LANDO (Orlando) di Pietro
Nacque da un certo Pietro, forse a Siena o comunque in territorio senese, in una data imprecisata, fatta risalire ipoteticamente intorno al 1280 (Leone de Castris, p. 71). Nei documenti viene definito orafo, ma le sue competenze spaziarono nel campo della scultura, dell'architettura e dell'ingegneria.
Si registra persino un'attività di bilicatore (equilibratore) di campane, attestata, secondo Romagnoli (II, pp. 71 s.), già dal 1319. Sicuramente sono documentati suoi interventi sulle campane della torre comunale di Siena nel giugno del 1321 (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Mss., A.VII.16, p. 526; Milanesi, p. 231), il 31 ag. 1323 (Arch. di Stato di Siena, Biccherna, 147, c. 101v) e ancora il 7 ott. 1332 (Biccherna, 174, c. 39v). La sua capacità in questo specifico campo doveva essere ben conosciuta se nel 1322 veniva chiamato a Firenze per intervenire sulla campana del palazzo comunale, riscuotendo la somma totale di 400 fiorini d'oro (27 e 28 settembre: Vasari, p. 556; Gaye; Milanesi, p. 231; Borghesi - Banchi, pp. 11 s.).
Secondo la tradizione, sin dal 1298 L. avrebbe ottenuto incarichi non meglio precisati dal Comune senese (Lisini, p. 657). Il primo lavoro testimoniato (ma disperso o non identificato) è certamente una commissione di prestigio, che documenta una fama in qualche modo già accreditata: si tratta della corona usata per la cerimonia dell'incoronazione di Enrico VII re d'Italia, depositata, alla presenza di L., il 19 apr. 1311 nel monastero milanese di S. Ambrogio (Muratori). Sette anni più tardi è attestato come abitante nella contrada senese di S. Maurizio di Dentro (Romagnoli, II, p. 71). Il 26 febbr. 1328 la Biccherna annotava il salario spettante a L. per aver preso misurazioni nel "luogo de detti frati" (Arch. di Stato di Siena, Biccherna, 157, c. 15v), cioè presso la chiesa di S. Agostino a Siena.
È falsa invece la notizia che riferisce a L. la ricompensa per essere stato al battifolle di Montemassi al servizio del Comune senese: il relativo documento cita come percettore in realtà Guido di Pace (31 ott. 1328: Biccherna, 159, c. 50v).
Nel 1334 L. eseguiva la porta di Paganico (Milanesi, p. 231) e veniva pagato per altri lavori (Biccherna, 181, c. 62v).
Tra il 1337 e il 1339 L. doveva trovarsi a Napoli, chiamato a corte, dove già da tempo si stava imponendo il gusto per l'oreficeria e lo smalto traslucido senese. La produzione di L. per i sovrani angioini è stata ipoteticamente identificata nei reliquiari a braccio di s. Ludovico da Tolosa e di s. Luca, eseguiti per il re Roberto d'Angiò e la moglie Sancia di Maiorca fra il 1337 e il 1338, entrambi ora al Louvre (Leone de Castris). Gaborit-Chopin distingue, invece, gli artisti che realizzarono le due opere ed esclude un'origine senese per l'artefice del secondo pezzo (si vedano le argomentazioni contrarie a questa interpretazione in Cioni, pp. 300 s. n. 58). L'attività di orafo, ricostruita su opere disperse o non firmate (cui può aggiungersi, forse, la croce conservata nella chiesa di S. Colombano presso Lucca: Capitanio), rappresentava comunque l'"arte sua", così come si legge in un documento che precede di poco la morte dell'artista (Arch. di Stato di Siena, Consiglio generale, reg. 125, c. 54r).
Il soggiorno napoletano fu intervallato probabilmente da rientri a Siena: all'inizio del 1338, infatti, L. realizzava un Crocifisso ligneo, conservato nel territorio natio (Siena, S. Bernardino dell'Osservanza: proveniente dalla Compagnia di S. Domenico in Camporegio) e gravemente danneggiato durante la seconda guerra mondiale. Della scultura rimangono, dopo i bombardamenti del 1944, la testa e i frammenti del ginocchio e del braccio sinistro (Siena, Museo Aurelio Castelli).
La sfortunata perdita della maggior parte dell'opera ha determinato, tuttavia, l'inattesa scoperta di due pergamene vergate dallo stesso L. e inchiodate all'interno della testa e del ginocchio: esse documentano la paternità, la data di esecuzione (gennaio 1337 secondo l'uso senese, cioè 1338) e la devozione personale dell'artista, testimoniata dalla preghiera trascritta. Per quanto riguarda lo stile, purtroppo giudicabile solo sulla base dei pochi frammenti superstiti e di vecchie foto, è stato proposto un accostamento, quasi identità d'esecuzione in un caso particolare, alle sculture eseguite per il duomo di Siena nei primi decenni del Trecento da maestranze locali (Bagnoli, p. 66; Il duomo di Orvieto, p. 106).
Il 3 dic. 1339, il Consiglio generale della Campana definiva L. "homo magna subtilitatis et adiventionis" e lo richiamava da Napoli per affidargli i lavori del duomo nuovo (Arch. di Stato di Siena, Consiglio generale, vol. 125, cc. 54r-55r, in particolare c. 54r). Il 6 giugno seguente li portava a termine e gli venivano saldati il 24 dello stesso mese (Biccherna, 205, c. 150r).
Per quanto riguarda la sua attività progettuale, senz'altro passata attraverso la produzione di disegni, si conserva la testimonianza dell'acquisto di pergamene in suo favore per "fare disegnamenti" (Milanesi, p. 228). Delle due piante del duomo nuovo conservate nel Museo dell'Opera (nn. 60-61) gli è stata attribuita solo la prima (Lusini, pp. 174-176): nulla però autorizza ad ascriverla effettivamente a L., il cui ruolo di capomaestro è stato addirittura negato (Carli, 1987, p. 12). Questa sembra essere tuttavia una posizione radicale, se si considera che anche il disegno architettonico cosiddetto "pergamena senese" (Siena, Museo dell'Opera del duomo, n. 154), dopo un'iniziale assegnazione a Giotto con riferimento al campanile di S. Maria del Fiore, è stato attribuito a L. e identificato come progetto per il campanile del duomo di Siena.
La diversità delle competenze di L. è attestata ulteriormente dall'ultima notizia sulla sua attività, relativa al difficile incarico, assunto insieme con Agostino di Giovanni e maestro Giacomo di Vanni, di portare acqua alla fonte Gaia; lavoro per il quale nel febbraio del 1340 risulta aver riscosso dal Comune un totale di circa 6000 fiorini (Romagnoli, I, pp. 688-691; II, pp. 84 s.; Milanesi, pp. 231 s.).
Sono stati espunti dal corpus dell'artista il reliquiario della testa di s. Galgano (Siena, Museo dell'Opera del duomo), oggi ritenuto opera duecentesca, e i rilievi marmorei del primo e quarto pilastro della facciata del duomo di Orvieto (Previtali; di parere contrario Cellini [1988-89], che aggiunge a essi, oltre ai Crocifissi lignei di Orvieto, un frammento marmoreo di dossale di fontana a Napoli).
L., "magister […] aurifex", morì a Siena nel 1340 e fu sepolto nel convento di S. Domenico il 3 agosto, a poco più di un mese di distanza dalla moglie (Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Mss., C.III.2, c. 5r).
La critica riconosce in L. il padre di Viva, socio del più noto Ugolino di Vieri. Leone de Castris ha individuato un motivo decorativo a dentelli, che caratterizza le opere di L., di Viva e infine del figlio di questo, Vannuccio, facendone una sorta di sigla familiare. Questo elemento, però, ebbe notevole fortuna nell'oreficeria senese del tempo e non può essere considerato caratterizzante della produzione di una bottega in particolare (Cioni, p. 296). Romagnoli riteneva, invece, L. padre di tre figli: Paolo, architetto e scultore (II, pp. 421-425), Pietro (II, p. 71; III, pp. 197-199) e Lorenzo, intagliatori (III, p. 365).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, I, Firenze 1878, pp. 438, 556; L.A. Muratori, Anecdota…, I, Mediolani 1698, p. 310; E. Romagnoli, Biografia cronologica de' bellartisti senesi 1200-1800 (ante 1835), Firenze 1976, I, pp. 688-691; II, pp. 67-77, 79-86, 421-425; III, pp. 197-199, 365; G. Gaye, Carteggio inedito d'artisti dei secoli XIV, XV, XVI, I, Firenze 1839, pp. 464 s.; G. Milanesi, Documenti per la storia dell'arte senese, I, Siena 1854, pp. 228-232; S. Borghesi - L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell'arte senese, Siena 1898, pp. 11 s. (doc. 7), 649; A. Lisini, Notizie di orafi e di oggetti di oreficeria senesi, in Bull. senese di storia patria, XI (1904), pp. 645, 657; V. Lusini, Il duomo di Siena, Siena 1911, ad ind.; E. Carli, Scultura lignea senese, Milano-Firenze 1951, pp. 26-28, 123; P. Cellini, Appunti orvietani, III, Fra' Bevignate e le origini del duomo di Orvieto, in Paragone, IX (1958), 99, p. 13; E. Carli, La scultura lignea italiana dal XII al XVI secolo, Milano 1960, p. 50; G. Previtali, Sulle tracce di una scultura umbra del Trecento, in Paragone, XVI (1965), 181, pp. 16 s.; E. Carli, Gli scultori senesi, Milano 1980, ad ind.; P. Leone de Castris, Une attribution à L. di P., le bras-reliquaire de St Louis de Toulouse, in Revue du Louvre, XXX (1980), pp. 71-76; Il gotico a Siena: miniature, oreficerie, oggetti d'arte (catal., Siena), Firenze 1982, ad ind.; D. Gaborit-Chopin, Le bras-reliquaire de saint Luc au Musée du Louvre, in Antologia di belle arti, XXVII-XXVIII (1985), p. 10; A. Bagnoli, in Scultura dipinta. Maestri di legname e pittori a Siena 1250-1450 (catal., Siena), Firenze 1987, pp. 64-66, 68; E. Carli, in Giovanni d'Agostino e il "duomo nuovo" di Siena, Siena 1987, pp. 12-15, 17 s.; P. Cellini, Problematiche umbre: scultura ed architettura tra Due e Trecento, in Prospettiva, 1988-89, nn. 53-56, Scritti in ricordo di G. Previtali, pp. 145 s.; A. Capitanio, in Oreficeria sacra a Lucca dal XIII al XV secolo, a cura di C. Baracchini, Firenze 1993, pp. 173-179; Il duomo di Orvieto e le grandi cattedrali del Duecento. Atti del Convegno internazionale di studi, Orvieto… 1990, a cura di G. Barlozzetti, Torino 1995, ad ind.; E. Cioni, Scultura e smalto nell'oreficeria senese dei secoli XIII e XIV, Firenze 1998, ad ind.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 298.