MORICONI, Lando
MORICONI, Lando. – Nacque a Lucca da Dino di Lando forse nel 1342 se, come afferma l’erudito Giuseppe Vincenzo Baroni (Lucca, Biblioteca statale, ms., 1121, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi, c. 153v), aveva 28 anni nel 1370, quando ebbe l’incarico di segretario della Repubblica riscattatasi l’anno prima dal dominio pisano.
Il casato s’era inserito ai vertici del ceto dirigente tra la fine del XIII secolo e l’inizio del XIV, facendosi fautore della fazione popolare (significativo che i Moriconi non siano tra i «potentes et casastici» elencati nello statuto antimagnatizio del 1308). Rilevante sarebbe stato il ruolo di Datone di Nicolao (anziano nel 1309) che, attestato a capo di una compagnia commerciale nel secondo decennio del Trecento, avrebbe saputo godere del favore di Castruccio Castracani e successivamente di Uguccione della Faggiola; risiedeva nella contrada di S. Quirico all’Olivo, dove già dai primi decenni del Duecento si concentravano i possedimenti immobiliari dei Moriconi: quella era stata con tutta probabilità l’area dell’originario inurbamento e il nucleo di una serie progressiva di operazioni di compravendita che interessò, in tempi diversi, differenti rami della casata sino alla costituzione di un insediamento piuttosto compatto; partito da dimensioni probabilmente modeste alla fine del Duecento, il blocco dei Moriconi, pur andando nel tempo soggetto ad alcuni smembramenti e divisioni, nel secolo XIV divenne un esteso sistema di edifici ramificato nelle contrade di S. Pier Cigoli, S. Andrea, S. Quirico, nel braccio filiorum Altiberii; alcuni di essi raggiungevano notevoli dimensioni: una parte, comprendente la domus magna in cui risiedeva a metà del secolo il padre di Moriconi, si affacciava sulla corte detta appunto dei Moriconi; da quel blocco si dipartiva una rete di relazioni di vicinato che portavano spesso vincoli di natura affaristica e matrimoniale; attraverso quella rete il casato poté vantare, nell’ultimo quarto del Trecento, parentele con una domus potentissima come quella dei Guinigi (Lando di Rolando, nonno di Moriconi, aveva sposato Mantuccia di Lazzaro Guinigi), e allo stesso tempo con i Rapondi, che dei primi alla fine del secolo sarebbero stati fieri avversari accanto ai Forteguerra; la carriera politica di Moriconi è la dimostrazione di come sulla vicenda di un unico personaggio potessero giocare un ruolo decisivo gli attriti nati in seno alla fragilità di legami così delicati.
Il dominio esercitato da Pisa tra il 1342 e il 1369 avrebbe in seguito fornito l’occasione per l’affermazione di alcuni titolari di cariche, come l’anzianato, che raggiunsero ragguardevoli risultati nel commercio e nella finanza locale; tra questi spicca il nome del padre di Moriconi, mercante di merceria, che all’epoca del dominio pisano vide stimata la propria ricchezza personale in diverse migliaia di fiorini; testando nel 1362, espresse il desiderio di essere sepolto nella chiesa di S. Pier Cigoli; oltre a lasciti alle sorelle e a enti pii della città e della campagna, elargì doti alle figlie Tommasa e Chiara e alla moglie Gianella di Tommasino Rapondi, allora gestante e nominata usufruttuaria dei beni. Eredi universali furono Moriconi, primogenito di primo letto, e il fratello Rolenzo, nonché l’eventuale maschio nato da Gianella; in mancanza di essi sarebbe subentrato il nipote Dino detto Dinarello di Arboro; tra i tutori la moglie, Nicolao di Lazzaro Guinigi e lo stesso Moriconi, appena raggiunta l’età. Nel volgere di pochi anni i destinatari dell’eredità dovettero venir meno, tant’è che si innescarono diverse vertenze tra Moriconi e Dinarello sfociate nella divisione dei beni alla fine del 1372.
Moriconi si distinse prima dei trent’anni per una serie di incarichi istituzionali ricoperti in seno alla Corte dei mercanti, di cui figura console già nel 1370; fu impegnato come mercante di seta intorno al 1371, in una compagnia di modeste dimensioni che vedeva come soci Piero Brunelli e i fratelli, quindi in sodalizi di più vaste ambizioni con Lanfranco Franchi (1372), Bartolomeo e Iacopo Boccella (1381); nel 1387-88 era annoverato tra i consiglieri dell’ospedale della Misericordia, patronato dei mercanti, in alcune petizioni rivolte agli anziani (22 ottobre 1387; 14 febbraio 1388). Ma fu soprattutto presso il governo cittadino che svolse continuativamente mansioni di primo piano, prendendo parte ai consigli Generale e dei Trentasei e, assai giovane, agli organi direzionali dello Stato.
Fu anziano nei bimestri gennaio-febbraio 1369, luglio-agosto 1372; marzoaprile 1374, luglio-agosto 1376; gennaiofebbraio 1378, allorché rivestì anche la carica di gonfaloniere, maggio-giugno 1379, maggio-giugno 1381, luglio-agosto 1383, di nuovo gonfaloniere, marzo-aprile 1390, gennaio-febbraio 1392, quando fu gonfaloniere per l’ultima volta, poco prima di incorrere nelle sanzioni che gli furono comminate perché coinvolto nello scontro da cui uscì vittoriosa la fazione a lui avversa.
Sin dal 4 luglio 1370 era stato incluso in una balìa di 30 cittadini per la riforma del governo, e da allora fu chiamato a più riprese a far parte di speciali commissioni e balìe ristrette, create per ovviare a emergenze di varia natura subito dopo la libertà concessa da Pisa; molte delle sue responsabilità afferivano agli appalti e alle finanze comunali, come quella di camerarius mutui e dei proventi della farina e della gabella (14 giugno 1370), del vino, pane e olio delle Seimiglia (28 gennaio 1371); fu camerario straordinario per le spese di guerra (29 dicembre 1373); consigliere della dogana (21 gennaio 1376; 20 giugno, 23 dicembre 1380). Il suo nome figura spesso tra i prestatori al Comune in occasione di esborsi straordinari, come quando nel maggio del 1372 si trattò di versare 4000 fiorini al marchese d’Este; fu spesso incluso tra gli incaricati per la scelta del podestà; il 30 gennaio 1381 fu tra coloro che dovevano sostituire gli statutari, deceduti durante la peste, nel compito della riforma dello statuto dei mercanti; il Comune si avvalse inoltre di lui in occasione di trattative diplomatiche su questioni economiche, come nel novembre del 1381 allorché si trattò si stabilire patti con Genova, o nel maggio del 1382, quando erano in causa gli interessi dei fondaci lucchesi a Venezia, o ancora nel gennaio del 1385, di nuovo per divergenze con Genova.
In quegli anni Moriconi potenziava le basi dei suoi traffici, fino a costruire una solida rete che ne faceva uno dei mercanti più facoltosi della città. Nell’ottobre del 1373 fu incluso per la prima volta tra i Dodici conservatori della libertà, collegio ristretto cui spettavano le decisioni più delicate in seno al governo; avrebbe ricoperto altre volte quell’incarico. Il 20 maggio 1382 fu con Giusfredi Cenami e Dino Guinigi tra i cittadini che lamentarono l’iniquità della distribuzione delle cariche, soprattutto dei vicariati del contado.
La sua presenza in città fu continuativa fino almeno all’inizio degli anni Ottanta; i periodi di assenza furono brevi e talvolta dovuti a situazioni di particolare rischio, come in occasione delle ricorrenti epidemie.
Al 1383 risale la vicenda della cattura di Moriconi e di suo figlio Nicolao a opera del genovese Lucchese Spinola, che pretendeva da Lucca la restituzione di somme di cui si riteneva creditore. La detenzione, che almeno per un periodo ebbe luogo a Villafranca di Lunigiana, nel territorio di Gian Galeazzo Visconti, fu lunga, e il rilascio fu l’esito di un notevole impegno diplomatico e finanziario da parte del congiunto Dino, che in una petizione agli Anziani (4 dicembre 1383) rinunciò all’incarico di vicario di Montecarlo, conferitogli per i primi sei mesi dell’anno seguente, invocando gli inconvenienti provocati dalla detenzione del cugino; si adoperarono peraltro anche gli organi di governo della città. Moriconi dovette anticipare somme notevoli, di cui chiese il risarcimento al rientro in città al Consiglio dei dodici, il 18 giugno 1384. La sosta forzata nel territorio del ‘conte di Virtù’ gli dette tuttavia modo di intessere relazioni che sarebbero tornate buone quando, nel settembre del 1384, il governo dovette selezionare 12 cittadini «super conservanda amicitia domini comitis Virtutum ». Fu a Pavia, forse non continuativamente, ospite di Nicoletto Diversi tra il 1383 e il 1384; da Milano nominò procuratori per la locazione di una casa.
Fu uno dei primi commissari di palazzo voluti da Bartolomeo Forteguerra in sostituzione dei Dodici sulla libertà, il collegio che aveva visto decadere rapidamente il proprio prestigio dopo la morte di Francesco Guinigi, nel giugno del 1384: nominato il 10 gennaio 1385 per esercitare il mandato tra i primi 16 commissari, Moriconi appariva inequivocabilmente ascritto alla lista degli avversari della fazione guinigiana, che dopo la morte dell’anziano capo Francesco, attraversava momenti critici. Il 21 luglio 1389 si prestò comunque con Michele Guinigi a curare l’approvvigionamento del grano della città fino a 9000 fiorini. La sua cospicua posizione patrimoniale è testimoniata del resto anche dall’edificazione, tra il 1372 e il 1392, del prestigioso palazzo in pietra nell’attuale piazza degli Scalpellini.
Maturavano intanto in città le condizioni che avrebbero esacerbato il conflitto tra le due fazioni, mentre Moriconi era da tempo uno degli esponenti più compromessi nel fronte antiguinigiano: quando nell’agosto del 1390 si procedette alla nomina degli Anziani per il biennio, fece scalpore l’inserimento di Bartolomeo Forteguerra, uno degli uomini più in vista della fazione, nel novero tutt’altro che prestigioso degli spiccinati, di coloro cioè che, esclusi alla prima estrazione, potevano essere recuperati in un secondo momento al fine di ovviare alle assenze. Racconta il cronista Giovanni Sercambi, figura di spicco del fronte avversario – che a quell’episodio faceva risalire l’origine della discordia tra Guinigi, Rapondi e Forteguerra –, che Bartolomeo «soddusse molti ciptadini a sua voluntà, dolendosi che tal cosa li dovesse esser facta, non riguardando quello era ragione né quello fusse danno di Luccha» (Croniche, I, p. 259): tra i nomi elencati come principali traendoli dal nutrito seguito di Bartolomeo, c’è Moriconi. Abilmente manipolando, sempre secondo Sercambi, gli elettori del Consiglio generale, i Forteguerra inserirono in quell’assemblea ben 16 loro uomini, tra cui Moriconi, i quali, in una movimentata seduta, riuscirono a ottenere la riforma delle nomine. Giunta nel volgere di qualche mese la tensione ai massimi livelli, Moriconi fu gonfaloniere, nel bimestre gennaio-febbraio 1392, in una situazione così concitata che egli stesso si fece promotore di un tentativo di smorzare il conflitto «con fare a ciascuno giurare in sul crocifisso» (ibid., p. 270). Tuttavia, il 12 maggio si arrivò al confronto armato culminato nell’uccisione di Forteguerra Forteguerra e con l’affermazione dei Guinigi, che dovettero evitare il passaggio presso «le case de’ Moriconi, per le molte pietre che di quelle pioveano » (ibid., p. 277). Moriconi, forse in riguardo dell’antica parentela con i Guinigi, ebbe salva la vita grazie all’intervento di Lazzaro Guinigi, ma non poté evitare di essere escluso, con la sua discendenza diretta, dalla carica dell’Anzianato.
Da allora il risentimento di Moriconi, ma soprattutto la possibilità di sfruttare la cospicua rete di relazioni fuori dalla città, si tradusse nell’investimento all’estero di una notevole fortuna finanziaria, per giungere in breve tempo al definitivo allontanamento da Lucca. Giocarono un ruolo fondamentale i legami con Bonifacio IX, che lo investì del ruolo di tesoriere a Perugia e di governatore della Marca. Il pontefice gli assicurò inoltre un’importante protezione quando la crisi dei rapporti con Lucca portò al suo bando dell’agosto del 1395: Moriconi fu dichiarato nemico della città e colluso con il regime di Pietro Gambacorta, insieme al genero Carlo Ronghi e ad altri fuorusciti. Tuttavia, nonostante le lamentele degli anziani, ottenne l’assegnazione del lucroso beneficio di S. Iacopo di Altopascio per il figlio Guglielmo, sedicenne. Vacante la direzione dell’ospedale per la morte di Bartolomeo Rapondi, gli anziani, in accordo con il vescovo Nicolao Guinigi, ne caldeggiavano l’assegnazione a un esponente delle famiglie della fazione vincitrice nei moti del 1392. Quella nomina fu certamente un segno della grande benevolenza di Bonifacio IX verso Moriconi, che non desistette comunque dalla partecipazione a ogni azione volta a destabilizzare il governo lucchese. Si unì pertanto alle genti di Alberico da Barbiano, che al soldo di Pietro Gambacorta, signore di Pisa e alleato di Firenze, invasero nel 1396 il territorio lucchese.
Moriconi morì nel 1401 nel castello di Montalto, amareggiato, a detta di Sercambi, dall’avvento al potere di Paolo Guinigi nell’estate del 1400 e anche dal comportamento del genero: nientemeno che «il dimonio indusse messer Charlo Ronghi suo genero a tradire il dicto Lando e torlili la fortezza di Montalto con tucti suoi arnesi. Per la qual cosa il predicto Lando, spirato dal dimonio dell’inferno, di rabbia e di malanconia si morìo» (ibid., III, p.25). Aveva sposato Marchesetta di Guglielmo Rapondi, da cui ebbe, oltre ai maschi Nicolao e Guglielmo, le figlie Angela e Margherita, che appunto a Carlo Ronghi era andata sposa.
Diversa, anche se non molto meno prestigiosa a livello di rappresentanza presso il ceto dirigente, la carriera di Dino di Arboro. Costui non dovette abbracciare la carriera di mercante; fin dai primi anni Settanta fu tuttavia chiamato come Moriconi a far parte dei consigli ufficiali e delle balìe straordinarie; fu più volte vicario nel contado, soprattutto a Montecarlo. Continuativa fu la sua presenza in città, e solo in rare occasioni si assentò da Lucca. Fu anziano nei bimestri luglio-agosto 1373, marzo- aprile 1376, settembre-ottobre 1377, gennaio- febbraio 1379, gennaio-febbraio 1381, quando rivestì la carica di gonfaloniere, luglioagosto 1388, luglio-agosto 1390, luglio-agosto 1392, gennaio-febbraio 1395, luglio-agosto 1396, marzo-aprile 1398, luglio-agosto 1399. Mantenne una posizione di maggior equilibrio rispetto a Moriconi, e non si compromise nella lotta delle due fazioni: all’indomani dei fatti di sangue del maggio 1392 ricopriva la carica di anziano. La data della morte probabilmente non va collocata molto oltre la fine del secolo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Corte dei mercanti, 14, cc. 3r, 7v, 12r.; 82, c. 10r.; 83, cc. 3, 14; 84, c. 9v; Ibid., Deposito Tucci, pergamene (21 ottobre 1307; 1 aprile 1332; 11 agosto 1331; 1 aprile 1335; 24 aprile 1337; 30 giugno 1351; 28 aprile 1354; 28 agosto 1362; 7 ottobre 1366; 12-23 dicembre 1370; 9-24 dicembre 1372; 22 novembre 1379; 26 dicembre- 29 novembre 1384; 2 febbraio 1384; 12 agosto 1384); Ibid., Archivio de’ notari, 28 giugno 1421; Ibid., Archivio di Stato, Tarpea, 19 giugno 1383; 1° gennaio 1393; 11 agosto 1393; 1 settembre 1394; 8 settembre 1394; 9 settembre 1394; 19 settembre 1394; 25 settembre 1394; 7 ottobre 1394; 24 marzo 1396; 26 giugno 1397; Ibid., Certosa, 26 gennaio 1308; Ibid., Recuperate, 1 agosto 1426; Manoscritti, 126, c. 108r.; Consiglio generale, 1-12; 702, cc. 3, 11, 63, 71, 136, 177; 703; Sentenze e bandi, 87, cc. 61r- 62v; Lucca, Biblioteca Statale, Mss., 1015, c. 133r; 1121, cc. 150r-170r; G. Sercambi, Croniche, a cura di S. Bongi, Roma 1892-1893, ad ind.; R. Archivio di Stato in Lucca. Regesti, II, Carteggio degli Anziani, a cura di L. Fumi, Lucca 1903, ad ind.; Riformagioni della Repubblica di Lucca (1369- 1400), I, a cura di A. Romiti, Roma 1980; II, a cura di G. Tori, Lucca 1985; IV, a cura di G. Tori, Ibid. 1988, ad indices; Anziani avanti la libertà. Lucca, 1330-1369, a cura di S. Nelli - G. Simonetti, I, Lucca 2007, ad ind.; O. Banti, Iacopo D’Appiano. Economia, società e politica del comune di Pisa al suo tramonto (1392-1399), Pisa 1971, ad ind.; N. Andreini Galli, Altopascio. Il segno del Tau, Firenze 1976, ad ind.; C. Meek, Lucca 1369-1400. Politics and Society in an Early-Renaissance City-State, Oxford 1978, ad ind.; A. Romiti, Le commissioni parlamentari lucchesi agli albori della repubblica (1369-1370), in Actum Luce, VIII (1979), pp. 94, 98, 105, 107n., 119, 124, 144; G. Benedetto, Potere dei chierici e potere dei laici nella Lucca del Quattrocento al tempo della signoria di Paolo Guinigi (1400-1430): una simbiosi, in Annuario della Biblioteca civica di Massa, 1985, pp. 12-14; M. Paoli, Arte e committenza privata a Lucca nel Trecento e nel Quattrocento. Produzione artistica e cultura libraria, Lucca 1986, ad ind.; I. Belli Barsali, Lucca. Guida alla città, Lucca 1988, ad ind.; P. Mencacci, Lucca. I borghi medievali (sec. XIVXVI), Lucca 2003, ad indicem.