrado di Svevia; la scelta cadde sul secondo, che venne così incoronato da Anselmo prima a Monza, poi a Milano, e L. in seguito rivendicò sempre di avere avuto parte importante nell'evento. Allo scoppio di nuovi contrasti nella Chiesa milanese in seguito all'appoggio dato da Anselmo all'elezione papale di Anacleto II contro Innocenzo II (1130), L. si mantenne fedele all'arcivescovo; nel 1135 accolse comunque con favore l'opera di rappacificazione condotta da Bernardo di Chiaravalle, da lui assai ammirato, che portò al pieno riconoscimento dell'autorità di Innocenzo II da parte della Chiesa milanese. In seguito all'uscita di scena di Anselmo - deposto nel 1135 e ucciso a Roma nell'agosto 1136 - e alla nomina ad arcivescovo di Robaldo di Alba, da lui guardato con ostilità, L. deve essere stato nuovamente relegato in una posizione di emarginazione. Si può spiegare così perché nel novembre 1136 egli tentasse ancora una volta di recuperare la chiesa di S. Paolo rivolgendosi a Lotario II di Suplimburgo, rimasto dopo il ritiro di Corrado unico imperatore, che teneva corte a Roncaglia. Anche questa volta il tentativo fallì: il sovrano rimandò ogni decisione alle autorità comunali milanesi, che si pronunciarono negativamente, secondo L. per le trame del console Arnaldo di Rho, appartenente a una famiglia tradizionalmente ostile alle posizioni a suo tempo rappresentate da Liprando.
Da questo momento di L. non si hanno più notizie. Gli ultimi eventi narrati nell'Historia Mediolanensis - la quale, peraltro, appare completa - riguardano la battaglia di Genivolta contro i Cremonesi (inizio 1137) e la fuga, avvenuta qualche mese dopo, del vescovo di Cremona Oberto di Dovara, che era stato fatto prigioniero dai Milanesi in tale circostanza; il terminus post quem per la morte di L. è quindi l'estate di quell'anno.
Come le notizie sulla vita di L. sono ricavate dalla sua Historia, così il suo nome rimane indissolubilmente legato a essa, che è uno dei documenti di maggiore interesse per la conoscenza delle vicende della Chiesa e della società milanese fra XI e XII secolo. Il racconto abbraccia lo spazio di una quarantina d'anni, della contrastata elezione arcivescovile di Anselmo da Bovisio (1097) fino all'epoca di Robaldo. L. interpreta questo periodo come segnato da una crisi apertasi con l'intervento di Ermanno da Gavardo, fiduciario papale e vescovo eletto di Brescia, a favore dell'elezione di Anselmo, un intervento considerato dal cronista una grave ingerenza nelle prerogative della Chiesa milanese, risoltasi grazie all'autorevole iniziativa di Bernardo di Chiaravalle che aveva saputo riconciliare le fazioni ecclesiastiche e avviare su nuove basi i rapporti fra Milano e il Papato. In questa chiave le vicende esposte presentano forte compattezza e la narrazione ha una precisa circolarità. L'arco di tempo sul quale si estende l'Historia e il teatro in cui le vicende hanno luogo coincidono con quelli della vita di Landolfo. Non sorprende perciò che L. sia narratore appassionato e di parte, vivace nel raccontare e pronto a esprimere giudizi. All'interno della narrazione le vicende generali della Chiesa milanese si intrecciano con quelle personali di L.; i torti che egli sente di avere subito assumono carattere probatorio della avvertita decadenza dell'episcopato milanese, incapace di salvaguardare il suo antico splendore e la sua gloriosa autonomia, e i giudizi che vengono formulati sugli ecclesiastici del tempo dipendono dall'atteggiamento che essi ebbero nei confronti dello scrittore. Come fonte storica L. è, a dispetto della sua trasparente e talvolta dichiarata parzialità, di importanza fondamentale, non soltanto perché per molti degli eventi narrati la sua testimonianza è diretta e spesso unica, ma soprattutto perché egli mette in scena - senza comprenderlo fino in fondo e rimanendo anzi turbato dalla progressiva frantumazione dell'ordine tradizionale - il momento cruciale della nascita del Comune milanese, lentamente costruito con una progressiva differenziazione dal potere arcivescovile che aveva governato la città fino alla metà dell'XI secolo, ma anche con la ricerca, che si rivelerà proficua, di un'armoniosa convivenza con esso. Da un punto di vista letterario, L. appare forse stilisticamente più sciatto di quanto ci si aspetterebbe dal suo percorso formativo presso alcuni dei più grandi maestri dell'epoca; egli padroneggia comunque i principali strumenti retorici e ha discrete conoscenze in materia canonistica.
L'Historia di L. fu ben nota agli scrittori di cose milanesi del Due e del Trecento (Bonvesin da La Riva, Goffredo da Bussero, Benzo d'Alessandria; meno chiaro è se sia stata letta da Galvano Fiamma), ma di essa si conosce un solo manoscritto medievale, peraltro assai tardo (inizio del sec. XV), l'attuale ms. H.89.inf. della Biblioteca Ambrosiana di Milano. In esso l'opera di L. si trova aggiunta a un codice preesistente comprendente le altre due grandi cronache milanesi della parte centrale del Medioevo, il Liber gestorum recentium di Arnolfo e l'Historia del cosiddetto Landolfo Seniore, e a una Passio del diacono patarino Arialdo, ucciso nel 1066 durante le lotte tra le fazioni ecclesiastiche; quest'ultimo testo era stato in passato erroneamente attribuito allo stesso Landolfo Iuniore. Nel codice Ambrosiano l'opera di L. porta il nome di Liber hystoriarum Mediolanensis urbis Landulfi de S. Paulo; da altri scrittori medievali milanesi essa è definita Copia Landulfi, probabilmente sulla base della formula con cui l'opera è designata nelle ultime righe del manoscritto ("in hac mea copia"). Il fatto che con il nome di Copia Landulfi venga designato in altri casi il Liber gestorum recentium di Arnolfo - così come, specularmente, con il nome di Copia Arnulfi è talvolta designata l'opera di L. - fa pensare che tale titolo sia stato utilizzato come collettivo, e comprendesse le tre opere raccolte nel codice Ambrosiano a formare un'unità tematica sulla storia della città di Milano e della sua Chiesa in particolare.
L'Historia venne riscoperta dalla storiografia erudita del Sei e del Settecento; le varie copie dell'opera che risalgono a questo periodo (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., N.296 sup.; R.119 sup.; Trotti, 168; ibid., Biblioteca Trivulziana, 348) sembrano dipendere tutte dall'Ambrosiano H.89 inf., che dovrà essere perciò considerato, ai fini della ricostruzione del testo, come codex unicus. Anche a prescindere dalla sua data recente - quasi tre secoli di distanza dal momento della stesura dell'opera -, tale codice è comunque un testimone di qualità modesta, in quanto viziato da numerose lacune e frequenti errori di copiatura.
L'Historia di L. venne pubblicata per la prima volta da G.A. Sassi su incarico di L.A. Muratori, in Rer. Ital. Script., V, Mediolani 1724, coll. 429-520; le edizioni più recenti, condotte con metodologia critica, sono quelle di L. Bethmann e Ph. Jaffé, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XX, Hannoverae 1868, pp. 17-49, tuttora considerata canonica, e quella di C. Castiglioni, in Rer. Ital. Script., 2ª ed.,V, 3, Bologna 1934, viziata da vari errori che la rendono di minore affidabilità.
Fonti e Bibl.: P. Zerbi, La Chiesa ambrosiana di fronte alla Chiesa romana dal 1120 al1135, in Studi medievali, s. 3, IV (1963), pp. 136-216; R. Rossini, Note alla Historia Mediolanensisdi L. I., in Raccolta di studi in memoria di Giovanni Soranzo, Milano 1968, pp. 411-480; G. Rossetti, Contributo allo studio dell'origine e della diffusione dei santi in territorio milanese, in Raccolta di studi in memoria di Sergio Mochi Onory, Milano 1972, pp. 597 s.; Id., Origine sociale e formazione dei vescovi del Regnum Italiae nei secoli XI e XII, in Le istituzioni ecclesiastiche nella "societas Christiana" dei secoli XI e XII, Milano 1977, pp. 57-88; G. Tabacco, Vescovo, città e Res publicacomunale, in Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Torino 1979, p. 419; P. Zerbi, La rinascita monastica nella bassa milanese dopo l'anno 1000, in Ricerche storiche sulla Chiesa ambrosiana, IX, Milano 1980, pp. 55-81; O. Capitani, Da Landolfo Seniore a L. I.: momenti di un processo di crisi, in Atti dell'XI Congresso internazionale di studi sull'alto Medioevo, Milano… 1987, Spoleto 1989, II, pp. 589-622; B. Sasse Tateo, Tradition und Pragmatik in Bonvesins "De magnalibus Mediolani", Frankfurt a.M. 1989, pp. 79-83; P. Tomea, Tradizione apostolica e coscienza cittadina a Milano nel Medioevo. La leggenda di s. Barnaba, Milano 1993, pp. 385-388, n. 74; J.W. Busch, Die mailänder Geschichtsschreibung zwischen Arnulf und Galvaneus Flamma, München 1997, pp. 38-50; G. Andenna, Autobiografia e storiografia nelle fonti lombarde tra XI e XIV sec., in L'autobiografia nel Medioevo. Atti del XXXIV Convegno storico internazionale, Todi… 1997, Spoleto 1998, pp. 252-260; Diz. della Chiesa ambrosiana, III, pp. 1654 s.; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, VII, p. 128; Storia di Milano, III, pp. 250-371.